Una delle prime cose che colpiscono chi attraversa le pacifica campagna del Piceno è l’abbondanza di calanchi, testimoni di una terra per lunghi tratti aspra, dura, senza sorrisi.
Il sorriso te lo restituiscono però i panorami, le vallate apriche e incontaminate, le colline affacciate sull’Adriatico, i borghi ben conservati e la cordialità di chi li abita.
A guardarlo bene, quel lembo meridionale delle Marche, così periferico e così autonomo dal resto della regione; così segnato dal mare e dalle argille più tenaci; così vicino all’Abruzzo e lontano da Ancona; così meridionale anziché centrale; così temperato invece che continentale; ecco, a guardarlo bene il Piceno dichiara immediatamente un’indelebile vocazione rossista.
Una vocazione che i vinattieri locali traducono in Montepulciano accalorati, neri, fitti, di solida ossatura; in liquidi sanguigni, non troppo educati benché mai sgarbati, senza limiti di sapori, semmai avari di sfumature.
Poi succede che i bianchi piceni cominciano ad essere ben considerati. Se ne accorge la stampa specializzata; se ne accorgono gli operatori (non solo locali); se ne accorgono i bevitori. Gli ordini si fanno sempre più frequenti e il vino bianco finisce prima del rosso (o quasi). Così va il mondo.
Le uve bianche del Piceno, insieme all’onnipresente trebbiano, sono il pecorino e la passerina, vitigni opposti e dunque complementari: il primo è maschio, il secondo è femmina.
A entrambi si concedono gli orientamenti più freschi delle colline, ma è il pecorino, più precoce nelle maturazioni, a esigere maggiore copertura dai raggi solari (anche per una certa sensibilità dei grappoli alle scottature estive).
Il taglio ideale sulle vigne di passerina è il Guyot semplice, mentre le piante di pecorino vengono potate (anche) a cordone speronato. Lei è più produttiva e più sensibile all’oidio durante il periodo di vegetazione; lui più rustico e misurato nelle rese. Lui apprezza i terreni tenaci, lei invece quelli più sciolti.
La loro è una storia d’amore di provincia, che in pochi conoscono; una storia antica e negletta, ai margini di una regione abituata a tenere lo sguardo basso e le luci soffuse.
Una storia che da qualche tempo si nutre dell’interesse di un pubblico ampio, attratto dai loro nomi così bizzarri, più che dal loro amore.
In verità, a chi si occupa di mercato, del loro sodalizio agronomico e della loro presunta compatibilità enologica credo interessi poco o nulla, giacché nelle ultime stagioni sono stati separati e vinificati singolarmente, raggiungendo l’attuale notorietà da single e non in coppia.
Quando il sole va ad annidarsi nei loro grappoli, produce effetti che non potrebbero essere più diversi: nel Pecorino si trasforma in energico vigore concentrato in un grappolo piccolo e affusolato, nella Passerina in un atteggiamento menscevico diluito in un frutto grande e irregolare (adatto per questa ragione anche ai lunghi appassimenti in fruttaio).
Il primo sfoggia la luminosa irruenza dell’estate, la seconda trattiene tutta la timidezza dell’alba invernale. Il Pecorino esprime calore e acidità scura, la sua indole è prepotente, e si fa notare immediatamente. La Passerina si nasconde in odori tenui, in sottili ricami di fiori e in un gusto lineare, snello, salino più succoso.
Il Pecorino profuma intensamente di tisane, di erbe, di granaglie e di spezie. La Passerina è introversa, taciturna, appena screpolata da un pugno di fiori di campo.
Il Pecorino ha tanti colori, la fibra decisa e il sorso scalpitante. La Passerina è monotona, minuta, indolente.
Lui è solare, lei lunare. Lui precoce, lei tardiva. Lui tenace, lei tenera. Lui esplode, lei implode; lui si impone, lei si pone; lui urla, lei sussurra; lui puma, lei piuma; lui bullo, lei bella; lui rude, lei luce; lui mito, lei mite.
Tra i due non vorrei scegliere e infatti non sceglierò, mi limito solo a raccomandarvi i vignaioli piceni che ne producono le versioni più credibili (per quanto mi riguarda).
Su tutti, Paolo Capriotti (Poderi San Lazzaro) e Federico Pignati (Aurora), produttori che in verità valgono il viaggio per l’intera gamma, oltretutto posta sul mercato a prezzi di assurda convenienza. In particolare, Pistillo 2017, il Pecorino del bravissimo Capriotti, è oggi uno dei bianchi più buoni e convenienti d’Europa. Un capolavoro, per quanto mi riguarda.
Eppoi meritano tutte le nostre attenzioni Simone Capecci (Poderi San Savino), Emanuele e Daniele Colletta (Clara Marcelli), Claudio e Giovanni Allevi (Irene Cameli) e la famiglia Pantaloni (Pantaleone).
Le loro vigne e le loro cantine sono insediate tra Castorano, Offida e l’agro di Ascoli Piceno, a quote altimetriche che oscillano tra i 250 e i 400 metri di quota, su terreni argillo-calcarei.
Il Lungomare di San Benedetto è poco distante, così come le vette dei Sibillini. Ci sono tutti i presupposti per una bella gita fuoriporta, tra mare e montagna.
Io ci andrei ora.