Conoscere e commentare la stampa estera: Wine Spectator, Marzo 20195 min read

Bordeaux 2016, le nuove star dell’Oregon e la “reinvenzione”, dopo cinque generazioni, delle Bodegas Torres sono i temi principali di questo numero di marzo, e di fatti sono anche i titoli di copertina.

L’ultimo titolo, di minor interesse per il lettore europeo che non debba recarsi in California, è per i ristoranti di Los Angeles.  Poi, naturalmente, ci sono  la Buying Guide, con le sue vetrine dei vini di maggior spicco e i lunghi elenchi di vini degustati (con i relativi punteggi), distribuiti tra i vari paesi del mondo e le numerose rubriche di sempre.

Innanzitutto  qualche cenno agli articoli principali. Bordeaux: quella del 2016 è stata  un’annata di  altissimo livello, per alcuni aspetti, e in particolare per la riva sinistra, addirittura  migliore del pur splendido millesimo 2015, quasi una ripetizione di un’altra felicissima accoppiata  bordolese (quella delle annate 2009 e 2010). Con in più la “ciliegina” dell’annata 2014, che le ha precedute,  forse non alla loro altezza, ma  sicuramente migliore della 2008 .

I molleux e il bel risultato di Saint-Estèphe

Un po’ più in sottotono appaiono  i vini moelleux di Sauternes e Barsac (quest’ultimo leggermente meglio dell’altro terroir), che hanno sofferto l’estrema siccità della seconda parte della stagione, che ha rallentato lo sviluppo della botrytis, arrivata tardi in un paio di ondate. I vini sono freschi e piacevoli, ma manca loro la complessità delle grandi annate.

Tutto diverso invece per la left bank, che si prende la sua rivincita sulla riva destra: specie le appellation più settentrionali  (Saint-Estèphe,  Pauillac e Saint-Julien, meno brillante Margaux)  hanno dato vini di grande razza, che evolveranno meravigliosamente negli anni. Dopo una primavera molto piovosa, ha fatto seguito un’estate molto secca, che ha esaltato i cabernet , che maturano più tardivamente. La veraison é  stata molto breve e quasi improvvisa, nelle prime due settimane di un agosto, caldo e luminoso. Qualche lieve pioggia di metà settembre ha permesso un rilancio del processo di maturazione delle uve, perfezionando la definizione dei tannini.

Non é un caso che  i vini migliori abbiano  tutti una percentuale più alta di cabernet sauvignon. I merlot risultano molto ricchi e  maturi, ma, comparativamente ai cabernet, “lacking in the detail”, e quindi leggermente meno fini, pure se su livelli molto alti. Lasciamo ai lettori scoprire quali vini abbiano riportato i punteggi più alti di Wine Spectator, scelti da James Molesworth: non sarà compito difficile, essendo i valori di Bordeaux abbastanza prevedibili .

Williamette Valley

 

Se Bordeaux si conferma ai suoi livelli, pur se in un quadro internazionale più competitivo, crescono ancora i vini dell’Oregon, sui quali si sofferma l’articolo di Tim Fish. Ormai l’Oregon, e soprattutto la Williamette Valley, complici tre annate consecutive (2014, 2015 e soprattutto 2016) ad altissimo livello, é diventata una delle regioni più interessanti enologicamente della vitivinicultura americana, soprattutto per i suoi Pinot noir, la cui qualità non ha nulla da invidiare a quella dei migliori californiani.

Americano nello spirito, l’Oregon non ha mai interrotto il suo legame con la Francia (anche solo nei  nomi delle  aziende, come Beaux Frères, Domaine Sereine, ecc.) . Dopo le   prime “missioni” borgognone (prima di tutte quella dei Drouhin), che avevano intuito il grande potenziale  delle Dundee Hills, e alle altre che sono seguite negli anni successivi (ad es. Méo-Camuzet , con Jay Boberg) , ecco aggiungersi infatti Lingua Franca  (Larry Stone e Dominique Lafon), Résonance (Maison Louis Jadot) e Rose & Arrow (Louis-Michel Liger-Belair con Mark Tarlov). Con ottimi risultati, a quanto pare.

Il terzo tema di questo numero, come si é detto, é dedicato al pianeta Torres, sviluppato in due articoli , di Robert Camuto e e Aaron Romano. La Famiglia Torres  è , come e noto, una delle più conosciute e stimate dell’enologia spagnola, ma nel corso del tempo si é poi espansa dalla Catalogna in Cile  nella Curicò Valley e in California (il secondo articolo  é appunto dedicato alla Marimar Torres , la nuova azienda nella Russian River Valley, Sonoma) e produce alcuni dei più ricercati boutique-wines del mondo.

Il concetto di Terroir

 

Tra gli altri argomenti non citati di questo numero voglio spendere ancora qualche riga sulle pagine dei columnist, e in particolare su quella di Harvey Steiman , che affronta un tema sempre più dibattuto (il Terroir nel Nuovo Mondo) e di carattere più generale (l’altro contributo, di James Molesworth, si sofferma sul centenario di Chateau Talbot , 4ème cru classé di St. Julien).

Come è noto, la nozione di terroir  é centrale nel mondo enologico  europeo, ma finora ha avuto scarso rilievo nel cosiddetto Nuovo Mondo, che é finora parso essere dominato soprattutto dal tema delle varietà (dal cabernet  al syrah). Il modello dei vini che si é affermato, soprattutto in America, é quello di vini potenti, molto ricchi, di estratti e di alcol, spesso anche di legno, che hanno fatto della muscolarità più che della finezza la propria arma. Le cose stanno cambiando anche lì, in quanto ci si è resi conto che chardonnay e cabernet possono essere piantati dappertutto, ed essendo varietà molto adattabili, possono dare vini molto buoni in molti luoghi, ma molto simili tra di loro. Sono nate perciò le AVAs, per rispondere in parte  a esigenze simili a quelle delle denominazioni/appellation in vigore in Europa.

Anche se é indubbio che vi siano già da alcuni anni sempre più esempi riusciti di vini terroir-driven anche negli Stati Uniti, in California, Oregon, Washington, a cui principalmente si riferisce Steinman, appare chiaro che questo percorso non é affatto facile e richiederà molto tempo per affermarsi.

Là dove l’analisi di Steiman appare meno convincente é là dove contrappone  il terroir alla “tipicité” del Vecchio Mondo , che, a suo modo di vedere, sarebbe un modo , anche distorcente, nel quale esso“ridurrebbe” il terroir. Dice Steinman che l’Old World avrebbe codificato delle tradizioni di lunga data che definiscono quali uve sono maggiormente appropriate per uno specifico sito  e delle convinzioni consensuali su come coltivare la vigna e produrre i vini “attesi”. “The French word for that is tipicité. But that’s not terroir, I’d argue”. Ma a meno che non si voglia semplicemente affermare, come fa Steinman, che terroirs diversi danno vini diversi, il passo successivo diventa necessariamente  quello della distinguibilità/riconoscibilità  dei vini in base ai terroir dai quali provengono, al di là delle ovvie differenze derivanti dalla mano del vinificatore. Solo questo, infatti, renderebbe il rapporto tra vino e terroir , per quanto  complesso, comprensibile, altrimenti sarebbe solo un’astrazione, alquanto ovvia e forse banale.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


LEGGI ANCHE