Degustazione Amarone: buoni risultati, ma dei Valpolicella ne vogliamo parlare?4 min read

“Abbiamo vinto!” Con questa frase gridata alzando le mani al cielo, l’ex presidente Cristian Marchesini è entrato nel grande ufficio del Consorzio Valpolicella che è anche sala di degustazione, “inaugurando” in maniera memorabile i nostri assaggi in Valpolicella.

Erano le 9 di mattina del 25 ottobre e la gioia (subito ridimensionata appena ha visto che c’erano giornalisti…) si riferiva alla vittoria in tribunale contro le Famiglie dell’Amarone  di cui tutti nei giorni seguenti hanno parlato.

Spero che questa “vittoria”  non diventi di Pirro e riesca a far riavvicinare  il consorzio e questo importante gruppo di produttori, perché entrambi i contendenti vogliono e devono portare avanti il nome della Valpolicella. La mia paura è invece che si voglia portare avanti solo il nome “Amarone” e che del Valpolicella, inteso come vino, importi poco a tutti.

Lo dico a malincuore dopo aver degustato più di 60 Valpolicella “base” (non superiori, non ripasso),  soprattutto del 2016 e del 2015, che di importante avevano spesso solo la bottiglia, pesantissima: come se bastasse prendere un vino e foderarlo di vetro pesante per renderlo buono.

Lasciamo da parte i colori molto variabili (dal rubino scarico al porpora brillante), e concentriamoci sui vini che sia al naso che in bocca sono stati ben poco soddisfacenti: ben 7  su 61 (11.47%, una cifra che dovrebbe far rizzare i capelli in capo alle commissioni d’assaggio) sono stati tolti di degustazione per chiari difetti olfattivi, mentre tra il resto non stiamo a contare le forti riduzioni, i nasi quasi inespressi, le note estremamente mature.

Per quanto riguarda la bocca in diversi casi i tannini erano verdi e amari e purtroppo conferivano ben poca grazia e struttura a questi vini, oramai facenti parte di una tipologia Cenerentola, nonostante il consorzio porti il suo nome. Ad un certo punto mi è venuto da pensare che in zona non abbiano più la mano a fare vini senza zuccheri, perché non riuscivo a spiegarmi questa evidente mancanza di frutto, di corpo, di freschezza, in vini provenienti da annate magari non memorabili ma non certo così difficili.

Lo si può spiegare solo con alcuni numeri : 32 milioni di bottiglie di Ripasso che si vendono come il pane e come minimo al doppio abbondante del prezzo del Valpolicella, a cui si aggiungono  i 16 milioni di Amarone (di cui se ne vendono 12 ma alla fin fine non sono poche, specie ai prezzi che ci hanno comunicato le cantine). In questa situazione secondo voi quali uve si usano per fare il Valpolicella? Fino a che tira il mercato del “dolce” tutto bene, ma qualcosa sta cominciando a cambiare.

Il cambiamento viene percepito però soprattutto per  gli Amarone, per i quali  sembra aprirsi, sia a parole che nei fatti, un percorso di sensibilizzazione al terroir: in altre parole si inizia a creare  Amarone con caratteristiche chiaramente riconoscibili sia di annata sia (in futuro) di zona: caratteristiche  che l’appassimento  potrà soltanto migliorare e acuire, non rimescolare.

Non esiste produttore da noi visitato che non abbia messo avanti a tutto le parole “differenza territoriale” e   “riconoscibilità territoriale”. Tutti hanno chiaro oramai che i vini con appassimento si possono fare ovunque e quindi il futuro per questa terra si gioca non solo sull’essere stati i primi a proporre “L’Amarone style” ma sul far conoscere e capire che qui nascono grandi vini che l’appassimento esalta.

In effetti ci è sembrato di vedere una lieve diminuzione degli zuccheri residui ed un  mano meno spinta sul concetto di appassimento. Purtroppo in alcuni casi queste buone intenzioni si scontrano con un uso del legno non certo certosino (cacofonico ma vero) che appiattisce per un bel numero di anni le peculiarità del vino.

Ma alcune differenze sono risultate ben chiare, per esempio quelle  tra gli Amarone del 2013 e del 2012 sono immediate: i primi in generale sono più freschi e meno rotondi e sembrano preferire  un’austera  bevibilità alla  potenza, mentre i 2012 sono più grassi, concentrati e armonici.

Su tutto vale sempre la vecchia  regola che un Amarone ha bisogno di tempo per distendersi e aprirsi, diciamo come minimo 6-7 anni, e quindi molti buoni vini da noi degustati non potranno che migliorare col tempo. Perché di Amarone buoni ne abbiamo trovati diversi, anche tra le Riserve.

Complessivamente ne abbiamo degustati più di cento e ci sembra giusto ringraziare il consorzio che ci ha permesso di farlo.

A proposito di assaggi, diamo appuntamento a tutti alla prossima anteprima Amarone.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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