Pare impossibile che ancora oggi in Chianti Classico per arrivare ad una cantina si debbano percorrere diversi chilometri di strade bianche, sempre immersi in boschi senza il segno di anima viva a due gambe ma… a quattro pure troppe. Probabilmente sono gli stessi boschi che nel tardo Rinascimento hanno visto passare la famiglia di Michelangelo Buonarroti, proprietaria di queste terre allora molto più scontrose di adesso, e forse anche il grande artista.

Questo succede se vai a trovare Leon Femfert a Nittardi. Quando arrivi sei sempre accompagnato dal bosco chiantigiano a cui si aggiungono innumerevoli opere d’arte che vengono dai quattro angoli del mondo: questi due elementi ti portano a case rispettosamente rustiche che cercano di prendere il meglio di tutte e due.

Per i vini c’è tempo perché a Nittardi, in questo sperduto ma comunque raggiungibilissimo angolo di terra, bosco e vigna vicino a Castellina in Chianti il tempo sembra deformarsi, forse perché la bellezza che hai attorno ti trasporta in una dimensione leggermente diversa. Per esempio quando ti metti ad ammirare il panorama e trovi mezzo Chianti Classico davanti a te, con boschi (tanti!), vigne (poche) e paesi come Panzano che sembrano spuntare da un mare verde e mosso dal vento. Impressionato dalla paurosa bellezza del luogo e del panorama per un attimo mi sono sentito Macbeth che vede avverarsi la profezia delle streghe, con il bosco di Birnam che avanza verso Dunsiname. Per fortuna Leon mi ha portato fuori da questi pensieri, prima accompagnandomi in cantina dove si capiscono i vantaggi di fare le cose con semplicità, e poi ad assaggiare.

Ma prima delle bottiglie le etichette: sono da anni un collezionista delle artistiche etichette del Chianti Classico Casanuova di Nittardi, che da qualche anno proviene interamente dalla Vigna Doghessa; più precisamente colleziono le carte, con sopra un’altra opera d’arte della stesso artista, che le avvolgono. Alcune le ho anche incorniciate e così vederle tutte assieme mi fa un certo effetto, come del resto aprire a caso un libro fatto da loro e scoprire che un’ etichetta è stata fatta da un certo Günter Grass, premio Nobel per la letteratura nel 1999.
Il vino è il Chianti Classico del 2008 e questo mi porta a parlare dei vini di questa azienda acquistata nel 1981 e poi notevolmente ampliata dal gallerista/mercante d’arte Peter Femfert e da sua moglie Stefania Canali: i vini, tra gli anni ’90 e la prima decade del nuovo secolo, avevano seguito gli andamenti ondivaghi del Chianti Classico per poi trovare una loro strada ben precisa. Quella che oggi li propone come dei sangiovese gentilmente austeri, figli di un terreno aspro e di una mentalità rotonda e armonica: sono Chianti Classico che hanno bisogno di un po’ di tempo per esprimersi e poi lo fanno con sostenuta ma garbata finezza. Le vigne chiantigiane (c’è anche una propaggine di Nittardi in Maremma) si trovano tra i 400 e i 500 metri attorno a Nittardi, mentre quelle a Villa Rosa, sempre nel comune di Castellina in Chianti, sono un po’ più in basso. In qualche vino, tipo la Riserva, c’è anche un 10% di merlot, ma questo serve solo a dimostrare quello che per me è un vecchio assioma e cioè che il merlot, dopo un po’ di anni che è piantato in queste terre, “Chianteggia” alla grande, cioè assume caratteristiche più austere e lineari rispetto a quanto può succedere altrove.

Ammetto che in passato non ero molto attratto dai loro vini, proprio per quella austerità che forse era meno gentile, e per la mia scarsa conoscenza dei vini di questa parte del territorio di Castellina in Chianti. Ho cambiato idea assaggiando oggi qualche loro vecchia annata e scoprendo come questo sangiovese, anche quando veniva affiancato da dosi minime di merlot, fosse comunque profondamente chiantigiano, con quella ruvida ma accondiscendente pienezza tannica che caratterizza i vini di razza di queste terre.
Gli assaggi fatti con Leon sono andati dal Chianti Classico 2022 a vecchie annate di Riserva come la 2010 e in questo percorso ho ritrovato quanto dicevo prima, una strada molto chiara verso una ruvida ma verace chiantigianità del sangiovese, alleggerito, affinato e nello stesso tempo quasi temprato per durare nel tempo.

A Nittardi, proprio perché sei circondato da opere d’arte, può venirti l’idea di definire i loro vini o i buoni vini in generale come opere d’arte. In realtà il vino, il buon vino è al massimo un prodotto artigianale che parte da un desiderio, affonda le sue radici nella concretezza della terra e a quella ci riporta. Il vino non è un’opera d’arte e dio ci salvi da chi lo sostiene, però fare vino in luoghi dove l’arte è di casa, parafrasando Leonardo mi porta a dire che “Et però credo che molta felicità sia nei vini che nascono dove si trovano uomini e luoghi buoni.”