Se è vero, come diceva una vecchia canzonetta, che ogni anno che passa “i figli crescono e le mamme imbiancano”, altrettanto vero è che anno dopo anno, tornando ad assaggiare a Bolgheri “Le vigne crescono e gli enologi imbiancano” .
I due fatti sono (ci scusino le enologhe) entrambi positivi, perché questo territorio con grandi nomi ma con poca storia alle spalle, per crescere in maniera generalizzata aveva bisogno di due cose: vigneti di età adeguata e maggiore esperienza-conoscenza da parte di chi ci lavora.
Cerchiamo di chiarire meglio.
Chi mi segue conosce i miei trascorsi a Bolgheri come raccoglitore di fragole : erano la seconda metà degli anni Settanta e dove adesso ci sono vigne allora c’erano campi di fragole, orti e alberi da frutto. Naturalmente qualche vigna, come quella di Castiglioncello di Bolgheri da cui nascevano i primi Sassicaia c’era , ma la stragrande maggioranza dei vigneti attuali sono stati piantati tra la fine e l’inizio del nuovo secolo. Inoltre Bolgheri (in rosso) si basa soprattutto su vitigni bordolesi (e di altre zone della Francia, vedi il syrah), alcuni dei quali in zona non erano minimamente conosciuti.
Per ottenere quindi buoni risultati serviva che le vigne crescessero e nel frattempo crescesse anche la competenza di chi deve portarle avanti sia dal punto di vista agronomico, sia enologico. Competenza che per Bolgheri, territorio con poca storia, si ottiene solo con l’esperienza e, magari, con qualche errore di percorso.
Errori spesso dovuti al fatto che i vitigni internazionali sembrano facili da gestire e invece in questo territorio, con l’’aumento medio delle temperature, con terreni e microclimi molto diversi dalle zone di elezione, le scelte agronomiche ed enologiche non possono essere le stesse che a Bordeaux o in California.
Inoltre “ad absurdum” per un enologo o un agronomo a Bolgheri il compito è ancora più complesso, perché il disciplinare permette una” libertà percentuale” quasi assoluta e questo può rimescolare ulteriormente le carte per riuscire a capire nel tempo quanto il vitigno X possa dare (da solo o magari assieme ai vitigni Y e Z)in questo territorio.
L’esempio più eclatante è l’utilizzo sempre maggiore del cabernet franc, 20 anni fa considerato come inadatto alla zona e oggi visto come il vitigno con maggior futuro.
Per fortuna a Bolgheri ogni anno che passa si assiste ormai ad un passo avanti e nel 2017 l’abbiamo “toccato con bocca” in maniera più decisa grazie alla vendemmia 2015, della quale abbiamo degustato i Bolgheri Rosso.
E’ presto infatti per i Superiore 2015, che entreranno in commercio solo da quest’anno e di cui abbiamo degustato alcune anteprime, assolutamente non valutabili.
Ma torniamo ai Bolgheri Rosso: il valore globale di un territorio non si valuta dalle punte ma dai vini base e per questo possiamo dire che Bolgheri ha fatto grossi passi avanti, perché i suoi vini base sono, dopo anni incerti, una certezza qualitativa e soprattutto riescono, con sfaccettature varie, ad interpretare il territorio.
Addirittura qualcuno va anche oltre, “facendo il verso” per potenza e complessità ai Superiore. Qualcuno purtroppo fa il verso ai Superiore dal punto di vista del prezzo e non è certo un bel biglietto da visita per una zona che deve ancora definitivamente imporsi avere diversi “vini base” che costano quanto un vino di punta di altre territori toscani con molta più storia e blasone.
A parte questo problema i Bolgheri Rosso ci hanno soddisfatto in pieno, come del resto lo hanno fatto i Superiore, molti dei quali provenienti dalla difficile annata 2014.
A questo proposito bisogna dire che se il 2014 è stato freddo e piovoso a Bolgheri molte cantine hanno avuto un “contratto esclusivo col Paradiso”, perché alcuni vini hanno tratto solo giovamento dall’annata fresca.
Samo curiosi di assaggiare i Superiore 2015, perché se tanto dà tanto…