Campania Stories 2025: come sempre fondamentale!7 min read

Campania Stories 2025 mi piace racchiuderla tra una cattedrale nel deserto che funziona e un vulcano che, per fortuna, non funziona.

La cattedrale nel deserto è la stazione ferroviaria di Napoli-Afragola, nata praticamente in mezzo al nulla cosmico, ma che nemmeno tanto piano piano sta diventando lo scalo ferroviario principe per la Campania. 

Il vulcano che per fortuna non funziona è il Vesuvio, mentre i vini che vi nascono funzionano e alla grande. Ma prima di parlare dei vini due parole sulla crescita generale di quella che potrei chiamare “La denominazione più veloce del mondo”.

Turismo del vino, comunicazione: DOC Vesuvio la vera sorpresa, con l’Irpinia che deve fare “mea culpa”

La prendo un po’ larga: quando si parla di vini campani il pensiero va quasi sempre a quelli irpini, Fiano di Avellino, Greco di Tufo, Taurasi e ai molti bravissimi vignaioli che li producono. Ma produrre vino buono o ottimo ormai non può bastare, bisogna anche farsi vedere, organizzarsi per l’enoturismo, pensare a strutture ricettive, ma purtroppo molto spesso in Irpinia non c’è per strada nemmeno un cartello indicatore che porti alle cantine. Parlavo con un produttore e mi diceva che sono 5 anni che provano a fare una piccola mappa cartacea delle aziende di Castelfranci (dove ci sono “ben” 9 cantine) e ancora non hanno deciso niente. Lasciamo poi da parte i siti internet che non esistono o quasi, l’ospitalità (pur generosa) affidata al caso e comunque l’assoluta mancanza di coordinamento generale, dimostrata dall’assoluta inconsistenza dei consorzi di tutela. In altre zone va un po’ meglio, tipo nei Campi Flegrei,  ma solo per iniziative e voglia di fare di singoli produttori che riescono a portarsi dietro gli altri.

Il vulcano non funziona ma i vini si.

Veniamo al Vesuvio, a quella zona sempre considerata secondaria nel panorama campano e che invece, da alcuni anni sta diventando, anzi è diventata un posto ideale per l’enoturismo: cantine moderne e accoglienti, personale che parla inglese, ristoranti aziendali dove si mangia pure bene, panorami mozzafiato, van aziendali per portare i turisti, visite in cantina accurate, professionali e amicali nello stesso tempo,  magari utilizzando anche sommelier di alto profilo,  megacantine in costruzione e soprattutto vini moderni ben fatti, ben pensati, ben presentati e naturalmente (quasi sempre) buoni.

Ristorante aziendale di Casa Setaro

Ti domandi se sei in Napa Valley e invece ti trovi nel comune di Boscotrecase, Somma Vesuviana, Ottaviano o in un degli altri dieci comuni che formano il Parco del Vesuvio. Tutto questo “Sistema Vesuvio” è nato e si è sviluppato in pochissimo tempo: non andrei oltre i 5-6 anni anche se diverse cantine hanno storia da vendere. La sorpresa infatti non è tanto la singola azienda ma appunto il “sistema Vesuvio”  che ha quagliato attorno alle giovani generazioni di produttori e ha portato alla rapidissima crescita della denominazione più veloce del mondo.

Tutto questo, nei nemmeno 350 ettari vitati del comprensorio vesuviano,  ruota attorno a vitigni non certo famosi, come il caprettone o la catalanesca, mentre tra i rossi domina il piedirosso, con una piccola parte dedicata allo sciascinoso e una, crescente, all’aglianico. Anche se il Vesuvio arriva ad oltre 1200 metri le vigne sono piantate da 50 metri fino a 650, anche se la maggioranza si trova nella fascia centrale tgra i 200 e 400 metri.

Napoli vista dalle vigne sul Vesuvio

Il bello dei vini del Vesuvio è che non vogliono colpire per potenza o concentrazione (quindi se dio vuole non usano quasi masi i legni e se li usano lo fanno poco e bene). La freschezza e dinamicità di questi vini nasce anche e soprattutto dal terreno vulcanico, composto da sabbie finissime, ceneri e lapilli.  Un terreno molto sciolto che permette anche di avere le viti su piede franco e porta a vini di spiccata sapidità. Se dovessi esprimermi sui vini metterei al primo posto i sorprendenti metodo classico (ma non sono molti), da caprettone o da piedirosso, poi i bianchi, i rosati e i rossi a chiudere il cerchio.

Campania Stories: la classica, eccezionale mosca bianca, anno dopo anno.

Ma adesso veniamo a Campania Stories 2025 nel suo complesso: la manifestazione è quasi una mosca bianca nel panorama nazionale perché riesce a mettere assieme molte ore per la degustazione con numerose visite sul territorio e incontri con i produttori. Non crediate sia un impresa facile! Sul fronte degustazione pubblicheremo tra qualche giorno i risultati degli assaggi dei bianchi mentre per quanto riguarda i rossi andremo a dopo l’estate. Come ormai sanno quelli che ci seguono non siamo di quelli che si divertono a sparare punteggi un quarto d’ora dopo l’assaggio, quindi faremo le cose con calma ma qualche anticipazione generale è d’obbligo. In generale l’annata 2024 non passerà certo alla storia: la scarsa o scarsissima piovosità è andata purtroppo a braccetto con temperature invernali molto miti che hanno portato a degli anticipi vegetativi tra i 10 e i 15 giorni di media.

I vini bianchi: 2024 non certo al top in tutta la regione

Sicuramente la situazione peggiore è nei bianchi e questo è un dato che tocca un po’ tutte le zone, da nord a sud della regione. Le tre uve principali, fiano, greco e falanghina si sono presentate con vini semplici al naso e poco reattivi al palato, solo i greco di Tufo ci hanno fornito un quadro leggermente migliore ma non c’è da fare salti mortali dalla gioia. Il caprettone ha dato discreti risultati, mantenendo nasi piuttosto freschi e una sapidità che ha sopperito all’acidità più bassa del normale. Sicuramente i terreni più sciolti, vulcanici, hanno permesso di lavorare con maggiore puntualità nel vigneto e comunque hanno creato meno asfissia radicale alle piante rispetto a zone argillose più compatte. Andando indietro negli anni le cose cambiano e, ancora una volta tra i Greco di Tufo in particolare, abbiamo trovato bianchi di altissimo profilo.

I vini rossi: pochi e poco convincenti i 2024 assaggiati, ma c’è il “miracolo” Taurasi

Sul fronte dei rossi 2024, visto che i campioni presenti erano ben pochi e quasi tutti a base piedirosso, sospendiamo il parere ma da quanto assaggiato ci sembra che non sia andata molto meglio dei bianchi: frutti maturi, freschezza claudicante, piacevolezza non certo alta. Una cosa però voglio dire sul vino rosso emblema della regione, il Taurasi: per la prima volta da quando li assaggio, e quindi si parla di quasi 25 anni, ho notato un chiaro cambio di stile con, specie nelle ultime annate (2021-2020-2019) una concventrazione tannica inferiore con tannini più dolci e gradevoli: a un certo punto ci siamo guardati in faccia e chiesto anche qualche parere a colleghi perché ci sembrava quasi impossibile che dopo anni che continuiamo a dire di estrarre meno e meglio dalle uve, si stia andando proprio in questa direzione.

Vigneti e panorama irpino

E’ un cambiamento che va sottolineato e che spero cresca e non poco. Forse il merito è delle nuove generazioni che piano piano stanno facendo cambiare vecchie e rugginose idee ai genitori, forse è anche il mercato che oramai non può più aspettare vini spesso anacronistici, fatto sta che i Taurasi “giovani” hanno equilibri e rotondità impensabili fino a due anni fa, senza per questo perdere di identità.

In conclusione una Campania Stories che si conferma momento basilare e imprescindibile per la conoscenza della Campania enoica. Se “I miriadi” non ci fossero bisognerebbe inventarli a forse tanti produttori campani un piccolo monumento dovrebbero farglielo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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