Degustazioni Orvieto: buoni quelli sulla “punta dell’iceberg”4 min read

Sarà la morfologia della città, arroccata su un colle, o forse sarà che Orvieto, piccola cittadina,  fino a non molti anni fa riusciva incredibilmente  ad ospitare “nel suo ventre” migliaia di militari.

Sicuramente sarà anche e soprattutto il fatto che questo luogo bellissimo tra Umbria e Lazio, con una DOC di quasi 2000 ettari e più di 11 milioni di bottiglie, debba vedere  tra il 60% e il 70% del suo vino imbottigliato fuori zona e spesso venduto a prezzi da realizzo.

Orvieto visto dalle colline

Saranno questi motivi e forse altri a farmi considerare Orvieto come la punta di un iceberg di cui difficilmente si immagina la grandezza.

Anche gli assaggi di quest’anno hanno evidenziato che questa punta non ha niente da invidiare a tante denominazioni più blasonate. Peccato, appunto, che si parli di punta e che l’iceberg sommerso, questo “ventre molle”, rimanga tale.

Quasi 2000 ettari vitati, suddivisi in un’area le cui caratteristiche variano notevolmente andando da nord a sud e da est a ovest.

In soldoni il territorio si suddivide in quattro zone, una con maggior presenza di argilla, una seconda con terreni sabbiosi, poi quella con ripoti alluvionali (lungo il corso del Paglia e del Tevere) e infine la parte vulcanica. Questa suddivisione, in cui si trovano sia parti collinari che pianeggianti, ha un senso reale se vista attraverso “il filtro” dei  vitigni della DOC, in particolare procanico (trebbiano) e grechetto.

Il disciplinare prevede un minimo del 60% per i due assieme  (senza considerare gli storici drupeggio, verdello e tutti i vitigni autorizzati) ma se andassimo a guardare la composizione dei vini vedremmo che nella parte vulcanica la componente di grechetto aumenta non poco, mentre, per esempio, in quella argillosa il procanico la fa quasi da padrone. Dico quasi perché chi sta ripiantando vecchi vigneti punta più decisamente sul grechetto e meno sul procanico.

Tutto questo pippone iniziale per dirvi che, pur con un disciplinare così “aperto”, dove uve e percentuali variano in maniera notevole, questa DOC  riesce comunque a mantenere un linea abbastanza precisa, un comune modo di esprimersi, almeno nella punta dell’iceberg.

Lo abbiamo constatato degustando Orvieto 2021 e 2020 e successivamente passando agli IGT sia a base grechetto che di altre uve non autoctone. Gli Orvieto Doc hanno mostrato, oltre che una qualità media di buon livello, un “comune sentire”, un modo abbastanza simile di presentarsi sia al naso (più fiori e spezie  che frutta) che in bocca (sapidi, nervosi).

Al contrario tra gli IGT, anche se vi si trovano vere e proprie chicche enologiche,  la stragrande maggioranza si perde in un mare piuttosto incerto e variegato di profumi, sensazioni, legni e strutture che ti fanno perdere il filo del discorso sul territorio.

Orvieto molti anni fa

Come vedrete nei nostri assaggi abbiamo premiato sia DOC che IGT, anche perchè Civitella d’Agliano è una IGT, ma lasciando da parte quest’ultima gli Orvieto DOC sono vini che rappresentano un sunto territoriale  apprezzabile che ogni anno vede aumentare la qualità media.

Non per niente i cambiamenti climatici stanno avvantaggiando zone pianeggianti, dove fino a qualche anno fa la maturazione (viste anche le rese non certo basse)  era sempre difficile e, all’opposto, rendono la viticoltura di collina molto più complicata ma non per questo meno qualitativa, anzi. Quelle che ci rimettono, in collina, sono le rese che in diversi casi non superano i 60/70 q.li ad ettaro.

In definitiva, pur con alcuni punti interrogativi (tipo quello sull’abbassamento della resa per l’Orvieto senza abbassare quella dell’esubero di uve) la DOC Orvieto nel 2021  propone vini di buon valore, proposti anche a prezzi molto interessanti.

Tutto questo, naturalmente, sulla punta dell’iceberg.

Abbiamo degustato vini delle seguenti aziende.

Argillae, Bigi, Cantina Altarocca, Cantina Monrubio, Cantine Neri, Cardeto, Castello di Corbara, Custodi, Decugnano dei Barbi, La Carraia, Le Velette, Palazzone, Paolo e Noemia d’Amico, Sergio Mottura, Vitalonga.

Troverete tutte le degustazioni all’interno del CLUB WINESURF.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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