Altro importante contributo al dibatitto sul Primitivo5 min read

Gregory Perrucci, proprietario di una importante azienda pugliese, entra nel dibattito sul Primitivo apportando prospettive storiche importanti ed evidenziando alcune scelte non certo favorevoli per il vitigno. Volentieri pubbblichiamo il suo intervento e lo ringraziamo.

 

 

L’articolo sul Primitivo scritto da Pasquale Porcelli ha trovato un autorevole replica da parte dell’Assessore Stefano “innestando” così un dibattito al quale non voglio mancare di partecipare, in qualità di produttore.

 

Dirò subito che quella del Primitivo di Manduria è stata un’occasione mancata, ma forse è lo specchio più fedele di una più grande promessa non mantenuta: quella dell’intera viticultura pugliese. Ciò non è imputabile al tenore alcolico troppo elevato o alla scarsa longevità del primitivo, “che ne limiterebbero la diffusione”: forse mai come negli ultimi anni il primitivo si è reso noto a vastissime fasce di consumatori, divenendo un fenomeno popolare e internazionale. Ma proprio questo è il problema: nell’assecondare l’interesse crescente (e dilagante) del mercato, questo prodotto ha lasciato per strada la sua storia, la sua tipicità, perfino la sua affidabilità. E di questo, ritengo, siamo tutti indistintamente responsabili: produttori, giornalisti e istituzioni.

Ripercorriamo la storia recente: il boom del primitivo arriva nel 1992 a Manduria per le critiche incoraggianti di Luigi Veronelli e di altri importanti opinion leaders che si entusiasmano alle nuove interpretazioni produttive di questa vecchia varietà. A quell’epoca i vigneti di primitivo in Puglia erano circoscritti in una ristretta enclave che comprendeva (peraltro parzialmente) il territorio della doc Manduria. A Gioia si contavano sì e no poche decine di ettari. Il mito della superproduzione per la distillazione aveva decimato ovunque gli alberelli per favorire i famosi tendoni di uve meno tipiche, meno interessanti, ma evidentemente più redditizie (sangiovese, trebbiano, montepulciano, garganega). Solo tra Manduria, Avetrana, Maruggio, Torricella e Sava avevano resistito schiere di agricoltori, pagando per anni fortissime penalizzazioni economiche nel mantenere quei vigneti tradizionali con rese bassissime! Il successo repentino a fine anni 90 e l’affermarsi di alcune limitate produzioni di qualità, sollecitarono una enorme domanda che trovava impreparata gran parte dell’offerta: l’unica discriminante per un primitivo, nella concezione comune dei produttori dell’epoca ( e purtroppo di molti ancora oggi) era il grado alcolico: nel senso che più era alto il grado e migliore era ritenuto il vino, con buona pace di tanti altri elementi fondamentali come l’acidità, la tannicità, l’equilibrio e la stabilità! Da questa errata concezione, retaggio della tradizione del commercio sfuso all’ingrosso dove la quotazione del vino avviene per grado/hl, discese l’illusione di poter soddisfare immediatamente il mercato avvalendosi della soluzione approntata inconsapevolmente dalle istituzioni: le igt di primitivo.

L’errore più grosso lo fecero i produttori della doc Manduria i quali, invece di cominciare a pensare seriamente alla tutela di un prodotto che stava divenendo sempre più famoso e ricercato pensarono di “accomodarsi” sul sistema delle igt per assecondare ancora una volta la logica quantitativa che li guidava da decenni! La domanda di bottiglie di doc all’epoca era ancora agli esordi e quindi esigua rispetto ai milioni di litri di vini diversi giacenti nelle cantine. Si pensò dunque che col 14 gradi fregiato dalla doc e coordinato attraverso il Consorzio di Tutela e Valorizzazione del Primitivo si sarebbe costruita l’immagine del vino “importante” (oggi si chiamerebbe Grande Vino) col quale accontentare il consumatore più esigente e innamorato del prodotto tipico.
Con il primitivo igt invece si dava da subito un seguito al commercio crescente e quantitativamente rilevante del vino “inferiore” (per il grado e per il suo corrente prezzo di mercato) soddisfacendo i numerosi imbottigliatori del nord che lo acquistavano in cisterne! Per pochi anni i produttori di Manduria ebbero il monopolio del commercio del primitivo imbottigliato (doc) e sfuso igt(migliaia di cisterne). E qui comincia il vero e proprio disastro: spinti da questa enorme domanda i produttori pugliesi cominciarono a piantare ovunque il primitivo, potendo utilizzare le igt puglia, tarantino, salento, daunia. L’enclave della storia, della tradizione e della tipicità del primitivo(manduria e gioia) si dilatavano per legge da San Severo a Santa Maria di Leuca! Ciascuno con la sua ricetta (confezionata dai rappresentanti politici locali che produssero le normative igt secondo le pressioni locali) in termini di rese per ettaro e grado. E qui si smaschera (o si maschera) la vergogna: il primitivo che accese i riflettori sulla Puglia era il doc Manduria, con una resa massima di 90 quintali di uva per ettaro e un grado alcolico minimo di 14. Scippando al Manduria i frutti della tenacia e della difficoltà a coltivare in dette condizioni il vigneto è stata elargita a chiunque la possibilità di scrivere “Primitivo” su un’etichetta producendo: nel Salento, sino a 168 quintali per ettaro e un grado minimo di 12; nella Murgia, sino a 180 quintali per ettaro e un grado minimo di 11,50; nel Tarantino, Valle d’Itria e Daunia, sino a 216 quintali per ettaro e grado minimo 11,50; e –udite udite! – in Puglia, sino a 220 quintali per ettaro e grado minimo di 10,50!!!

Le conseguenze nefaste di questa politica sono oggi evidenti: la stragrande maggioranza di bottiglie di primitivo sul mercato è igt, viene imbottigliato al nord e quegli imbottigliatori sono i veri attori del mercato che si muove solo e soltanto per i prezzi, con qualità variabilissime!

Adesso andiamo tutti assieme a spiegare al consumatore quali sono le differenze tra un vino e l’altro e perché un “primitivo” dalla Puglia può costare da 1 a 30 euro a bottiglia! E, per favore, andiamolo a spiegare al consumatore tedesco, giapponese o americano!

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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