Degustazione Amarone, Ripasso e Valpolicella Superiore: buoni, ma qualcosa andrebbe rivisto6 min read

Il nostro punto annuale sul mondo Valpolicella ci ha portato molte conferme, alcune positive, altre meno, però  la prima cosa che vogliamo dire non è sul vino ma sulle bottiglie.

In questo campo la situazione in Valpolicella sta per sfuggire di mano ai produttori, che oramai hanno deciso di adottare in massa bottiglie pesanti per caratterizzare il prodotto. Come sanno anche i sassi siamo fortemente contrari alle bottiglie pesanti  per molti motivi, che potrete trovare anche qui e qui,

Adesso in Valpolicella la situazione è ulterirmente peggiorata  perché in molti hanno avuto la tremenda pensata, per “mettere più in mostra il suo prodotto”, di utilizzare bottiglie ancor più pesanti, arrivando a presentare contenitori quasi superiori al chilo.

Tutto questo in un territorio che da qualche anno porta avanti il  progetto RRR – riduci, risparmia, rispetta, un protocollo di certificazione che punta a rendere tutta la filiera della  Valpolicella a basso impatto ambientale.

Adesso voglio chiedere ai produttori se pensano che usare bottiglie che vanno dagli 800 grammi al chilo sia puntare ad un basso impatto ambientale. Se lo credono si vadano a leggere i due articoli segnalati sopra e cambino in fretta bottiglie, se non lo credono…dovrebbero ricredersi e alla svelta. Poi è inutile o addirittura fuorviante sbandierare risultati di conversioni al biologico quando si utilizzano in massa bottiglie che, per essere prodotte, stoccate, trasportate, utilizzate, e riciclate (quest’ultima cosa quando va bene…)  inquinano in maniera pesante la nostra atmosfera.

Dopo questa doverosa puntualizzazione  passiamo ai vini e partiamo dal Valpolicella Superiore che è, commercialmente parlando, il terzo dei quattro vini del territorio. Si posiziona sopra al Valpolicella (relegato al ruolo di Cenerentola della denominazione) ma il radioso futuro a cui sembrava destinato una quindicina di anni fa  gli è stato scippato dal Ripasso. Tanto per darvi un’idea i Superiore degustati sono stati 29 (di cui almeno una decina di annata antecedenti al 2016) rispetto ai 49 Ripasso. Quindi un vino che mantiene un suo mercato ma che nessuno fa niente per incentivarlo.

Se poi vogliamo proprio dirla tutta saremmo curiosi di capire se nessuno di questi Superiori abbia avuto una piccola dose di ripasso al suo interno, perché in alcuni vini sentiamo una vera e propria divisione tra la parte tannica, spesso leggermente verde e immatura, e la rotondità del tutto.

Per carità niente di male o di non regolamentare ma l’impressione è che in diversi casi in Valpolicella, vuoi anche per colpa di annate difficili, la maturazione fenolica sia un concetto a cui si punta sempre meno. Del resto con il problema delle gradazioni alcoliche  sempre più difficili da controllare  portare a maturazione fenolica la corvina e in particolare il corvinone di pianura vuol dire, con un Superiore,  superare i 14 gradi come niente.  Crediamo quindi che sia per questo che la rotondità in diversi Superiore sembra più ottenuta grazie a qualche grammo di zucchero residuo o magari ad una piccola iniezione di Ripasso che non al lavoro nel vigneto. Siamo invece rimasti piacevolmente colpiti dalle aromaticità espresse, poche volte coperte da legno, che riescono ad esprimere  frutti maturi  di bella ampiezza e piacevolezza.

Sul fronte dei Ripasso, che si presentano quasi sempre  come vini molto immediati e adattissimi ai mercati esteri che amano rotondità e presenza di sentori di legno,  ci sentiamo in dovere di far presente alcune cose: storicamente il Ripasso serviva per dare un minimo di alcol, aromi e struttura a Valpolicella piuttosto poveri, mentre oggi serve per dare un tocco essenziale e molto “moderno” a vini che non avrebbero bisogno di nessuna aggiunta. Per questo molto spesso risultano un po’ sbilanciati o in alcol o in sentori di legno. I secondi potrebbero essere un segnale di giovinezza, ma la nostra paura è che, proprio per aver adottato la tecnica del Ripasso, questi vini non abbiamo quell’equilibrio che gli permette di svilupparsi bene in invecchiamento.

E veniamo all’Amarone e alle sue bottiglie ultrapesanti! Ancora una volta dobbiamo riproporre  alcuni concetti: il primo è che l’Amarone sta passando da vino da invecchiamento a vino SOLO da invecchiamento:  cioè un vino iperconcentrato, molto tannico, alcolico, con tanto legno da digerire. Questo  può diventare  un problema in primo luogo per i produttori stessi, perché un vino del genere (se si eccettuano alcuni mercati che da tempo sembrano contrarsi) non può essere consumato con soddisfazione prima di almeno 8-10 anni. Ciò porterà i clienti a diradare gli ordini per non appesantire (in tutti i sensi), specie in un momento come questo, il magazzino.

Quindi i produttori o si attrezzano (anche finanziariamente)  per tenersi in cantina almeno 6-7 annate di Amarone  oppure cercano di creare un prodotto sempre di altissimo livello ma che possa essere fruibile con tempi meno biblici.

Una delle chiavi per operare in questo senso potrebbe essere quella di non aver paura della volatile , oggi considerata alla stregua di un difetto, che servirebbe invece ad alleggerire la parte aromatica e renderla fruibile in tempi minori. Bisogna non eccedere, certo, ma con vini che hanno la concentrazione dell’Amarone  uno 0.80-0.90 g/l di acido acetico non crediamo possa creare grossi problemi al vino e nello stesso tempo  riportare l’Amarone a sviluppare quei profumi che tanto lo hanno caratterizzato in passato.

Se non si vuole intervenire in questo senso magari converrebbe alleggerire  le dosi di legno ma qualcosa va fatto perché l’aumento medio delle temperature accanto a stagioni sempre più incerte e ballerine  stanno restringendo sempre più i tempi di vigna e di appassimento di un vino che per definizione ha bisogno di tempi lunghi.

La degustazione di quest’anno lo ha dimostrato chiaramente, presentando vini, anche di alto livello , ma che hanno bisogno di tantissimo tempo per essere godibili. Mano a mano che andavamo indietro nelle annate  trovavamo degli Amarone più armonici, meno monolitici, più “possibilisti”.

Abbiamo notato come cantine che producono numeri abbiano già fiutato il vento proponendo prodotti sicuramente più semplici ma ben fatti, rotondi, molto piacevoli. Questa è una strada, non certo l’unica e magari perseguibile da chi si propone anche a prezzi abbordabili.

A proposito di prezzi: sia quelli che hanno deciso di tenersi i vini in cantina per anni, sia diverse altre aziende stanno uscendo con prezzi “da affezione”, che superano spesso i cento euro in enoteca. Forse siamo a livelli un po’ alti per un vino che può e deve invecchiare ma che non è certamente al primissimi posti tra gli appassionati di vino quando si parla di vecchie annate degustate.

In definitiva una degustazione che ha ribadito le nostre posizioni e anche lo stato dell’arte di tre vini importanti nel panorama italiano.

Prima di chiudere dobbiamo ringraziare il consorzio che, vista la nostra impossibilità ad andare a Verona causa chiusure per Covid, ci ha raccolto e spedito i vini.

Vorrei inoltre inviare un saluto personale alla persona che per dieci anni ha tenuto in mano le redini del consorzio e che da poco tempo ha deciso di lasciare. Cara Olga, spero di vederti presto e ti faccio tanti auguri per la tua vita futura.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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