Bianchi friulani 2016, annata di buon livello ma…3 min read

In apertura dobbiamo dire grazie al Consorzio delle DOC Friuli Venezia Giulia e soprattutto al Consorzio Friuli Colli Orientali per averci organizzato una degustazione non semplice (visto il numero dei vini presenti) e per un’ospitalità di assoluto livello.

Prima di parlare dei vini due parole sulla situazione generale, con da una parte gli strascichi del  caso-bluff del secolo, alias “sauvignon connection” e dall’altra la ormai, sembra irreversibile, “glerizzazione” del Friuli. Visto che presenteremo i risultati delle degustazioni in due volte, tratteremo questi due argomenti separatamente, in modo da dargli il giusto spazio.

Di quella che è stata chiamata “Sauvignonipoli” e “Sauvignon connection” abbiamo parlato più volte e dopo quasi tre anni siamo arrivati a quello che noi avevamo sempre detto, cioè all’impossibilità di provare le accuse formulate nei confronti di molte aziende vinicole. Visto però che l’indagine non è stata ancora archiviata l’atteggiamento dei produttori è quello di restare “sotto traccia”, di non parlarne oppure di parlarne il meno possibile anche quando ci sono buone notizie, come nel caso di alcune assoluzioni con formula piena, avvenute proprio nei giorni in cui eravamo in Friuli.

Se però andiamo a vedere il prodotto finito, cioè il vino, questo caso giudiziario ha segnato molto il territorio, da una parte smussando molto la “deriva neozelandese” che avevano preso tanti prodotti, dall’altra creando un punto d’incontro tra modi diversi di intendere il sauvignon. Lo abbiamo visto assaggiando più di sessanta campioni dove abbiamo trovato note aromatiche leggermente più d’antan (note vegetali e, in qualche caso addirittura pipì di gatto) ben miscelate però a fini sentori di frutta matura, anche tropicale. In altre parole un bel mix dove prevale la finezza e la complessità al posto della potenza aromatica. Probabilmente anche l’annata avrà svolto il suo ruolo ma la sensazione è che, specie all’interno delle tre zone qualitativamente più importanti (Colli Orientali, Collio e Isonzo) i produttori abbiano capito che un buon sauvignon è fatto di piccoli passi anno dopo anno e non servono clamorose fughe (aromatiche) in avanti o, all’opposto rimanere cocciutamente ancorati al passato.

Di certo l’annata 2016 c’ha messo del suo dal punto di vista della struttura del vino che, come in molti altri sauvignon prodotti in Italia, è leggermente carente e manca di quella potenza e lunghezza che hanno caratterizzato annate anche del recente passato. Mediamente è comunque una annata di livello abbastanza buono che in diversi casi permetterà ai vini di migliorare nei prossimi 2-4 anni.

Quasi dello stesso livello è l’annata della malvasia, anche se quelle buonissime sono poche: le abbiamo trovate molto pulite al naso ma senza quella potenza che di solito crea un connubio molto interessante e particolare. Ci sembra che piano piano il vitigno perda peso e considerazione nell’immaginario dei produttori, magari a vantaggio di varietà più spiccatamente aromatiche e di moda come il traminer.

Infatti il numero di vignaioli che producono traminer  sta crescendo (anche se ancora non si toccano cifre importanti) e i vini prodotti cominciano a perdere quella “ingenuità aromatica” che distingueva quelli di 5-6 anni fa, specie se prodotti nelle Grave o in zone meno conosciute come Aquileia. Adesso mediamente le gamme aromatiche sono precise e delineate anche se non siamo ancora ai livelli di regioni viticole vicine come Trentino e Alto Adige. Bisogna anche dire che nelle zone più famose il traminer difficilmente entra tra i vitigni in produzione, ma gli ettari a malvasia non crescono. In realtà crescono altri vitigni, ma di questo parleremo la prossima volta.

Chiudiamo questo primo  articolo con un vitigno spesso non nelle nostre corde ma che tra i bianchi friulani del 2016 ci ha veramente sorpreso in positivo, il pinot grigio. In un’annata in cui manca mediamente potenza (non solo in Friuli, in buona parte dello stivale) il pinot grigio ha mostrato corpo e concretezza, mettendo in mostra anche una finezza aromatica invidiabile. Ci preme sottolineare quanto detto anche per l’Alto Adige: i pinot grigio di cui parliamo nascono da una viticoltura attenta e motivata, che guarda solo alla qualità; non siamo di fronte ai “grigini” da 200 quintali e passa per ettaro.

 

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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