A Oslavia passando da… Canossa4 min read

Oslavia dista da Canossa alcune centinaia di chilometri, ma mentre stamani quattro treni (uno dopo l’altro…) mi portavano a Oslavia dentro di me sentivo che un po’ stavo andando anche a Canossa.

Quindi nei panni di un improbabile Enrico IV sono arrivato davanti ad una giovane Matilde di Canossa, al secolo Klementina Koren, che mi ha scortato per gli ultimi chilometri che da Gorizia mi hanno portato in questa terra i cui vini , bene o male, avevo sempre evitato.

Per questo sentivo di dover “espiare” questa mia mancanza di conoscenza e di passione per una tipologia di vini che (questa è la prima cosa che ho capito) sono in realtà molte tipologie. Non tanto qui a Oslavia ma perchè il termine vini macerati si confonde a livello italiaco e/o mondiale con quello di vini naturali e a sua volta si disperde nei mille rivoli del mondo naturale o pseudo tale.

Oslavia mi aspettava con il vestito della festa: sole, meravigliosi colori nei vigneti e quello che i locali definiscono “il borino”, cioè un vento fresco che ti scortava, passo passo, nelle vigne.

Ma prima delle vigne i vini dei 7 cavalieri della macerazione, riuniti attorno alla Ribolla Gialla di Oslavia, divenuta nel tempo una specie di denominazione a sé, con un suo preciso disciplinare.

La prima cosa che ho capito e che differenzia i produttori di Oslavia da tanti macerati è che per fare un grande vino macerato bisogna avere grandi uve. La macerazione innalza la volatile e se le uve non sono più che sane si arriva da una parte a volatili da aceto e dall’altra a ossidazioni, a vini mosci, imbevibili se non per un voto alla Madonna della Macerazione.

Oggi ne ho assaggiati almeno 2 per cantina, sia Ribolla che altri bianchi e sono convinto che, con un adeguato e non breve periodo di fidanzamento, con la maggior parte di questi potrei anche convolare a nozze.

Per prima cosa ci sono almeno due pregi che non si trovano facilmente, da un lato in un vino che si approssima al naturale e dall’altro in un vino bianco da monovitigno: per prima cosa non hanno difetti aromatici (della volatile parlerò più avanti) in secondo luogo sono l’uno completamente diverso dall’altro e qui, sono convinto, è la mano del produttore ad andare, per fortuna,  sopra al vitigno. Per fortuna perché altrimenti verrebbero fuori forse vini macerati con lo stampino, noiosi come una trasmissione sulle abitudini dei facoceri in inverno.

Le Ribolla di Oslavia non sono per niente noiose, ognuna ha un suo carattere preciso e deciso e in questa diversità sicuramente puoi trovare quella che fa per te. La mia discriminante è sicuramente l’acidità volatile e su quella non transigo, ma se in un rosso da invecchiamento si può arrivare anche attorno a 0.90, la stessa cosa può avvenire per dei bianchi vinificati come dei rossi. Vinificati come dei rossi ma con profumi da vino bianco e questa è un’altra sorpresa che, nella mia strada per Canossa,  non mi aspettavo. Come non mi aspettavo la freschezza che ho trovato in diversi vini e una complessità aromatica di alto profilo.

Naturalmente qualcosa che non mi convince c’è, ma ne parleremo la prossima volta

A questo punto voi vorreste i nomi di quelli che mi sono piaciuti di più, ma la mia cattiveria vi rimanda al prossimo articolo, dove parlerò anche della Banca della Ribolla di Oslavia e di tante altre belle cosine.

Però una riflessione veloce la voglio fare: la zona di Oslavia ha circa 100 ettari di vigneto, e di ribolla gialla non saranno più di 40. Con quaranta ettari sette produttori sono riusciti a far parlare di sé l’universo mondo, ma per farlo e per continuare a farlo avevano bisogno di qualcosa di serio, concreto, vero e non certo delle bubbole che tanto mondo del “macerato-naturale” porta avanti con bieca ostinazione.

Qui a Oslavia ho trovato concretezza, idee chiare e tanta fiducia in se stessi e nella Ribolla gialla.

Il ritorno da Canossa sarà molto più leggero dell’andata.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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