BIO è LOGICO? ovvero come non scoprire l’acqua calda8 min read

Il titolo è accattivante e quando lo vedo capisco subito che è farina del sacco del nostro amato e indiscusso direttore… “IL BIO è LOGICO?”. La conduzione del dibattito è nel suo stile: simpatica e irriverente, mai seriosa, ma molto, molto seria; i relatori non sfuggono a domande provocatorie e a temi che possono far muovere l’acqua nello stagno.

Il fatto è che il livello e la professionalità dei relatori è così alto che in pratica ognuno di loro da spunti per un altro convegno e ci troviamo impelagati in sei argomenti di grande spessore. I lavori “non finiscono” alle 14 e questa è una delle rare occasioni in cui un convegno è davvero interessante fino all’ultima battuta.

Di biologico si parla tanto da diversi anni, ma lo scopo dell’incontro sembra essere più ampio, come recita il sottotitolo: “sostenibilità e tracciabilità tra presente e futuro”.  Apre i lavori la dott.sa Rita Vignani dell’Università di Siena, che sostanzialmente presenta  i risultati del suo lavoro sulla tracciabilità del DNA della Vernaccia di S. Gimignano e quindi dei vitigni in generale (scusate l’eccesso di sintesi per una relazione di alto profilo scientifico). Anche dell’ipotesi  di tracciabilità delle uve nel vino si parla da anni, ma il tono è sempre stato finalizzato allo “smascheramento” di coloro che dicono di utilizzare un vitigno e invece ne usano un altro. L’intento del Consorzio della denominazione di S. Gimignano e della dottoressa Vignani parte invece dal presupposto opposto, cioè provare l’uso da parte dei produttori delle sole uve permesse piuttosto che quello di individuare in modo punitivo gli inadempienti. Insomma un’ottica propositiva piuttosto che repressiva.

Dell’occhio repressivo o collaborativo con il quale i funzionari dello Stato dovrebbero mettere piede in cantina ha parlato il dottor Ezio Pelissetti, AD di Valoritalia. La sua difesa del metodo di valutazione delle DOC e delle DOP è accorata, così come la sua comprensione delle difficoltà oggettive di chi riceve i controlli e di chi li fa. Secondo lui il presupposto è quello che le leggi hanno in genere caratteristiche opposte: o sono fumose, o sono puntigliose e quindi impediscono l’uso del buon senso auspicato da tutti. Anche in questo caso si chiede di partire dal presupposto che i produttori non sono  delinquenti, ma persone che cercano di fare al meglio il loro lavoro scontrandosi spesso con difficoltà che non sanno come superare. Rispetto alla sua visione sulle commissioni di degustazione,  avendo lavorato anni per un Consorzio DOCG, mi trovo invece d’accordo con chi dice che purtroppo la loro valutazione non riesce ad essere al passo con i tempi. Negli anni dal 1985 al 1990 a Montepulciano venivano spesso bocciati vini con sentore di barrique perché non “tipici” e venivano promossi vini marsalati perché “l’unghia aranciata dovuta all’invecchiamento” rispondeva alle caratteristiche richieste dal disciplinare. Non è un discorso facile, ma forse limitarsi a difetti tecnici oggettivi  e lasciare al mercato e ad un Disciplinare ben fatto, la selezione strettamente qualitativa, potrebbe essere un buon modo di procedere. 

Infatti è questo uno degli argomenti che la signora Matilde Poggi presidente della Federazione Italiana Vignaioli Indipendenti ha toccato nei suoi interventi. Così come il discorso rispetto alla legislazione sulle etichette che deve essere di certo semplificata come quella sul bio e sulla quale la Federazione che presiede ha dato al legislatore tante sollecitazioni senza che siano state accettate.

Roberto Burdese, presidente Slow Food Italia, ha colto al balzo il discorso sulla legislazione in merito alle etichette per presentare “l’etichetta narrante”, che la sua associazione sta elaborando per i Prèsidi alimentari. Un’etichetta che da una parte tralascia alcune informazioni che la legge invece chiede, ma dall’altra ne fornisce tante che il consumatore vuol sapere. Sul vino sono ancora al lavoro perché, pur avendo realizzato molte bozze, non riescono a fare la quadratura del cerchio, segno che sul tema i problemi sono superiori a qualunque altro prodotto alimentare.

Poiè stata la volta di un mito! Mi sarebbe bastata la sua presenza per convincermi a partecipare : Jonathan Nossiter, regista di “Mondovino” un documentario sul mondo del vino che avrei voluto girare io! La sua passione per il vino e per l’Italia, dove adesso vive, è palese e mi fa amaramente sorridere la sua battuta: “Lo so che per un italiano nulla è peggio che parlar bene degli italiani, ma io debbo farlo”. La soddisfazione dopo aver visto il suo film fu grande. Purtroppo non mi pare ne siano seguiti grandi cambiamenti, ma sta preparando il secondo e quindi c’è ancora speranza (magari vivendo in Italia ci sarà ancora più spazio per la realtà nostrana. Auguri!).

Maestro della provocazione il dottor Lucio Brancadoro agronomo dell’Università di Milano che ha, in più occasioni, suscitato un gran vespaio. Alcune delle sue affermazioni non mi hanno trovata d’accordo, ma altre hanno sfatato alcuni stereotipi che però non si debbono dire per non apparire anti ecologici. Che l’agricoltura sia sempre la salvezza del pianeta, come lui afferma , non mi sembra vero. Bisognerebbe precisare: un’agricoltura rispettosa dell’ecosistema è la salvezza del pianeta, ma quella che si fa adesso non sempre lo è. Invece il fatto che per essere rispettosi dell’ecosistema e per potersi dire biologici in viticoltura (cioè per fare un lavoro vero di attenzione all’ecosistema e contemporaneamente alle necessità dell’impresa) si debbano usare solo rame è zolfo, sembra anche a me che sia un’idea semplicistica della situazione. Intanto non è che utilizzare rame e zolfo (metalli pesanti) sia una “passeggiata di salute” come è stata giustamente definita. E se la cosa è assolutamente utile negli anni in cui l’andamento meteorologico lo permette, perché abbassa di molto l’impatto sul terreno, quando ci sono annate come la 2013 il discorso cambia. I prodotti chimici di contatto hanno durata 5-7 giorni, quelli sistemici 15-20. Si inquina di più dando 3-4 trattamenti in 20 giorni o 1 solo? I prodotti sistemici non sono più quelli di una volta, la loro incidenza sull’ecosistema non è così alta come in passato e comunque sarebbe utile lavorare per ridurla ulteriormente, ma siamo sicuri che rame e zolfo siano davvero l’unica scelta possibile per rispettare la natura?

Quest’anno chi non ha usato i sistemici ed ha un numero di ettari tale da non poter trattare in 2 giorni non ha quasi ottenuto uve di qualità. E’ una scelta da rispettare e sostenere, ma non tutti possono farla e quindi, perché un sistema sia davvero applicabile su vasta scala credo si dovrebbero eliminare gli estremismi e auspicare il buon senso di cui si è parlato prima.

Se si fanno proposte realizzabili anche sul piano economico si hanno più probabilità di far passare meglio il concetto, auspicando un cambio progressivo ed effettivo di mentalità. Insomma un modo per far venire l’appetito ai produttori che migliorerebbero così la qualità della propria vita e contemporaneamente quella del pianeta. Perché chi non crede nella necessità di difendere l’ecosistema crede nell’utilità di fare soldi e quindi con una proposta che metta insieme economicità e compatibilità si potrebbe scegliere di farlo. Si passerebbe dal pur alto 25% di San Gimignano di produttori bio a percentuali davvero elevate di coltivazione con impatto ambientale minimo o comunque minore. Purtroppo lasciando stare le grandi multinazionali che sono completamente avulse dal concetto di rispetto non solo della natura, ma pure dell’uomo. Con loro abbiamo solo una possibilità: evitare più possibile che i loro prodotti entrino nelle nostre case, boicottarli.

Roberto Burdese ha riportato studi dell’ONU che mettono in guardia rispetto al fatto che la produzione di cibo è la causa principale dell’inquinamento a livello mondiale e che se entro 10 anni non ci sarà inversione di tendenza sostanziale la specie umana si autodistruggerà nell’arco di massimo 300 anni. Invertire la mentalità proponendo metodi di coltivazione sostenibili dal punto di vista ecologico, ma anche economico, è forse l’unico modo per ottenere un risultato che interesserà molto ai nostri pronipoti.

Un’ultima riflessione sul concetto troppe volte espresso da varie parti rispetto al fatto che dire bio va di moda e quindi addetti al marketing e alla comunicazione tendono a seguire più la moda che la convinzione personale e dei produttori. Intanto ne ho un po’ piene le scatole dell’accusa verso chi si occupa di comunicazione di seguire le mode e di approfittarne;  ma mentre sono discutibili mode come legno e non legno o vitigni autoctoni e internazionali  di sicuro “mode” come quella di fare attenzione  alla salute dell’ambiente e dell’uomo sono da stimolare in ogni modo. Che lo si faccia credendoci o perché così va di moda, basta lo si faccia sempre di più e meglio!

Complimenti al Consorzio della denominazione San Gimignano e al suopresidente  Letizia Cesani che ha avuto l’idea di realizzare questo convegno e che con grande umiltà si è detta disponibile, a nome dei produttori, a verificare ed adottare tutte le tecniche che possono essere migliorative per un futuro migliore. Anche mostrare il successo sul mercato di una denominazione piccola ma agguerrita,  grazie all’adozione di certe pratiche, fa parte delle attività che possono aiutare nel rapido cambio di mentalità.

 

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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