Assaggi Colli Berici: puntare sul tai rosso per farsi conoscere3 min read

“Pronto, Consorzio Colli Euganei?” Ancora peggio “Pronto, Consorzio Colli  Iberici?”

Dura è la vita per chi risponde al telefono al Consorzio Colli  Berici, perché spesso chi telefona non ha proprio le idee chiare. A sua parziale  discolpa bisogna dire che non si tratta di una megadenominazione. Siamo vicini a Vicenza, in una propaggine delle Prealpi proiettata nella pianura, con aspetti anche abbastanza “alpini”, fatti di gole e avvallamenti. Nelle parti più basse le viti  convivono con l’olivo, salendo è invece il bosco a farla da padrone.

 

Raccoglie una trentina di produttori, quasi tutti piccoli ma con due grosse realtà cooperative: è una denominazione  che un manzoniano definirebbe  “Vaso di coccio tra vasi di ferro”, sia si parli di rossi sia di bianchi. I rossi infatti hanno la vicinanza di zone come la Valpolicella mentre i bianchi sentono l’odore del Soave ma soprattutto rischiano di essere sommersi da due corrazzate, Pinot Grigio e Prosecco.

Per sopravvivere tra belve enoiche di questo genere su cosa bisogna puntare? Certo sul presentarsi con qualcosa di diverso, di unico, cercando di far conoscere un territorio  in realtà abbastanza vasto e assolutamente appetibile da punto di vista paesaggistico.

A questo punto mi permetto una battuta: per evitare di continuare  ad essere scambiati per degli impossibili “colli iberici”  ed avere  una giusta visibilità,  l’unica seria possibilità  è quella di puntare proprio su un vitigno iberico, la garnacha, qui chiamata tai rosso. Questo vitigno è considerato ( a parole, perché non è che sia molto piantato, come vedremo in seguito)  un po’ il simbolo dei Colli Berici e viene  “soprannominato”   Barbarano nella zona classica di produzione, situata nei dintorni del comune omonimo.

I nostri assaggi hanno infatti evidenziato che le altre uve coltivate sul territorio (bianche dal sauvignon al pinot bianco alla garganega, ma con pochissimo pinor grigio, rosse con tutte le internazionali di origine soprattutto bordolese  ma anche  borgognona ) anche se ben lavorate, non riescono a dare una reale diversità, un qualcosa di nuovo e di diverso rispetto a quanto  propongono le altre zone enoiche, vicine o lontane.

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Per fortuna dei produttori locali nessuno ha il Tai Rosso,(o  garnacha, o grenache) che da queste parti su terreni piuttosto asciutti e sassosi, ma nello stesso tempo discretamente fertili e friabili si declina da giovane come un rosso dalla colorazione leggermente scarica, con  note di frutta rossa intense e  tannini e corpo spesso giustamente accennati senza “affondare il coltello” della concentrazione. I risultati sono unici e ottimi, mentre quando il produttore soggiace alla maledetta voglia di fare il “grande vino” spesso si ritrova con un grosso vino; alcolico, senza grande freschezza e soprattutto senza la stratosferica bevibilità dei tai rosso giovani.

Per questo ci sentiamo di consigliare vivamente i produttori a sfruttare questa fortunata diversità, questa particolarità che nessun altro possiede, questa carta che da sola, secondo noi, vale quanto l’intero mazzo.

Un mazzo composto, come si vede dal grafico qua sotto, da circa 700 ettari vitati a DOC, dove però il tai rosso occupa poco più del 10%

Il mercato oggi cerca le novità a prezzo giusto come il pane e quindi Un tai Rosso giovane, profumato, piacevole, rotondo, altamente bevibile,  è forse una delle poche nuove carte da giocare  che ha oggi la viticoltura veneta.

Fortunati voi produttori che l’avete!

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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