Breve elogio al nebbiolo5 min read

Guardando al bacino di coltivazione e alle caratteristiche delle grandi uve a bacca nera del mondo, dal Pinot Noir al Cabernet Sauvignon, dal Merlot alla Syrah, dal Sangiovese alla vasta famiglia delle Grenache, il Nebbiolo è un’eccezione, sotto molti aspetti.

Vitigno grandioso ma niente affatto diffuso; vitigno grandioso ma non universale; vitigno grandioso a patto che la sua gestione sia rigorosa; vitigno grandioso se ai vini che esso origina gli viene concesso il bonus dell’attesa.

Il Nebbiolo è certamente originario del Piemonte, dove viene coltivato da centinaia di anni (sette secoli almeno). Quando vi sia arrivato e quali siano le sue caratteristiche genetiche (ovvero se sia frutto di lente modificazioni di uve affini o di incroci naturali con altre varietà) è questione che riguarda la scienza.

L’etimologia del nome è invece un tema più vicino ai nostri interessi: un tempo conosciuto come Nebiolo, è possibile che origini dal latino “nebia”, in quanto è nel periodo delle prime nebbie che l’uva raggiunge la sua piena maturità. Ma è pure probabile che la parola Nebbiolo faccia riferimento alla pruina, “nebbiolina” biancastra che ricopre gli acini quando questi sono prossimi alla maturazione.

Il vitigno è oggi prevalentemente presente nella Langa Albese (Barolo, Barbaresco e Roero), nel Torinese (Ossolano, Canavese, Carema), nel Biellese (Lessona e Bramaterra), nell’Alto Vercellese (Gattinara), nell’Alto Novarese (Ghemme, Boca, Fara, Sizzano) e, fuori dal Piemonte, in Valle d’Aosta (Donnas e Arnad-Montjovet) e in Lombardia (Valtellina). Si tratta di poche migliaia di ettari vitati in tutto il pianeta, una goccia nell’oceano del vigneto mondiale.

Ciò che è da tempo è noto agli appassionati, è che quando il Nebbiolo viene coltivato nei luoghi a esso più congeniali e le mani di chi lo governa sono ben educate, allora sa regalare liquidi di superbo carisma, di invidiabile tenacia e di meravigliosa trasparenza. Ma per arrivare lì, lì dove solo pochissime varietà al mondo possono osare, è opportuno sapere che il Nebbiolo è selettivo, sotto tutti i punti di vista.

Intanto sembra sempre ostentare un’indifferenza sovrana verso chiunque gli si avvicini senza gli strumenti necessari: non sopportano, l’uva e il vino Nebbiolo, un atteggiamento di leggerezza o di normalità da parte del produttore e del bevitore.

L’uva Nebbiolo ha esigenze agronomiche peculiari (il suo lungo ciclo vegetativo impone posizioni riparate e il suo enorme vigore una gestione attentissima da parte dell’operatore) e il vino Nebbiolo non si dà a chiunque e anzi pretende attenzione, preparazione e passione.

Il vino Nebbiolo è cieco e sordo alle esigenze del prossimo, se ne frega di piacere, di ammiccare, di apparire disinvolto e piacione: niente di niente, benché le vinificazioni per così dire contemporanee (o alla francese) lo lascino sempre più spesso apparire meno austero del passato.

Molto spesso il vino Nebbiolo partecipa al mondo con aria di sprezzante superiorità, facendo di tutto per garbare a pochi; non corre, non vola, non sorride e non è quasi mai capace di privilegiare gli elementi più consolatori che buona parte dei consumatori ricercano.

Il vino Nebbiolo non ama viaggiare troppo, semmai è chi lo beve che deve saper viaggiare, attraverso l’immaginazione e il tempo. Per il Nebbiolo il tempo è tutto. Nel tempo il Nebbiolo si sbriciola in una scacchiera eterogenea di geografie disparate e lascia detonare il suo enorme talento, fin troppo a lungo nascosto.

Occuparsi del vino Nebbiolo oggi è dunque più che mai necessario. È terapeutico per il degustatore contemporaneo, sempre più interessato al presente per il presente, alla sintesi e alla frugalità a tutti i costi.

Oggi sono valori necessari la bevibilità (“quel vino è buonissimo, te ne berresti a secchi”) e l’immediatezza per l’immediato (tanto nemmeno i ristoratori puntano più sui lunghi affinamenti).Così, nostro malgrado, evidentemente senza volerlo, il più delle volte rischiamo di accontentarci di ciò che affiora in superficie, perdendo di vista la profondità. Non è un caso se sono aumentati sensibilmente i consumi di vini effervescenti, che in virtù dell’anidride carbonica riescono a essere liquidi più performanti in tal senso: più veloci, più rapidi, più “volatili”, più beverini appunto.

Col vino Nebbiolo è diverso: la musica cambia, i movimenti si alternano, l’orchestrazione si fa abbondante di note, di strumenti e di suoni, e così l’ascolto diventa inevitabilmente più complesso.

E se in Alto Piemonte, a Carema, nel Roero, in Valtellina e in Valle d’Aosta potrà capitare di intercettare vini Nebbiolo di una qualche piacevolezza giovanile, nella Langa del Barolo e del Barbaresco si tratterà semmai di eccezioni.

La congiunzione tra il clima continentale dell’Albese, i terreni marnoso-calcareo-arenacei del Miocene e il lunghissimo ciclo vegetativo della vite Nebbiolo (che germoglia molto presto e porta a maturazione i suoi grappoli molto tardi), crea i presupposti per rossi il più delle volte sontuosi, le cui fitte stratificazioni di materia, di sapori e di odori necessitano di adeguata predisposizione.

Al degustatore alle prese con il vino Nebbiolo converrà dunque prima accettare – poi leggere e interpretare – l’incontinente personalità di un rosso che non punta alla velocità ma alla gradualità; che non è mai superficiale ma appunto complesso, articolato, profondo.

Il degustatore dovrà perciò attendere, attendere e ancora attendere, lasciandosi attraversare dal liquido con gli occhi chiusi e la concentrazione spalancata, per intercettarne gli umori nascosti (di solito ben più di quelli scoperti).

Col vino Nebbiolo di più ambiziosa estrazione il degustatore dovrà orientarsi al futuro, adeguandosi a cambiamenti lenti e mai lineari. Così, tra alti e bassi, l’assaggiatore colto e paziente potrà via via assistere alla formazione di una trama che a un certo punto, quando tutto filerà per il meglio, consegnerà intrecci e ricami d’alta classe.

L’attesa e la pazienza nell’attesa sono dunque un paio di doti necessarie al bevitore del vino Nebbiolo. La terza è pensarla come Pierangelo Bertoli, che scrisse nella sua bellissima “A muso duro”: “Affronterò la vita a muso duro, guerriero senza patria e senza spada, con un piede nel passato e lo sguardo dritto nel futuro”.

Col vino Nebbiolo funziona più o meno così.

 

Francesco Falcone

Nato a Gioia del Colle il 6 maggio del 1976, Francesco Falcone è un degustatore, divulgatore e scrittore. Allievo di Sandro Sangiorgi e Alessandro Masnaghetti, è firma indipendente di Winesurf dal 2016. Dopo un biennio di formazione nella ciurma di Porthos, una lunga esperienza piemontese per i tipi di Go Wine (culminata con il libro “Autoctono Si Nasce”) e due anni di stretta collaborazione con Paolo Marchi (Il GiornaleIdentità Golose), ha concentrato per un decennio il suo lavoro di cronista del vino per Enogea (2005-2015). Per otto edizioni è stato tra gli autori della Guida ai Vini d’Italia de l’Espresso (2009-2016). Nel 2017 ha scritto il libro “Centesimino, il territorio, i vini, i vignaioli” (Quinto QuartoEditore). Nell’estate del 2018 ha collaborato alla seconda edizione di Barolo MGA, l’enciclopedia delle grandi vigne del Barolo (Alessandro Masnaghetti Editore). A gennaio 2019, per i tipi di Quinto Quarto, è uscito il suo ultimo libro “Intorno al Vino, diario di un degustatore sentimentale”.  Nel 2020 sarà pubblicato il suo libro di assaggi, articolazioni e riflessioni intorno allo Champagne d’autore. Da sei anni è docente e curatore di un centinaio di laboratori di degustazione indipendenti da nord a sud dell’Italia.


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