Campania Stories, ovvero le fatiche di Sisifo6 min read

Prime impressioni a caldo di Campania Stories, la manifestazione oramai consolidata che due volte all’anno presenta alla stampa e (da questa edizione) agli operatori del settore il meglio dei vini campani in bianco e in rosso.

Ho detto impressione a caldo ma sarebbe più opportuno parlare di impressione a freddo, visto le tre giornate di pioggia e gelo che hanno accompagnato gli assaggi, questa volta concentrati sui bianchi.

Ma veniamo appunto agli assaggi. Purtroppo mi sono perso la prima parte della manifestazione, quella che si svolgeva in costiera Amalfitana e riguardava i vini DOC e IGP bianchi di tutta la Campania, provincia di Avellino esclusa. Sono quindi arrivato direttamente a Mercogliano dove si tenevano gli assaggi delle due più importanti denominazioni in bianco della regione, Greco di Tufo e Fiano di Avellino. Degustazione organizzate in maniera impeccabile, come impeccabile è stato tutto il lavoro dei ragazzi di Miriade, gli organizzatori; ma di questo parlerò alla fine.

Il primo giorno abbiamo degustato circa quaranta Greco di Tufo principalmente dell’annata 2012. I risultati li troverete tra qualche giorno nella sezione “Guida Vini” (assieme a quelli del Fiano di Avellino) con commenti approfonditi, però qualcosa mi sembra giusto dirlo.

Il Greco in Irpinia è  un vitigno che si esprime mettendo in campo acidità alte e una struttura quasi tannica (in alcuni casi senza il quasi). Questo, accanto ad un’atavica scarsità di aromi primari lo rende molto più intrigante in bocca che al naso. L’annata 2012, calda ma costantemente calda, ha permesso al Greco di esprimere burbera potenza mantenendo nel contempo una sapidità ed una freschezza che ti porta a salivazioni infinite (e goduriose). Questo ovviamente nelle migliori interpretazioni, che non sono poche: pensate che, nonostante la nostra atavica tircheria  su quasi quaranta campioni abbiamo trovato ben 10 vini con almeno 3.5 stelle!

 

Ma l’evento non prevedeva solo l’assaggio delle ultime annate  ma anche  una retrospettiva  che,  con le annate 2008 e 2003, ci ha permesso di testare il Greco di Tufo dopo 5 e 10 anni. Ottimi risultati anche se l’unico 2003 presente (Pietracupa) non poteva da solo spiegarci le possibilità di invecchiamento di  questo vitigno. Da quello però che ho capito mi sento di dire una cosa un po’ fuori dalle righe e cioè che (sempre nelle migliori espressioni) il Greco di Tufo è talmente un vino che può invecchiare che…forse è meglio non invecchi molto. Mi spiego: tutti i vini assaggiati sia di 5 che di 10 anni avevano come caratteristica base quella di essere giovanissimi: sembravano praticamente fatti ieri per freschezza e potenza espressiva e anche l’unico 2003 mostrava solo un lieve cambiamento aromatico ma in bocca era perfetto, fatto ieri. Questo forse è il grande pregio e il principale difetto del Greco che, non avendo grandissimi aromi iniziali non riesce più di tanto a terziarizzarli, mentre la struttura spesso monolitica invecchiando si mantiene benissimo ma uguale a se stessa, senza aggiungere o togliere niente. Se mi permettete il gioco di parole questo vitigno in invecchiamento è una specie di “ritratto di Dorian Grec”, sempre giovane, sempre meravigliosamente uguale a se stesso, fino a quando  non decade. Insomma, le terziarizzazioni fanno parte fino ad un certo punto del patrimonio di questo grande vitigno: per questo consiglio di berlo non prima di 1-2 anni dalla vendemmia per permettergli di aprirsi al meglio ma non oltre i 5-6 anni, non perché invecchi male, ma perché sarà praticamente uguale a quando l’avete comprato. Questo farà da una parte la gioia di chi ama i vini giovani, mentre chi cerca complessità e terziarizzazioni anche spinte dovrà cercarsi un altro vitigno.

E quest’altro vitigno potrebbe essere il Fiano di Avellino assaggiato il giorno successivo: anche qui in campo quaranta vini soprattutto dell’annata 2012. Qualità media se vogliamo ancora più alta (ben 12 vini con punteggi sopra 3.5 stelle con un vino che ne ha avute ben 4.5) con vini che mostravano  una lieve mancanza di apertura aromatica ma complessità e freschezze al palato di grandissimo livello. L’annata calda, che in Irpinia, (viste le altezze e le precipitazioni medie) vuol dire annata potente e non annata siccitosa, forse poteva mostrare maggior frutto immediato ma non l’ho rimpianto più di tanto viste le belle gamme minerali che molti vini hanno assunto. 

Per il Fiano il 2012 è stata un’annata generalmente molto facile, dove raggiungere buoni risultati non è costata molta fatica (al contrario della 2013..) e soprattutto dove l’integrità dei frutti permetterà al vitigno di esprimersi  bene anche in invecchiamento. Ne riparleremo tra qualche anno. Se dovessi dare un voto ai vini del 2012 sarei per un 7.5-8 al Greco di Tufo e 8-8.5 al Fiano di Avellino.

Darei invece 10 a Miriade, gli organizzatori, e qui devo spiegare il perché del titolo dell’articolo. La fatica di Sisifo, (spingere in eterno un macigno fin sulla cima di una montagna) è sinonimo di fatica improba e inutile. Non è certo inutile il lavoro che questi giovani stanno facendo ma è certamente improbo cercare di far capire alla stragrande maggioranza dei produttori campani l’importanza di una giusta comunicazione e promozione. Me ne sono accorto preparando l’Atlante dei vini italiani che verrà pubblicato in Russia, dove i produttori  Campania hanno spiccato per assoluto menefreghismo e soprattutto per  incapacità di capire l’importanza di un qualsiasi evento che mettesse in luce le loro produzioni.

 Campania Stories di quest’anno mi ha confermato quanto i produttori campani, pur bravi a fare il vino, abbiano da crescere enormemente nel campo della comunicazione. Il giorno in cui capiranno che un grande vino non è tale se non lo è nell’immaginario collettivo, se non è presentato in maniera adeguata e con sforzi adeguati, sarà sempre troppo tardi. Carissimi produttori: non esiste solo la vigna e la cantina! Se un consumatore estero vuole da casa sua capire qualcosa di voi e dei vostri vini  non può che guardare su internet e, lasciatevelo dire, la stragrande maggioranza dei vostri siti grida vendetta al cielo. Se la stampa italiana e estera vuole parlare di voi non può sobbarcarsi inutili giornate al telefono o migliaia di chilometri in auto per poi non trovare nessuno in azienda.

Concludo con una proposta: anche se in Italia ci sono molte realtà come Miriade, nessuna si dibatte tra le mille difficoltà organizzative che hanno questi ragazzi con i riottosi, inesperti, spesso anche ingrati produttori campani. Per questo propongo un monumento a Diana, Massimo, Paolo, Lello: naturalmente non un monumento alla memoria ma al futuro, al vostro futuro cari produttori campani, che grazie a loro sarà migliore.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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