Assaggi Bolgheri: quando i vini base sono buoni cosa vuoi di più?3 min read

Se è vero, come diceva una vecchia canzonetta, che ogni anno che passa “i figli crescono e le mamme imbiancano”, altrettanto vero è che anno dopo anno, tornando ad assaggiare a Bolgheri “Le vigne crescono e gli enologi imbiancano” .

I due fatti sono (ci scusino le enologhe) entrambi positivi, perché questo territorio con grandi nomi ma con poca storia alle spalle, per crescere in maniera generalizzata aveva bisogno di due cose: vigneti di età adeguata e maggiore esperienza-conoscenza da parte di chi ci lavora.

Cerchiamo di chiarire meglio.

Chi mi segue  conosce i miei trascorsi a Bolgheri come raccoglitore di fragole : erano la seconda metà degli anni Settanta e dove adesso ci sono vigne allora c’erano campi di fragole, orti e alberi da frutto. Naturalmente qualche vigna, come quella di Castiglioncello di Bolgheri da cui nascevano i primi Sassicaia  c’era , ma la stragrande maggioranza dei vigneti attuali sono stati piantati tra la fine e l’inizio del nuovo secolo. Inoltre  Bolgheri (in rosso) si basa soprattutto su vitigni bordolesi (e di altre zone della Francia, vedi il syrah), alcuni dei quali in zona non erano minimamente conosciuti.

Per ottenere quindi buoni risultati serviva che le vigne crescessero e nel frattempo crescesse anche la competenza  di chi deve  portarle avanti sia dal punto di vista agronomico, sia  enologico. Competenza che per Bolgheri, territorio con poca storia, si ottiene solo con l’esperienza e, magari, con  qualche errore di percorso.

Errori spesso dovuti al fatto che i vitigni internazionali sembrano facili da gestire e invece in questo territorio, con l’’aumento medio delle temperature, con terreni e microclimi molto diversi dalle zone di elezione, le scelte  agronomiche ed enologiche non possono essere le stesse che a Bordeaux o in California.

Inoltre “ad absurdum”  per un enologo o un agronomo a Bolgheri  il compito è ancora più complesso, perché il disciplinare permette una” libertà percentuale” quasi assoluta e questo può rimescolare ulteriormente le carte per riuscire a capire nel tempo  quanto il vitigno X possa dare (da solo o magari assieme ai vitigni Y e Z)in questo territorio.

L’esempio più eclatante è l’utilizzo sempre maggiore del cabernet  franc, 20 anni fa considerato come inadatto alla zona e oggi visto come il vitigno con maggior futuro.

Per fortuna a Bolgheri ogni anno che passa si assiste ormai ad un passo avanti e nel 2017 l’abbiamo “toccato con bocca” in maniera più decisa grazie alla vendemmia 2015, della quale abbiamo degustato i Bolgheri Rosso.

E’ presto infatti per i Superiore 2015, che entreranno in commercio solo da quest’anno  e di cui abbiamo degustato alcune anteprime, assolutamente non valutabili.

Ma torniamo ai Bolgheri Rosso: il valore globale di un territorio non si valuta  dalle punte ma dai vini base e per questo possiamo dire che Bolgheri ha fatto grossi passi avanti, perché i suoi vini base sono, dopo anni incerti, una certezza qualitativa e soprattutto riescono, con sfaccettature varie, ad interpretare il territorio.

Addirittura qualcuno va anche oltre, “facendo il verso” per potenza e complessità ai Superiore. Qualcuno purtroppo fa il verso ai Superiore dal punto di vista del prezzo e non è certo un bel biglietto da visita per una zona che deve ancora definitivamente  imporsi avere diversi “vini base” che costano quanto un vino di punta di altre territori toscani con molta più storia e blasone.

A parte questo problema i Bolgheri Rosso ci hanno soddisfatto in pieno, come del resto lo hanno fatto i Superiore, molti dei quali  provenienti dalla difficile annata 2014.

A questo proposito bisogna dire che se il 2014 è stato freddo e piovoso a Bolgheri molte cantine hanno avuto un “contratto esclusivo col Paradiso”, perché alcuni vini hanno tratto solo giovamento dall’annata fresca.

Samo curiosi di assaggiare i Superiore 2015, perché se tanto dà tanto…

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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