Adelaide Hills M3 Chardonnay Shaw & Smith, 2007 e 2008: buone notizie dall’altro emisfero3 min read

Quando si va indietro negli anni con l’assaggio dei vini c’è sempre la questione della conservazione delle bottiglie. Come hanno passato la loro vita, più o meno lunga, fino al momento della stappatura?

Non a caso le sorprese più positive arrivano quando si degusta nell’azienda stessa, dalla quale si suppone che non si siano mai allontanate.

Questi due esemplari sono rimasti nella mia cantina dopo l’acquisto diretto dal distributore (all’epoca Dalle Vigne). Ma altrettanto importante per lo stato di salute del vino è la scelta del tappo a vite da parte di Shaw & Smith, che esclude un bel po’ di dubbi e potenziali problemi. Il produttore l’ha adottata per tutte le etichette.

Non a caso siamo in Australia, dove la tecnologia è stata sperimentata fin dagli anni ’70 ed è oggi più che popolare.

La canzone la deve cantare il vino, e se la musica è stonata non c’è l’ipotesi del tappo a offrire scuse. In questo caso è andata bene.

Il 2008 mi è sembrato un capolavoro di armonia e complessità, strutturato eppure scorrevole. Il bouquet fitto ha suggerito subito pane e burro, poi frutta tropicale e nostrana con agrumi in evidenza. Sotto sotto un’accenno di freschezza, tra l’idrocarburo e lo smalto. In bocca ha rivelato linearità e ed equilibrio tra morbidezza e nerbo, con sapidità in primo piano. Finale molto lungo e replica aromatica ben espressa con continuità.

Ho trovato il 2007 appena più austero seppur basato sulla stessa impronta stilistica. Di un colore dorato smagliante, ha impressionato il naso con sentori di frutta secca oltre che fresca (ancora agrumi), di minerale tipo pietra bagnata, di spezie come l’anice. Sostenuto nell’andamento gustativo nonostante qualcosa in meno di alcol, ha rivelato una garbata asciuttezza che me lo ha fatto apprezzare particolarmente al momento dell’incontro col cibo. Anche qui lunga persistenza aromatica.

Nei due casi, una personalità dei vini ben definita a un prezzo accattivante: non ho traccia del listino all’epoca, comunque oggi la versione 2015 dell’M3 è offerta a 46 dollari australiani in vendita diretta, siamo sui 30 euro. Niente male se fra dieci anni presenterà una qualità analoga ai due campioni assaggiati.

La materia prima per queste bellezze viene da tre cultivar di Chardonnay allevate sulle alture denominate Mount Lofty Range, appena a oriente di Adelaide.

L’indicazione geografica Adelaide Hills è circondata dalle altrettanto famose Mc Laren Vale, Eden Valley e Barossa Valley, nell’area dei primi insediamenti viticoli significativi ad opera di coloni di origine tedesca.

La denominazione tutta e Shaw & Smith in particolare sono di reputazione particolarmente “fresca” per via dell’altitudine e addirittura per una certa umidità, merce rara su tutto il continente.

I bianchi aziendali provengono per lo più da un impianto del ‘99 su scisti argillose appena sotto i 500 metri in località Lenswood (e a questo cru è stata dedicata un’etichetta speciale a partire dal 2012).

La situazione di dieci anni fa era un po’ diversa, e i due campioni assaggiati provenivano prevalentemente dal vigneto denominato appunto M3. L’impronta piuttosto fresca l’ho ritrovata nell’assaggio: siamo lontani da quella pesantezza che all’epoca caratterizzava tanti chardonnay australiani e non.

Il profilo del vino è anche il risultato di una mano enologica molto accorta. Le retroetichette parlano di una “limitata” fermentazione spontanea in barrique e di una malolattica “parziale”, accennando  a una lunga permanenza sulle fecce e a un successivo affinamento in legni: tutti dettagli che alla luce dell’assaggio lasciano intendere una sapiente gestione del mosto-vino, flessibile a seconda delle circostanze.

Tanto di cappello alla luce dei risultati, tenendo anche presente che le due annate furono considerate senz’altro buone ma non eccezionali per i bianchi della zona.

Il Master of wine Michael Smith ha fondato l’azienda nel 1989 insieme a Martin Shaw. Da allora questi due cugini la conducono in costante consolidamento e in moderata espansione. Fra le più significative della zona: da seguire.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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