Bourgogne Aujourd’hui, n. 164: bianchi della Côte-de-Beaune e rossi del sud per un Natale “alla francese”7 min read

I grandi bianchi della Côte-de-Beaune e i rossi del sud delle felici annate 2018, 2019 e 2020 sono il focus delle degustazioni di questo numero, che annuncia anche diversi altri temi interessanti e il supplemento dedicato al Beaujolais.

Si comincia  con l’ incontro con due protagonisti della vitivinicultura della Côte-Chalonnaise: Philippe Pascal, scopritore e artefice del Domaine du Cellier aux Moines a Givry, dopo una vita densa di attività e incarichi nel commercio dei vini e nel mondo del lusso, da Bordeaux alla Champagne, e il giovane Guillaume Marko, approdato in Borgogna dalla Vandea, responsabile tecnico al Cellier, dopo stages di vinificazione presso il Domaine de la  Romanée-Conti  e il Domaine Arnoux-Lachaux e un triennio come responsabile della cantina da Frédéric Magnien. Oggi è co-gérant del Cellier aux Moines e in società con lo stesso Pascal nel Domaine Mont Bessay a Juliénas, da essi creato lo scorso anno.

La Côte-Chalonnaise ritorna più avanti,  in questo numero , con il “Domaine Coup de Coeur” , quello di Vincent Dureuil-Janthial, vigneron di riferimento a Rully, ma con vigna anche a Nuits-Saint-Georges. Al ritratto di Dureuil-Janthial e ad una sintesi del suo modo di fare vino, dalla conduzione delle vigne alle vinificazioni, segue una verticale del Rully Premier cru Meix Cadot Vieilles Vignes, dal 1994  al 2019. Si tratta di un Premier cru geograficamente situato sul secondo coteau di Rully, a sinistra dello Château di Rully, esposto est: la vigna di Dureuil-Janthial fu piantata nel 1922 dal bisnonno di Vincent, Pierre. Dallo stesso climat  il Domaine produce una seconda cuvée da una vigna più giovane. Al vertice  dei millesimi degustati è l’incredibile versione del 2005 (19/20), ancora giovanissimo, con un naso di grande eleganza, denso e infinitamente lungo sul palato, poi sono  le bellissime cuvée del 2014 (18,5/20), che si conferma annata molto felice per i bianchi della Côte,  del 2010 (stesso punteggio), del 2019 e della sorpresa 1997 (entrambe a quota 18/20).

A parte le degustazioni, di cui parlerò tra poco, segnalo l’articolo tecnico di Elisabeth Ponavoy sulle densità d’impianto, prendendo spunto dalla famosa vigna del Premier cru di Saint-Aubin Derrière Chez Éduard di Olivier Lamy, che offre lo spunto per una degustazione parallela di 14 annate, dalla 2006 alla 2019, del vino proveniente da parcelle ad alta densità (20-30 mila ceppi per ettaro), con quelle a densità tradizionale (10.000) dello stesso climat. Prima del flagello della fillossera una densità così alta era tutt’altro che insolita: i ceppi erano affollati in una sorta di scacchiera irregolare, senza file, tutto veniva lavorato a mano e vi veniva lasciata una vegetazione densa almeno il doppio. Il resoconto della verticale in parallelo delle due cuvée è molto interessante: è dal 2006 che Olivier ha cominciato a separarle. Le differenze diventano via via più delineate a partire dalla vendemmia 2010. La cuvée ad alta densità si mostra all’inizio più reticente a livello olfattivo, esprimendosi in modo meno immediato; sul palato emerge invece una maggiore intensità e concentrazione, con una salinità molto più pronunciata.

Non meno interessante è l’incontro-confronto con Pierre Labet (Château de la Tour) e Jean-Nicolas Méo (Domaine Méo-Camuzet) a proposito del dilemma “grappe entière”-uve diraspate nella vinificazione dei loro celebri Clos de Vougeot. Le due cuvée, provenienti da sezioni vicine del Clos, differiscono notevolmente per stile. La Cuvée Classique di Labet , che ha preso in carico la sua vinificazione nel 1984, utilizza infatti uve al 100% non diraspate, mentre il Clos de Vougeot di Méo-Camuzet (Méo ha preso il timone dell’azienda all’incirca negli stessi anni,  nel 1989) impiega uve senza raspi, come suggeriva il suo maestro Jayer. Il confronto tra i due winemaker, che illustrano ciascuno il proprio punto di vista, è  preceduto da un articolo tecnico di Elisabeth Ponavoy, che spiega le principali differenze di questi due approcci. Un tema importante è rappresentato dal cambiamento climatico, che ha consentito livelli di maturazione prima irraggiungibili, eliminando quelle note vegetali che spesso tradivano la vinificazione à grappe entière di un tempo. Oggi uve e raspi perfettamente maturi assicurano una maggiore ampiezza e freschezza, al vino, rendendolo più longevo. Alla degustazione verticale in parallelo dei due Clos de Vougeot (otto annate dal 1991 al 2018), quello di Château de la Tour risulta più polputo, carnoso e concentrato, mentre quello del Domaine Méo-Camuzet  gioca più sull’eleganza e la gourmandise.

Foto di Andrea Federici

Brevemente le due maxidegustazioni di questo numero. La prima di esse riguarda tre appellations della Côte de Beaune famose soprattutto per il loro vini bianchi: Puligny-Montrachet , Chassagne-Montrachet e Saint-Aubin, relativamente ai millesimi 2019 e 2020. Essa è preceduta, come di consueto, dal focus su un climat in particolare: questa volta si tratta di Cailleret di Chassagne. Esso comprende poco più di 10 ettari e mezzo, metà dei quali appartenenti al principale dei quattro lieux-dits concorrenti, En Cailleret. Situato nella zona sud del territorio comunale, ha suoli principalmente calcarei e, nella parte est, più bassa, principalmente marnosi: un Premier cru molto frammentato, di cui il solo Domaine Ramonet possiede più di un ettaro (1.33). Entrambe le annate considerate sono state molto positive, come si può evincere dalle alte percentuali dei campioni che hanno superato la soglia di qualità stabilita dagli assaggiatori. Più generosa e solare l’annata 2019, che ha dato vini bianchi più ricchi di “grasso” e di estratto, più fine e pura la 2020. Conosciute soprattutto per i loro bianchi, specie Chassagne produce anche eccellenti rossi. E di fatti i rossi di Chassagne di entrambe le annate sono ricchi, carnosi, elegantemente vellutati. I punteggi più alti della degustazione sono risultati quelli di un Cailleret Premier cru 2020 di Vincent e Sophie Morey a Chassagne (18/20), un Les Perrières Premier cru 2019 di François Carillon a Puligny (18/20) e un Les Cortons Premier cru 2019 del Domaine Larue (a cui tocca anche il miglior rosso, un La Boudriotte Premier cru di Chassagne 2020 ), a Saint-Aubin (18/20). Batterie di cuvée di ottimo livello nei territori considerati sono state quelle di Jean Chartron e di Brigitte Berthelemot a Puligny,  Morey-Coffinet ,  André Moingeon e Fernand e Laurent Pillot  a Chassagne.

L’altra degustazione generale ha riguardato le due denominazioni più meridionali della Côte-de-Beaune, conosciute maggiormente per i loro pinot noirs, Santenay e Maranges. La performance di questi due territori nel biennio 2018-2019 è stata meno brillante e tirata verso il basso soprattutto dai loro vini bianchi, ma anche i rossi, fra i più tannici della Borgogna, hanno sofferto per le maturità spesso insufficienti raggiunte dalle uve alla vendemmia. Ciò non ha impedito però che vi siano state alcune riuscite eccellenti. A Maranges, il Le Croix Moines Premier cru dell’annata 2019 del Domaine Chevrot et Fils ha ottenuto addirittura 20/20: ricco e concentrato, di notevole equilibrio, un pinot noir proveniente da un cru “alto”, a 370 m., caratterizzato da pendenze eccezionali. Miglior riuscita tra i Santenay è stata invece quella del Clos des Hâtes 2018 di Hubert Lamy (18.5/20).

Resta da dare solo un rapido cenno all’ultimo Dossier di questo numero, dedicato alla rinascita gastronomica di Dijon, sede della Cité Gastronomique et du Vin: molti nuovi ristoranti e buoni indirizzi rendono visibile un dinamismo che era mancato negli ultimi anni.

Infine il “Cahier Beaujolais”, stavolta assai più ricco del solito, a testimoniare la crescita d’interesse per il terroir del Beaujolais, prima guardato con un po’ di sufficienza e sospetto in casa borgognona. La degustazione di Beaujolais e Beaujolais- Villages mostra una crescita qualitativa non solo dei crus, ma anche delle appellations di base. Articoli più brevi sulle promesse di Pierres Dorées e del nuovo slancio di Lentignié precedono il mini-dossier dedicato al Moulin-à-vent, con due interessanti verticali del Moulin-à-vent Les Verillats dello Château du Moulin-à-vent e  della cuvée La Salomine di Château de Beauregard-Joseph Burrier.

Guglielmo Bellelli

Nella mia prima vita (fino a pochi anni fa) sono stato professore universitario di Psicologia. Va da sé: il vino mi è sempre piaciuto, e i viaggi fatti per motivi di studio e lavoro mi hanno messo in contatto anche con mondi enologici diversi. Ora, nella mia seconda vita (mi augurerei altrettanto lunga) scrivo di vino per condividere le mie esperienze con chi ha la mia stessa passione. Confesso che il piacere sensoriale (pur grande) che provo bevendo una grande bottiglia è enormemente amplificato dalla conoscenza della storia (magari anche una leggenda) che ne spiega le origini.


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