Derthona Timorasso: la formica atomica6 min read

Pochi anni fa un giocatore della Juventus piuttosto minuto veniva chiamato la formica atomica perché da quel piccolo corpo nascevano giocate e azioni di grande rilievo. Così mi è venuto in mente di usare quel termine per l’articolo sul Derthona Timorasso che, con nemmeno 300 ettari vitati si pone da tempo all’attenzione nazionale e non solo per vini di assoluto rilievo.

Ma andiamo con calma: nei due giorni di Anteprima tortonese denominata Derthona due.zero, mi sono reso conto che ci sono ancora zone viticole italiane che devono essere esplorate e conosciute con attenzione e una di queste è i Colli Tortonesi.

Siamo in Piemonte, in quella zona collinare (e in parte quasi montuosa) tra il Monferrato, il Gavi e l’Oltrepò Pavese, che costeggiando il fiume Scrivia, porta verso la Liguria  a sud, il parmense a sud-est e la Lombardia ad est. Una terra di confine, lunga circa 50 chilometri e larga 25 che dal 1973 è a denominazione d’origine.

Ma il vino a Tortona si produceva centinaia , anzi migliaia di anni prima, complice anche dei terreni molto vocati che in diverse zone hanno la stessa composizione di quelli di Langa. Più volte abbiamo sentito infatti parlare di marne di Sant’Agata, che sono una delle matrici  importanti per i nebbioli langaroli. Ma qui non si produce nebbiolo ma soprattutto  barbera, croatina e un vitigno bianco che per longevità fa le scarpe a tanti rossi, il timorasso.

Panorama dei Colli Tortonesi

La storia più o meno recente di questo vitigno passa attraverso la cocciuta e visionaria intelligenza di un produttore che tutti oramai conoscono, Walter Massa. Nel 1987 il vitigno era praticamente scomparso ( se ne contava si e no un ettaro) e piano piano Walter ha contagiato e convinto altri produttori che quel vitigno a bacca bianca, non certo facile dal punto di vista agronomico, era la strada per uscire da una viticoltura di quantità che probabilmente avrebbe  segnato la zona in eterno.

Voglio ricordare che gli anni ottanta furono gli anni d’oro del Gavi e quindi del Cortese (abbastanza presente anche nei Colli Tortonesi) , che però ebbe un drastico declino nel decennio successivo per poi risalire faticosamente la china. Quindi i produttori locali si son visti passare davanti prima un esempio positivo e subito dopo uno molto negativo. La crescita degli ettari di timorasso  è stata lenta e solo nell’ultimo decennio ha accellerato, arrivando nel 2019 a 276 ettari. Nel frattempo  il 2005 aveva visto il suo ingresso ufficiale nella Doc Colli Tortonesi, che adesso ha circa 2000 ettari vitati.

Quindi la formica atomica denominata Timorasso ha nemmeno il 15% di un territorio a DOC non certo tra i più famosi d’Italia ma oramai è conosciuta ovunque ed è riuscita anche ad attirare in zona blasonatissimi produttori langaroli. Sarà ancor più conosciuta con la sottozona Derthona (nome antico di Tortona), che aspetta dal 2000 la definitiva autorizzazione  ministeriale.

Nel frattempo i 76 produttori del consorzio, guidati dal riflessivo, attento  e pacato Gian Paolo Repetto (perfetto contraltare del magmatico Walter) sono riusciti ad organizzare, primi in Italia, l’anteprima di un bianco della vendemmia precedente e, credo unici in Italia, ad inserire in un disciplinare di produzione il peso massimo per una bottiglia (600 grammi).

Gian Paolo Repetto, presidente del Consorzio Colli Tortonesi, presenta il territorio.

Solo queste due cose per noi di Winesurf valevano il viaggio! Trovare infatti chi ha il coraggio (supportato dal vitigno adatto) di presentare in prima battuta un bianco “vecchio” di un anno (ma da poco in commercio) merita un plauso particolare perché apre la strada all’ufficializzazione  che i bianchi di tante Doc italiane devono essere commercializzati almeno un anno dopo.

Non per niente  la degustazione più importante dell’Anteprima si incentrava su 32 Timorasso 2020, di cui addirittura 2-3 ancora campioni da botte. Sul peso massimo della bottiglia che dire? Non solo avrei voluto abbracciare uno per uno i produttori ma sentirne parlare come un dato di fatto e non come una cosa straordinaria mi ha aperto il cuore. Bravi!

E veniamo finalmente al timorasso e ai Timorasso degustati. Devo ammettere che non avevo mai assaggiato così tanti Timorasso e non avevo  compreso le reali caratteristiche dei vini. Dal punto di vista aromatico da giovani, il che vuol dire nei primi due-tre anni di vita  hanno bisogno di tempo, mostrando profumi che puntano verso note agrumate e floreali, con in sottofondo aromi minerali, proprio quelli che la moderna degustazione ha terrore a citare. In bocca la prima cosa che si nota è l’acidità importante: netta, precisa ma mai surdimensionata, accompagnata quasi sempre da un buon corpo e da una linearità gustativa che spesso porta a chiusure molto lunghe anche se repentine.

E’ dopo qualche anno, diciamo attorno al quarto, che il Timorasso mostra quelle caratteristiche che lo rendono un bianco da invecchiamento: accanto alle note agrumate e floreali, la nota minerale si trasforma in una fine sensazione di idrocarburo (modello riesling) che permane e si sviluppa mediamente per altri 5-6 anni. Il palato da parte sua mantiene  quasi inalterata la freschezza, senza che questa risulti essere l’unica caratteristica, perché il vino mostra sempre un corpo adeguato. I migliori da circa il decimo anno in poi si trasformano ancora dal punto di vista aromatico, puntando a note di sottobosco e a particolari sentori che ricordano un inesistente invecchiamento in legno, mentre la bocca si arrotonda mantenendo però sempre la classica freschezza.

Questo per quanto riguarda i Timorasso che vengono vinificati in maniera tradizionale, ma in questo piccolo mondo l’evoluzione e la diversificazione stilistica è presente  e da una parte si muove con fermentazioni o maturazioni in legno, dall’altra verso macerazioni sulle bucce più o meno prolungate e l’utilizzo di anfore: in qualche caso il mondo dei vini naturali sta bussando alla porta, in altri le fermentazioni a temperature bassissime portano verso tonalità da sauvignon neozelandese che magari si perdono in pochi mesi, ma che non fanno parte del vitigno.

Partendo dal presupposto che, dopo aver degustato almeno un centinaio di Timorasso di varie annate e di almeno una quarantina di produttori, la qualità media dei vini è molto alta, voglio mettere in risalto un possibile rischio futuro. Il vitigno ha precise caratteristiche, che stanno facendo la sua fortuna e che devono essere conservate e affinate, ma non coperte o cambiate da un uso eccessivo del legno o di fermentazioni e affinamenti che tendono a modificare il profilo aromatico e gustativo del vino.

I produttori non dovrebbero mai scordarsi che, pur con tutta la voglia di crescere del mondo, fanno sempre parte di una formica atomica, cioè di una goccia nel mare magno del vino italiano e  mondiale e che derive stilistiche, se adottate da molti, possono magari nel breve portare a vendite maggiori “ad aziendam” ma nel lungo tempo approderebbero a una confusione che penalizzerebbe tutta la denominazione. Per adesso questo non succede  ma i prodromi sono presenti e, da uno che ha visto decine di denominazioni compiere  questo errore, mi sento in dovere di avvisare i produttori e il consorzio.

Allo stesso tempo mi sento in dovere di avvisare produttori e consumatori che, anche con una comunicazione che punta sulle possibilità di invecchiamento del vino, il Timorasso è parecchio buono da giovane e che non si deve per forza aspettare 3-5-10 anni per gustarlo con piacere.

E noi, sia per gustarlo che per degustarlo, abbiamo deciso di inserire i Timorasso negli assaggi per la nostra guida. Quindi tra pochi mesi torneremo a Tortona per una degustazione che  metterà nome e cognome ai migliori vini di questo territorio.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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