Dopo 2 anni precisi siamo ritornati nel territorio del Montecucco, quella meravigliosa e ampia terra che si estende in provincia di Grosseto tra (grossomodo) Montalcino, la Superstrada Siena-Grosseto il Monte Amiata e il territorio del Morellino di Scansano.
Se si trovasse vicino all’Irpinia potremmo definirla un misto tra terra di lavoro e terra di cinghiali, un territorio dominato da brusche variabili sia climatiche che geografiche. Un susseguirsi di colline dove l’uomo ha dovuto farsi spazio con fatica per poterle coltivare. Qui, tra oltre 850 km² di panorami mozzafiato e silenzi scanditi dal vento trova spazio una DOC di appena 750 ettari con circa 70 produttori/imbottigliatori.
Come vedete la media territorio/viti è inferiore all’ettaro (non considerando i circa 250 rivendicati a IGT) e quindi si può facilmente capire che la DOC Montecuccco sia un susseguirsi di piccole aziende, parecchie uscite indenni molti anni fa dalla mezzadria, accanto a pochissime grandi realtà organizzate per restare a galla nel moderno mercato del vino.
Se penso che qualche anno fa era stata additata come il “futuro paradiso” dell’enologia toscana mi sento di parafrasare il titolo di un famoso film dicendo che “Il paradiso sta attendendo”.
In realtà sta “attendendo” meno se si guardanoi puri dati numerici: infatti la media stelle dei vini degustati è di 2.68, certamente non bassa e soprattutto molto più alta di quella di 2 anni fa che era di 2.29. Avendo assaggiato quasi lo stesso numero di vini, se quelli da 3.5 stelle sono balzati da 1 a 6 e quelli a 3 stelle sono aumentati da 13 a 19 non si può che essere molto contenti del risultato….numerico.
Andando invece a guardare più in profondità abbiamo trovato dei vini sicuramente più netti ( ma ancora con alcune ricorrenti imperfezioni aromatiche) ma che stavano perdendo velocemente i caratteri fruttati per sviluppare in tempi troppo brevi aromi e caratteristiche terziarie.
Insomma, a parte alcuni casi, sia i Rosso che i Sangiovese, sia le annate che le riserve avevano una maturità forse eccessiva e questo, per un vino abbastanza importante non è certo un viatico d’eccellenza. Una caratteristica del genere, specie per chi è abituato ad assaggiare Sangiovese da circa quarant’ anni, non dico può diventare un pregio ma certi caratteri “maturi”, certe rusticità gustative sono nel nostro DNA di sangiovesisti d’antan. Ciò ci ha portato a valutazioni forse leggermente “comprensive” che però dobbiamo avere il coraggio di non passare sotto silenzio.
Queste perché le suddette caratteristiche si devono quasi certamente ad un insieme “vigna-cantina” non certo di altissimo livello tecnologico. Mettiamo quindi che le uve arrivino in cantina mature da un punto di vista alcolico ma non sempre da quello fenolico, che garantisce la tenuta nel tempo. Inoltre la mano in cantina talvolta non sembra felicissima e soprattutto “la mano” forse si confronta poco con gli altri produttori per poter crescere assieme.
Alla fine dei salmi ci sembra che il Montecucco, pur essendo migliorato, debba superare ancora un gap tecnico che andrà colmato alla svelta, se non si vuole correre il rischio di fare vini magari buoni ma di stile piuttosto vecchio, già abbastanza evoluti in giovinezza e quindi senza molto appeal per l’attuale mercato.
Più volte, durante gli assaggi mi sono sentito trasportato indietro negli anni, in una Montalcino inizio anni novanta dove accanto a grandi etichette esistevano diverse incertezze tecniche che poi il tempo ha spazzato via.
Insomma, memori di quanto successo a Montalcino e fiduciosi che i grandi nomi del territorio e alcuni giovani di ottimo livello facciano da traino agli altri ci sediamo accanto al “paradiso che sta attendendo” sperando di veder passare presto chiari segnali di miglioramento.