Chianti Rufina: quando la DOCG compie 30 anni3 min read

Nella breve intervista (vedi) a Federico Giuntini, neopresidente del consorzio Chianti Rufina, fatta in occasione del convegno sui 30 anni della DOCG, ho trovato alcuni spunti di riflessione interessanti.

 

Mi sembra giusto premettere che trent’anni non sono pochi e in più il 1984 è proprio una data da cui potremmo far partire “la recente e importante storia” del vino italiano. Storia che riguarda tutti: produttori, giornalisti, consumatori. Anno difficilissimo da un punto di vista climatico, il 1984 precede di poco lo scandalo del metanolo, da cui tutti fanno partire la “rinascita” del vino italiano.

 

Ma non voglio certo mettermi a discutere di date e prospettive storiche (ci vorrebbe troppo tempo),  quindi vengo al dunque. Parlando degli errori fatti dal Chianti Rufina in questo periodo non breve Federico ha puntato il dito su una sudditanza non solo da disciplinare con il Chianti e soprattutto su una scarsa vocazione a fare e promuovere la Riserva, che in altre parole vuole dire un miglioramento della qualità, dell’immagine e quindi del prezzo di questo vino.

 

Nel momento in cui sia una denominazione “cugina” come il Chianti Classico, punta sulla Gran Selezione (che porterà irrimediabilmente ad uno svilimento della Riserva) sia il concetto di Riserva viene considerato da molte parti obsoleto specie per il mercato estero, mi sembra un punto di vista in controtendenza da tenere in considerazione.

 

Qualcuno potrebbe tranquillamente archiviare la cosa come una visione antica della denominazione e del mercato, ma io credo che nelle parole di Federico ci sia qualcosa di più e cioè il voler rivalutare il proprio territorio sfruttando al massimo l’immagine che una “denominazione- DOCG” (non certo fra le più conosciute) può dare.

 

Questo 10 anni fa solamente sarebbe stato quasi impensabile e ci porta a riflettere sul concetto del Supertuscan, che tanto ha dato in termini di immagine nel passato ma che adesso sembra definitivamente superato. Sempre 10 anni fa questo modo di considerare il Supertuscan sarebbe stato bollato come follia, oggi invece è credo comune che la storia e la qualità di un vino debba passare attraverso la storia e le qualità di un territorio.

 

 E proprio il territorio è uno dei punti importanti dell’intervista: più volte Federico afferma quanto sia e soprattutto sarà fondamentale in futuro l’utilizzo di tecniche enologiche sostenibili, biologiche. Questo messaggio non può essere considerato di retroguardia ma di stringente attualità e mi fa piacere che un presidente di Consorzio si spenda in questo senso, verso la creazione di un “Distretto Rufina” dove una viticoltura più sostenibile sia il biglietto da visita per presentarsi al mondo.

 

Parole che hanno bisogno di tante future conferme pratiche ma che sembrano veramente nascere da quel “comune sentire” di cui parlavo nel recente articolo (vedi) sul film di Nossiter “Resistenza naturale”.

 

Mi fa molto piacere che la zona della Rufina, dove la viticoltura è sempre stata di casa  ma senza mai diventare “la schiuma dell’onda”, proponga oggi idee concrete e  fattibili per il futuro. Sono idee chiare e semplici, che passano anche attraverso un ripensamento sui vitigni internazionali ( storicamente arrivati qui almeno cento anni prima del loro boom nazionale)e portano ad un legame sempre più stretto tra questa terra ed il Sangiovese, che qui sviluppa caratteristiche forse poco “politically correct” ma sicuramente uniche.

 

Sono contento di aver partecipato al convegno sui 30 anni della DOCG e di aver intervistato Federico: mi ha fatto venire voglia di seguire con maggiore attenzione questa denominazione, intanto con un assaggio che non si fermerà solo alle annate recenti in commercio ma, se il consorzio ci darà una mano,  andrà indietro anche di molti anni per presentare una storia che oggi sembra un trampolino per il futuro.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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