Angela Fronti: dal non voler far vino a vincere il Premio Giulio Gambelli7 min read

Abbiamo passato una mattinata con Angela Fronti, in giro per le sue vigne e in cantina, per capire come lavora e cosa pensa la vincitrice del Premio Gambelli 2019. La cosa che ci ha fatto veramente felici ce l’ha detta poco prima di lasciarla “Sapete che dopo aver ricevuto il Premio Gambelli ho passato tre giorni dove non ho fatto altro che ringraziare chi mi faceva i complimenti? Dai produttori ai giornalisti, a persone e appassionati di vino che nemmeno conoscevo: E’ stato incredibile!”

Una frase che ci rende ancora più convinti , assieme a ASET e al Gruppo IGP, di portare avanti un premio che non solo onora la memoria di un personaggio, come Giulio Gambelli, che tanto ha fatto per il grande vino toscano, ma che riesce anche a dare indicazioni valide a molti giovani produttori.

Ma veniamo alle sue parole.

Winesurf . “Ciao Angela, anche se hai vinto il Premio Gambelli magari qualcuno non ti conosce, quindi dicci qualcosa di te.”

Angela Fronti “ Faccio parte di una famiglia di Radda in Chianti, però sono arrivata a lavorare a Radda solo  nel 2012, dopo una serie di altre esperienze”.

W. “Sempre nel mondo del vino?”

AF. “Si, anche se quando ero alle superiori non è che ne volessi saperne molto di viticoltura, perché tutti i miei familiari lavoravano in agricoltura:  avevo come un  rifiuto  “a priori” a seguire quella strada. Poi però senti che la passione per la vigna ce l’hai dentro e così mi sono iscritta quasi di nascosto a Enologia e Viticoltura, dando i primi due esami senza dire nulla ai miei genitori. Adesso  potrei fare  solo questo nella vita”.

W. “Quindi ora come ti definisci?”

AF. “Adesso sono una produttrice di vino: ho passato anni in cui non sapevo bene se volessi fare l’enologa o la parte relativa alla comunicazione.  Adesso, da produttrice  faccio tutte e due le cose, anzi, faccio l’enologa, l’agronoma, la magazziniera, l’operaia,  praticamente faccio tutto.

W. “Da quanti anni fai vino?”

AF. “Dal 2012 qui a Istine, ma prima davo una mano nelle altre cantine in cui ho lavorato.”

W. “Quali altre zone enologiche ti attirano?”

AF. “Il Piemonte tutta la vita! Anche perché c’è una somiglianza col sangiovese e mi piace tanto come i piemontesi lavorano, parcella per parcella. Comunque sono curiosa e mi piace assaggiare e conoscere il maggior numero possibile di zone. Faccio parte della FIVI e così spesso assaggio vini di tante parti d’Italia. Tra l’altro proprio all’interno della FIVI ci sono tante persone che potrebbero essere dei nuovi Gambelli. Da sud a nord trovi tanti produttori che coi loro vini esprimono il proprio terroir , magari poco conosciuto, in maniera precisa, chiara. Un esempio per tutti: i rosati a base groppello.”

W. “E all’estero?”

AF. “Come accennavo prima mi sono appassionata ai rosati e così li assaggio di tutto il mondo. Dato che sono spesso negli Stati uniti devo dire che mi piacciono molto anche i riesling che fanno da quelle parti.”

W. “Con questa passione dei rosati potresti uscire a cena con il Presidente del Consorzio Chianti Classico Giovanni Manetti, titolare di Fontodi.”

AF. “Per carità, lo so che lui li odia, comunque mi piacciono tantissimi anche i rossi, pinot nero in primis”.

W. “Ma a casa cosa bevi?”

AF. “Cerco di bere il meno possibile visto quanto bevo fuori! Scherzi a parte di solito bevo i vini degli amici FIVI, sia toscani che di altre regioni.”

W. “E Il tuo vino?”

AF. “Difficilmente lo bevo.”

W. “A ristorante invece cosa ordini?”

AF. “Di solito i vini delle zone in cui mi trovo, altrimenti cerco vini che non conosco, che mi incuriosiscono.”

W. “Adesso ti facciamo fare pubblicità: i vini che più ti hanno colpito negli ultimi mesi”.

AF. “Vabbè, parlare di Montevertine è quasi obbligatorio…”

W. “Parliamo di fuori zona”.

AF. “Ma ce ne sono tantissimi! Come faccio a ricordarmeli tutti. Mi piace molto  il Timorasso della Colombera, poi sempre in Piemonte i vini di  Rinaldi e Cavallotto . Poi ritornando in Toscana il Pinot Nero dell’Azienda il Rio e  i vini de Le Verzure, che sono vini naturali, in anfora,  molto buoni, puliti,  fatti benissimo.”

W. “Ti faccio notare che non hai citato un rosato (scherzando) , ma andiamo avanti e arriviamo alla parte, per  te, difficile. Hai detto che non vorresti fare altro. Se invece dovessi fare altro cosa ti piacerebbe fare?”

AF. “A me piace tantissimo viaggiare e conoscere persone e culture diverse , quindi cercherei di seguire questa passione. Adesso, quando viaggio per lavoro, mi godo moltissimo quei momenti.”

W. “Hai detto che ti piace conoscere persone e culture diverse, e allora perché punti tutto sul sangiovese?”

AF. “Ho ripiantato un po’ di canaiolo, malvasia nera, trebbiano, malvasia bianca. Diciamo che quando ho iniziato a far vino avevo vigneti con merlot, piantati da mio padre, però a me non piaceva mettere merlot nel Chianti Classico e quindi la scelta di fare un chianti classico solo sangiovese era perché avevo e ho pochissimi filari di altre uve,  fermo restando che in futuro mi piacerebbe mettere nel Chianti Classico “base”  le altre uve rosse chiantigiane . Nelle selezioni (Vigna Istine, Vigna Cavarchione, Vigna casanova dell’Aia  n.d.r.)  non metto e non metterò  altre uve perché voglio comparare dei cru e questo è possibile solo se parti dalle stesse uve e fai le stesse operazioni di cantina, dalla fermentazione, all’invecchiamento.”

W. “A proposito di fermentazione, mi dicevi che sei arrivata anche a 45 giorni di macerazione a cappello sommerso.”

AF. “Si. Il bello è che questa tecnica qui la chiamiamo “piemontesina” ma in realtà è completamente diversa da quello che fanno in Langa, che è la steccatura, (cioè  quando arrivano attorno a 3 gradi babo tengono sommerso il cappello di vinacce con delle stecche in legno, mentre Angela quando finisce la fermentazione alcolica e il cappello scende naturalmente colma la vasca con un vino uguale e la chiude) porta a dei vini molto più equilibrati  con tannini più rotondi . Naturalmente lo faccio quando l’annata lo consente.”

dav

W. “domanda da un milione di dollari: tu hai vinto il premi Gambelli, vuol dire  per te fare un vino gambelliano?

AF. “Gambelli per me è stata un’ispirazione perché quando ho iniziato ad appassionarmi al vino, prima di iscrivermi all’università,  bevevo  vari vini magari  e capitava sempre che quelli che mi piacevano di più erano fatti da Gambelli. Oltretutto le bottiglie di Montevertine in casa mia giravano, perché Bruno Bini (il compianto cantiniere-factotum di Montevertine) le regalava spesso a mio padre.

Tra l’altro in quegli anni c’erano tanti consulenti rinomati i cui vini riconoscevi addirittura dalla forma della bottiglia, mentre i vini di Gambelli non erano così. Assaggiavo un vino, mi piaceva e poi scoprivo che era di Gambelli: mi piaceva perché era un vino di territorio e esprimeva una precisa identità.

Poi ho fatto enologia, altre esperienze,  ma quando ho iniziato a fare vino per me era fondamentale fare vini che mi piacessero e che rappresentassero il mio territorio. Ispirarmi a Gambelli è stato logico, anche se l’ho incontrato solo due volte nella vita. Fammi dire che questo premio è importantissimo per ogni enologo sotto i 40 anni ma per me assume un significato  particolare, affettivo perché produco Sangiovese a Radda in Chianti e ricevere un riconoscimento ispirato al maestro del Sangiovese è qualcosa di unico.”

W. “Dopo il vino gambelliano, dammi  la tua definizione di vino naturale.”

AF. “Oddio! E’ difficilissima questa domanda.”

W. “Ti vengo incontro: secondo te un vino gambelliano è un vino naturale?”

AF. “Non esattamente ma bisogna stare attenti. Secondo me non esiste un vino completamente naturale, perché se lasci la natura fare il suo corso viene fuori un’altra cosa rispetto al vino. Inoltre il vino è un prodotto dell’uomo.

Io cerco di essere più naturale possibile  nel seguire le vigne (la sua azienda è biologica) e cerco soprattutto di rispettare l’ambiente, il suolo, le persone che lavorano con me e quelle che poi vanno a bere il mio vino. Vedo che da quando siamo biologici l’ecosistema qua attorno è molto cambiato: ci sono molti più insetti, animali , fiori. In cantina cerco di rispettare più possibile il prodotto che ottengo in vigna senza aggiungere niente al vino.

Detto questo però ci sono difetti a cui devi stare attento: se vai verso il naturale rischi delle ossidazioni anche se qualcuno è molto bravo a limitarle. Per me però usare un po’ di solforosa non crea problemi, anzi, fa si che il vino sia più pulito e quando il vino è pulito è più piacevole. Quando subentrano invece aromi “di cantina”, nati durante la fermentazione o la maturazione, questi secondo me coprono le caratteristiche del  territorio. Per esempio legni troppo vecchi (al pari di legni troppo nuovi) coprono le caratteristiche aromatiche. Però è veramente difficile definire vino naturale oggi: io mi sento naturale ma capisco che per il mercato il vino naturale è un’altra cosa.”

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE