Monte Athos: storia del monte sacro dove il vino non è mai mancato (neanche per Putin)11 min read

Il Monte Athos è un caso raro nella storia del vino greco (e non solo). Ha una tradizione vinicola di quasi due millenni che non si è mai interrotta. Nei secoli anche se le sue vigne sono state distrutte dagli agenti atmosferici, dalle malattie, dalla pirateria o dalla cattiva gestione, sempre altri vigneti hanno preso il loro posto. Questo grazie alle instancabili cure dei monaci, ben coscienti del fatto che la vita monastica è strettamente legata al “frutto benedetto” della vite.

La storia del vino del Monte Athos va di pari passo con la storia dei monasteri costruiti su questo lembo di terra della penisola Calcidica.
Il monte Athos era, nell’antichità, una montagna sacra dedicata a Zeus. I toponimi della zona testimoniano l’esistenza di vigneti fin da quei periodi. Capo Drepano si chiamava Ampelos ed è così che lo menziona Erodoto. Oggi fa parte dei terreni del monastero di Megisti Lavra.

Frati durante la vendemmia

Riferimenti ai vigneti del Monte Athos sono fatti da Tucidide nel 426 a.C. per il vino di Akanthos, così come per il vino di Mendi (città al centro della penisola di Kassandra), che poteva essere definito lo Chardonnay dell’epoca. Bianco, rigoroso e secco era l’unico vino bianco annoverato tra i rossi locali. Fu esportato in tutta la Grecia ma anche sulle rive del Danubio e lungo le coste del Ponto. Anfore con vino di Mendi sono stati trovati in una nave naufragata a Porticello, in Calabria.
Anche il filosofo Teofrasto, allievo di Aristotele e seguace della Scuola Peripatetica, possedeva una proprietà a Stageira, nella Calcidica. Coltivò varie varietà di viti e dedicò gran parte del suo libro sulle piante alla viticoltura. Forse produceva vino perché nel suo libro scrive che “..se mescoli vino duro e aromatico con vino morbido e inodore avrai un vino giusto”. Buoni consigli per un “blend” (come si dice oggi).

Dalla metà del X sec DC con la costruzione dei monasteri, iniziamo ad avere informazioni specifiche sulla viticoltura sul Monte Athos, ma anche dell’area più ampia della Calcidica e Salonicco. Informazioni preziose per il nostro viaggio nel mondo del vino del Monte Athos.
I fondatori dei monasteri, conoscendo il valore del vino per la sopravvivenza dei monasteri stessi, li dotarono di vigneti. Sant’Atanasio, il fondatore del Grande Lavra, il più grande monastero del Monte Athos, fu il primo a piantare vigneti a Mylopotamos.
Non c’erano grandi aree per il grano sul Monte Athos, quindi la viticoltura avrebbe dovuto fornire un prodotto di scambio con i generi alimentari che non si producevano sull’isola. Nel giro di pochi anni l’impianto della vite e la produzione del vino si svilupparono notevolmente.
L’uso terapeutico del vino era molto diffuso nei monasteri. Tali informazioni si trovano in molti manoscritti del XV e XVI secolo di Megisti Lavra, Vatopedi, Iviron, etc. Il vino veniva utilizzato come antisettico, emostatico, antitosse e come medicazioni per occhi e denti. In seguito è stato sostituito dal rakì (un distillato da vinacce. da non confondersi con l’omonimo liquore turco a base d’anice ). Per i monaci era prezioso anche per la produzione di inchiostro. In un manoscritto del monastero di Xenophontos si dice che cospargere le finestre con cumino e vino respingeva le zanzare.


Dal X secolo fino alla fine del XIX secolo, il vino del Monte Athos attraversò varie fasi di crisi, le cui ragioni sono molteplici: conflitto tra monasteri, occupazione da parte dei crociati, dominio turco, legislazione, ecc.
Il XX secolo vede il vigneto del Monte Athos in piena fioritura. Il monaco Gabriel racconta che in quegli anni il monastero di Dionysiou produceva 50.000 ocades (64 tonnellate) di Monoxylite, il famoso vino di Athos. Nel 1912 i monaci celebrano la liberazione dai turchi ma il periodo di pace fu di breve durata.
I quegli anni i monaci e le loro vigne dovranno affrontare due grandi catastrofi che cambieranno i loro vigneti: la fillossera e il disastro in Asia Minore, termine usato principalmente dagli storici greci per definire gli eventi che determinarono, nel 1922, l’abbandono dell’Asia Minore da parte delle millenarie comunità greche.
In Grecia, il primo caso di fillossera è apparso nel 1898 a Pylea, Salonicco. Da lì si diffonde gradualmente in tutta la Macedonia e spazza via tutto. Intorno al 1912-13 colpisce i vigneti di Amyndeon, nel 1918 quelli di Goumenissa e nel 1923 distrugge lo storico vigneto di Siatista.
Nel frutteto di Panagia non abbiamo dati chiari su quando comparve la filossera, probabilmente dopo il 1924-25. Intorno al 1930 il monastero di Megisti Lavra, con i suoi ricchi vigneti, fu costretto ad acquistare vini da Lemnos, Skopelos e da altre isole vicine perché non era in grado di soddisfare il proprio fabbisogno con i vigneti di proprietà.
Il monaco Kourilas nel 1934 parla del completo abbandono dei vigneti del monastero e della riduzione della quota di vino.
Oltre alla grande distruzione, la fillossera portò anche un degrado qualitativo al vigneto macedone. Tra il 1923-30 sono state introdotte varietà provenienti dalla Francia e dalla Bulgaria che hanno modificato la composizione varietale dei vigneti.
Sul Monte Athos, come nel resto della Calcidica, la varietà rossa Limniò veniva coltivata fin dall’antichità. Si trattava della vite Limnia, citata da Aristotele, la cui coltivazione proveniva da Lemnos e prima della fillossera costituiva il 90% della produzione nella penisola Calcidica.

La rinascita dei vigneti di Monte Athos

Negli anni ’70, Evangelos Tsantalis, famoso enologo greco, mentre cacciava sulle montagne della Calcidica, fu costretto da una tempesta a cercare riparo nel monastero di San Panteleimon.
I monaci rimasti nel monastero nella zona di Chromitsa (Kormilitsa) lo portarono a vedere le vigne: ebbe quindi modo di verificare l’abbandono delle tenute e il declino dei vigneti.

Evangelos Tsantalis asieme ad un padre

Tsantalis, grande conoscitore dei vigneti della Grecia settentrionale, era consapevole delle possibilità offerte da questo ecosistema unico. Affidandosi alla sua esperienza e al suo istinto la società Tsantalis intraprese, sulla base di un preciso contratto, sia le gestione delle vigne di Chromitsa, sia il restauro del monastero. L’azienda procedette all’impianto di diverse varietà d’uva, sia greche che internazionali. Va notato che negli anni ’70 le varietà greche non erano apprezzate e non ricevevano l’attenzione di cui godono oggi.
Nel 1981 venne riconosciuto e certificato (un qualcosa di simile alla nostra Indicazione Geografica) il primo vino prodotto sul Monte Athos da Tsantalis: si trattava dell’Agioritikos, un vino proveniente dal vigneto di Chromitsa Metochi.
Ventisei anni dopo “l’Agioritikos”, nel 2007 nacque un nuovo vino, il “Kormilitsa Gold”, un vino rosso di produzione limitata, con un storia che oggi può sembrare particolare. Nel settembre 2005, il presidente russo Vladimir Putin visitò il Monastero di San Panteleimon e durante il pranzo organizzato in suo onore venne servito un vino rosso invecchiato, imbottigliato appositamente per lui (l’etichetta riportava una dedica speciale in suo onore).

Putin rimase entusiasta del vino e chiese che venisse prodotto soprattutto per lui. Così il Kormilitsa Gold, la cui prima annata ufficiale è il 2007, ottenne il titolo di “Vino ufficiale del Cremlino”, mentre la cantina TSANTALI diventò la prima cantina greca “Fornitrice ufficiale del Cremlino”. Ancora oggi il “Kormilitsa Gold Collection”, la cui produzione è di circa 4.000 bottiglie all’anno viene esportato principalmente in Russia e una percentuale molto piccola viene lasciata per altri paesi.
Tsantali è areivato ad oggi a piantare 25 ettari. Oltre alle varietà internazionali di Cabernet sauvignon e Grenache rouge, Evangelos Tsantalis ha insistito sulla coltivazione di varietà autoctone come l’Assyrtiko, l’Athiri, il Roditis e lo Xinomavro; un’attenzione particolare è stata riservata agli antichi vitigni di Limniò presenti a Metochi.
Ma questa è solo una delle molte storie che riguardano il rifiorire dei vigneti attorno ai monasteri del Monte Athos.

Per esempio nel 1997 i vigneti del monastero di Agios Pavlos, vennero visitati da un signore che non ha mai dichiarato il suo cognome e da tutti venne chiamato Giacomo da Padova, al quale il monastero affidò la rigenerazione dei propri vigneti. Il vecchio vigneto del monastero di San Paolo era quasi una giungla, le vecchie viti rimaste crescevano a casaccio tra gli alberi. Giacomo, con la benedizione del monastero, sgomberò pietre e alberi e riuscì a piantare 16 ettari, con Merlot e Sauvignon blanc in modo che il monastero avesse un vino di qualità.

Ecco come è nato il Monoxylite un vino che esiste sia in versione bianca che rossa. Produsse anche dei vini dolci come il Nama, e il Rosa Rubina e soprattutto i “Tre Fratelli”, un Merlot da vendemmia tardiva che prende il nome dalle tre piccole isole di fronte al Metochi (luogo dove vengono fatti dormire gli ospiti) di Agios Nikolaos. Giacomo morì nel 2014 ed il suo lavoro è ora portato avanti dai monaci del monastero. Nella sua tomba i monaci hanno scritto “Αd Dio amico, fratello Jacomo”.

Più a nord sul mare si estende il bellissimo vigneto di Mylopotamos, il più antico vigneto del Monte Athos, piantato da Sant’Athanasios, il fondatore del monastero di Megisti Lavra, nel X secolo. La sua rinascita si deve all’instancabile monaco Epifanio che iniziò ad occuparsene negli anni ’90. Fu il primo a far conoscere i vini del Monte Athos al grande pubblico. Epiphanis è il fiore all’occhiello di Mylopotamos, un rosso da Cabernet Sauvignon, Limnio e Merlot.

Dalla torre di Mylopotamos, a nord, si vede il monastero di Stavronikita, che si erge come un castello sul mare. Lì padre Zosimas si occupa di tre vigneti situati nella foresta, sperimenta continuamente e in ogni botte è presente una miscela diversa di varietà.

Tra Mylopotamos e Stavronikita si trova il grande vigneto del Monastero di Iviron nel quale si coltivano molte varietà di uva. La cantina del monastero, con le sue paraboutes (grandi serbatoi di legno) e le enormi botti, dette podarades, gode di una giusta notorietà. Padre Ioannis imbottiglia il vino Clementius da Merlot, mentre per la tavola del monastero produce un ottimo vino rosso dal vitigno Limniò.
Più a nord, sopra la baia di Vatopedi, si estendono i vigneti ben curati dell’ omonimo monastero. Vatopedi ha sempre avuto una grande tradizione vinicola: oggi ce la ricordano i vecchi paraventi ben conservati e le botti accanto alla moderna cantina. Padre Efthimios, responsabile dei vigneti, imbottiglia con passione vini rossi da Syrah e assemblaggi di Cabernet Sauvignon e Merlot.

Proseguendo verso Lerissos, superiamo il nuovo vigneto ben curato del Monastero di Esfigmenos coltivato a Grenache e incontriamo il nuovo vigneto del Monastero di Hilandar situato vicino al mare. Ci sono ben 160 ettari coltivati a Cabernet Sauvignon, Cabernet Franc e Merlot che affiancano il vecchio vigneto di Vranac, una varietà proveniente dai Balcani. Il monastero imbottiglia un rosso composto dalle tre classiche varietà francesi.
Anche gli altri monasteri producono vino e tsipouro (una grappa Greca) per il loro fabbisogno, sia da propri vigneti che acquistando le uve.

Spero con questi testi di avervi aperto una piccola finestra su questa tradizione millenaria. Mi auguro vivamente che i padri abbiano la forza di continuare e che la rituale benedizione continui ad essere ascoltata durante la piantagione di ogni nuova vigna. “Signore, Gesù Cristo, tu sei la vera vite, e il Padre tuo è il coltivatore. Tu hai chiamato gli apostoli la tua vigna.”

Tra i molti vini citati sono riuscito a trovare e a degustare due vini di Tsantalis.

Agioritiko Avaton 2016 : Xinomavro (50%) – Grenache (30%) – Limniò (20%)
Il vino matura per 10 mesi in botti di rovere francese da 300 litri.
Al naso è fruttato con i classici aromi di legno in fase di integrazione. In bocca ha tannini rotondi, sentori di vaniglia e rbuona lunghezza.

Avaton Gold Selection 2014 : Cabernet Sauvignon (80%), Limniò (20%)
16 mesi in botti di rovere francese nuove e usate (50/50). Colore rosso molto intenso. Aromi di piccoli frutti neri, spezie piccanti e vaniglia. Il palato è asciutto, corposo con tannini e legno ben integrati; sentori di caffè e cioccolato accompagnano le intense note fruttate e speziate: acidità ben bilanciata, il retrogusto è complesso ed il vino è molto persistente.

PS: Vorrei ringraziare la Cantina Tsantalis e la giornalista Eleni Kefalopoulou scrittrice del libro “Monte Athos Wine” per tutte le preziosi informazioni che mi hanno fornito.

Haris Papandreou

Arrivato a Firenze nel lontano 1985 con studi in economia e commercio. Attualmente segretario del Consolato Onorario della Grecia a Firenze e responsabile della parte economica in un studio tecnico. Appassionato di vino e organizzatore di diverse degustazioni di vino greco a Firenze.


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