Delle “RADICI” profonde e ben piantate.4 min read

Lama di Luna è sicuramente un nome evocativo, specie per una masseria perfettamente restaurata nel cuore delle Murge. Da qui, fino a pochi anni fa,  tutte le mattine  partivano i braccianti per  la loro dura giornata di lavoro. Ma il mondo cambia e dal 21 al 23 giugno scorso non proprio dei…. braccianti si sono ritrovati in questo meraviglioso angolo di Puglia per un lavoro molto meno duro e indubbiamente più piacevole. C’erano da degustare circa 180 vini di cui una trentina rosati, altrettanti dolci e gli altri suddivisi tra i principali vitigni autoctoni a bacca rossa  pugliesi: Negroamaro,  Uva di Troia, Primitivo, Aglianico.
Tutto questo per “Radici”, sicuramente una manifestazione che avrà un grande futuro e che già adesso, alla sua terza edizione, mostra di essere fortemente sentita e voluta sia dagli organizzatori sia soprattutto dai produttori pugliesi che, “udite udite” sono disposti a pagare un piccolo gettone pur di far assaggiare i loro vini a due giurie.
La prima era composta da giornalisti, la seconda  da appassionati. Entrambe erano regolate dal concetto “Siamo seri ma non seriosi”. In altre parole è stato molto istruttivo ma soprattutto divertente assaggiare in compagnia di bravi colleghi come Franco Ziliani, Luciano Pignataro, Giancarlo Gravina, Ian d’Agata etc. Anche quella degli appassionati, posta in  un sala attigua, era guidata dalla stessa regola. Due giornate molto proficue che mi sono servite per fare di nuovo il punto sui vini pugliesi. Eccovi alcune brevi considerazioni.
Rosati:
non si riesce a capire perché in una regione dove la potenza è all’ordine del giorno si continuino a produrre rosati esili, quasi diafani, marcati (si fa per dire….) da profumi derivanti solo dai lieviti selezionati. Un minimo di coraggio, un goccio di sana voglia di ottenere qualcosa d meglio e soprattutto il non basare tutta la produzione su salassi, credo siano i tre pilastri per portare ( o riportare?) questa tipologia di vino ad un buon livello. Se poi si riuscisse a mantenere lo zucchero residuo a livelli accettabili si potrebbe arrivare alla quadratura del cerchio.
Uva di Troia
Da me considerata l’uva di riferimento della moderna enologia pugliese. Purtroppo gli assaggi non hanno confermato l’assunto, evidenziando invece quasi un involuzione tecnica, una mancanza di complessità e finezza che non riesco ancora a spiegarmi: eppure i produttori sono tra  i più bravi della regione ed alcuni nomi sono di assoluto valore italiano. Fatto sta che molto vini sembravano diluiti, con aromi incerti, tannini slegati e ruvidi. Questo sia nei campioni giovani (2007) che in quelli di maggiore importanza (2005). Cose buone ci sono ma quello che prima era la regola ora sembra sia diventata l’eccezione.
Negroamaro
Secondo me un  vitigno in controtendenza, adatto cioè più  per vini giovani godibili e profumati che per prodotti importanti. Anni addietro mi ero spinto a prefigurare Negroamaro che si allontanassero dalla linea della grande potenza a vantaggio della bevibilità. Oggi sembra che ci si stia arrivando e basterebbe dosare meglio il legno per ottenere molto di più. A proposito di dosare: non è che il Negroamaro sia diventato un parente del Sangiovese, cioè di un vitigno dove “i miglioramenti” abbondano? In diversi casi sembrava di trovarsi nelle vicinanze di Bordeaux……
Primitivo
Per quanto riguarda i vini giovani (2007-2006 ed anche 2005)fa quasi il paio con il Negroamaro, superandolo sovente. Guardando i miei punteggi medi sembra che il Primitivo sia la vera sorpresa dell’assaggio. Forse però la vera notizia è che a partire dal 2005 due vitigni ancorati al passato come Negroamaro e Primitivo, stanno salpando verso un mondo enologico migliore, dove puzze e rusticità (ma non qualche grammo di zucchero residuo) sono un lontano ricordo.

Aglianico
Erano talmente pochi i campioni presenti che mi sembra fuori luogo un giudizio, considerando anche il fatto che la tenzone era aperta anche ai vini della Basilicata e che il Vulture può mettere in campo molto ma molto di più.

Vini dolci
Se si tolgono alcuni fulgidi esempi sia in bianco (Moscato) che in rosso (aleatico, Malvasia nera) mi sembra che molti si siano messi a fare vini dolci per passare il tempo. Diluiti, semplici, profumi per niente profondi ed eleganti. Propongo quindi un anno sabbatico della dolcezza, dove tutti dovrebbero riflettere su un concetto basilare. Non sempre chi lascia qualche grammo di zucchero residuo in un vino (rosato, primitivo) riesce poi a fare anche dei buoni vini dolci. Meditate gente, meditate!

L’organizzazione.
Le oramai molte guide italiane sanno quanto sia difficile organizzare le degustazioni, in Puglia, dei vini pugliesi. Per questo mi sento di dire “bravissimi” agli organizzatori, che hanno saputo coinvolgere i produttori in una manifestazione dove la parola professionalità si è coniugata con disponibilità e gentilezza. Morale: l’anno prossimo se mi invitano nuovamente ci ritorno di corsa!

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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