Barbera d’Alba 2018-2017-2016: un filo conduttore positivo ma, in qualche caso, al contrario3 min read

Dopo le Barbera d’Asti eccoci a parlare delle cugine che nascono in Langa, le Barbera d’Alba. Non ne avevamo mai assaggiate così tante (più di 150) e spalmate in varie annate, anche se il focus è stato soprattutto sulle giovanissime  2018, sulle  2017 e 2016. Tre annate molto diverse che per noi hanno visto i produttori affrontare questo vitigno non sempre con la giusta mano e misura.

Ma andiamo con calma. Prima di tutto occorre premettere che se nell’astigiano la barbera è il vitigno principe in Langa non solo viene dopo il nebbiolo, ma abbastanza spesso viene affrontata “come se” fosse un nebbiolo, quindi cercando di privilegiare la potenza e la rotonda corposità data anche dal legno, a scapito della freschezza che il vitigno porta in dote. Naturalmente stiamo palrando solo di una parte dei produttori e dobbiamo ammettere che la percentuale di vini “schiacciati” dal legno è nettamente inferiore al passato. Ma entriamo nel vivo della degustazione con le 2018.

Barbera D’Alba DOC 2018

Annata non certo eccezionale, che ha anche risentito della siccità e degli squilibri della 2017. I vini da noi degustati fanno parte delle Barbera DOC giovani, immediate, prodotte anche (soprattutto) senza invecchiamento in legno. Abbiamo in molti casi apprezzato le potenti e “veraci” sensazioni fruttate al naso  e in diversi casi anche il buon corpo dimostrato. Non sono state comunque tutte rose e fiori perché qualche vino è risultato vuoto al centro e purtroppo anche con poca freschezza. Si tratta comunque di vini da bersi nell’arco di qualche anno, con grande propensione gastronomica.

Barbera d’Alba DOC 2017

Qui abbiamo trovato delle vere sorprese, non solo per la qualità media piuttosto alta ma per la grande concentrazione e potenza  aromatica, quasi esplosiva in diversi casi. Frutti maturi che sicuramente segneranno  positivamente per anni le Barbera di quest’annata, accanto a gamme aromatiche  che puntano anche al floreale e soprattutto quasi mai sono segnate dal legno. Il bello è che ti aspettavi (li avevi quasi messi in conto visto l’annata)  degli squilibri alcolici ma, pur avendo quasi sempre oltre 15° e qualche volta anche 16°, le Barbera di questa vendemmia  non hanno al naso eccessi alcolici, che quasi sempre sono al servizio delle grandi note fruttate .

In bocca ci sono piaciute per pienezza e rotondità, anche se una maggiore freschezza sarebbe stata ben accetta, ma alla 2017 non potevamo chiedere anche questo. In generale quindi un ottimo risultato, con Barbera molto bevibili e con buone possibilità di invecchiamento.

Quasi un lavoro “in sottrazione” che ha dato frutti molto interessanti.

Barbera d’Alba DOC 2016

Ti aspetti un risultato nettamente migliore rispetto ai 2017 e resti deluso! Molte delle Barbera 2016 degustate (che non appartenevano alla tipologia “vino base” )  avevano  le caratteristiche che, in teoria, avrebbero dovuto avere le 2017: alcolicità alta e non fusa col vino, legno molto o troppo presente, freschezze che latitano.

In altre parole ci sembravano dei “barolo venuti male”, ovvero dei vini molto concentrati ma poco equilibrati, figli di una buona vendemmia dove sembra che  il produttore non si sia preoccupato di quanto e come estrarre dall’uva, perché tanto sarebbe andato bene tutto e comunque. Il risultato invece è stato, per quelle da invecchiamento,  tante “grosse” Barbera e poche grandi Barbera. Forse questa vendemmia, per noi “surdimensionata” sarà servita almeno  per alzare il piede dall’acceleratore  l’anno successivo, in quel 2017 che aveva tutte le carte in regola per essere peggiore e invece, per noi, è risultato nettamente  migliore.

Altre Barbera DOC di annate precedenti

Ne abbiamo avute alcune ma non ci sentiamo di estrapolare da queste un giudizio generale, tra l’altro su vendemmie che avevamo già valutato con attenzione in passato.

In conclusione

La Barbera d’Alba, specie con annate sempre più calde o comunque squilibrate, se la mano dell’uomo non interviene con saggezza in vigna e in cantina (per esempio: ma chi l’ha detto che bisogna fare 50 quintali a ettaro?), rischia di tornare ai tempi in cui era “un legno travestito da vino”.  Questa strada ci sembrava fosse stata rinnegata nei fatti, ma ogni tanto fa capolino la voglia di strafare, tipica del viticoltore italico. Non ha caso le migliori sono figlie di produttori che fanno dell’eleganza il loro credo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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