Il triangolo no, non l’avevo considerato5 min read

Certe volte se Maometto non va alla montagna è la montagna ad andare da lui, magari sotto mentite spoglie. Anche se Il caso in questione in realtà non è  importante e non ha bisogno di scomodare (visti anche i tempi..) maometti e montagne varie, quello che è successo qualche giorno fa  mi ha fatto venire in mente questo azzardato paragone.

 

Non ero voluto entrare nel merito della strano triangolo Gambero Rosso- Lidl-Chianti Classico, che ha visto i primi farsi garante dei prodotti venduti dai secondi, nella fattispecie un Chianti Classico annata messo in scaffale, udite udite, allo stratosferico  prezzo di € 3.99. Di come una rivista possa farsi garante di una cosa del genere e come una denominazione blasonata ne esca non ho creduto fosse il caso parlarne, perché oramai i giochi erano fatti.

 

Ma, come accennato, qualche giorno fa mi è successa una cosa strana. Ero con un gruppetto di giovanissimi enologi ed ognuno aveva portato qualche bottiglia bendata. Una delle prime in degustazione era una bottiglia piuttosto pesante, di spalla larga.

Viene versato il vino e iniziano le solite domande “Cosa vi sembra?” “Da che zona viene?”.  Dopo una discussione nemmeno tanto lunga siamo quasi tutti d’accordo che il vino in questione sia un Sangiovese, anche se (cito le testuali parole di uno dei degustatori) “Magari con altre uve dentro e piuttosto taroccato…sicuramente ben fatto ma estremamente ruffiano e poco tipico”.

Gli viene riscontrata anche una strana nota di china e tutti siamo d’accordo nel dire che il vino è molto più attraente al naso che in bocca, dove non ha una grande struttura, che comunque valutiamo sicuramente più importante se si parlasse di un chianti classico d’annata.

Quindi, ricapitolando: colore porpora intenso, naso con sangiovese ma molto ritoccato e con ruffianeria moderna, bocca di medio corpo ma comunque rotonda, con tannino presente ma molto arrotondato, media lunghezza. Un vino indubbiamente poco caratteristico dal punto di vista del territorio (se fosse un Chianti classico) ma alla fin fine bevibile.

Scopriamo il vino e vediamo quello che vedete anche voi. Un Chianti Classico Riserva che la Lidl vende a  € 4.90, dico 4.90.

Ora facciamo due conti: se ci mettiamo almeno un euro tra bottiglia (pesante), tappo, etichetta e  imballaggio arriviamo a 3.90. Quando ci ricaricherà a bottiglia la Lidl, considerando la pubblicità a livello nazionale e magari un eventuale contributo al partner Gambero Rosso….diciamo tra il 25 e il 30% e facciamo una media di almeno un altro euro abbondante a bottiglia?

Ci vogliamo considerare IVA e balzelli vari per almeno 40 centesimi? Ci ritroviamo così ad un costo di circa 2.50 euro a bottiglia, che al litro fa meno di 3.50 euro per un vino che , recita l’etichetta, viene invecchiato almeno per due anni, ma visto che è del 2009 (anche sembra molto più giovane..)il produttore se lo è tenuto in cantina per almeno 4 anni pieni.

 

Se consideriamo però che in questo periodo il prezzo del Chianti Classico di annata in cisterna è attorno ai 200€ al quintale, possiamo tranquillamente ipotizzare che una riserva vada attorno ai 3€ abbondanti e quindi affermare che il consumatore finale paga praticamente questo vino come se lo avesse comprato sfuso…in bottiglia. Quest’ultimo quindi fa sicuramente un affare ad acquistare il vino.

Bisogna poi capire che affare abbia fatto il produttore a liberarsi (vendere credo sia una parola grossa)di tali quantitativi (a vedere dalla retroetichetta il vino verrà venduto in molti paesi) e che vantaggio (oltre a quello meramente finanziario) abbia avuto una rivista così importante ad avallare una chiara operazione promozionale.

 

Ma quello che vorrei capire adesso è quanto REALMENTE un’operazione del genere porti discredito alla denominazione Chianti Classico. Ragioniamo: anche i sassi sanno che ogni denominazione che si rispetti ha il suo “ventre molle” e che questo si ritrova sempre nella grande distribuzione. Quindi chi oggi si scandalizza per una cosa che è accaduta, accade e accadrà ovunque credo non veda la reale portata della cosa, specie considerando il fatto che il prezzo pagato al produttore di vino è sicuramente basso ma quasi in linea con il prezzo del vino sfuso.

Ma torniamo a noi…il signor X, non esperto di vino, acquista ad un prezzo bassissimo (all’opposto probabilmente non l’avrebbe fatto mai) un vino di una denominazione blasonata e, per fortuna, quel vino è pure qualitativamente in linea con tanti prodotti della stessa denominazione che, proprio perché i produttori devono guadagnare e non solo far girare i soldi, hanno prezzi più alti. Magari non è proprio “tipico” ma questo al nostro signor X non interessa, anzi la rotondità aiuta a bere.

Gli interessa invece che quel vino valga alla grande il prezzo pagato e magari lo consiglierà al signor Y o, ancora meglio, comprerà un’altra bottiglia di un altro Chianti Classico Riserva e magari  ne parlerà. 

 

Ripeto, non mi riferisco agli esperti magari con la puzza sotto il naso ma a persone che spendendo 5 euro per un vino qualsiasi pensano di acquistare un prodotto di fascia alta. In questo tipo di mercato, che ha regole finanziarie ferree, quest’operazione per la denominazione credo sia vincente. Nell’altro mercato, quello dove i vini hanno il prezzo che meritano, non penso incida più di tanto, proprio perché esistono da sempre quantitativi che devono essere smerciati in qualche modo e questo non è certamente il modo peggiore. Basta dare un’occhiata ai volantini delle varie catene di distribuzione per  capirlo.

 

Alla fin fine credo serva solo ad alimentare discussioni tra impallinati……a proposito di impallinati…chi imbottiglia vino in Via di Gabbiano 34 a San Casciano Val di Pesa?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Il triangolo no, non l’avevo considerato5 min read

  1. …è vergognoso come certe guide si lascino corrompere dalle leggi di mercato …alla fine il loro declino è segnato e sciocco chi ancora crede che: tre bicchieri, stelle, cappelli o grappoli siano dati per merito del vino stesso.
    Finiamola con queste pagliacciate e diamo merito a chi veramente se lo merita….

  2. purtroppo è ciò che accade ogni settimana in queste GDO dove si alternano vini italiani e francesi tutti battezzati dal Gambero Rosso a prezzi stracciati. E i consumatori più attenti al prezzo che alla qualità  ne riempiono i carrelli

  3. il problema vero risiede nei disciplinari delle DO, sono dettagliati nei minimi particolari fino a definire i capitesta utilizzati in vigna e mancano della cosa più importante … il prezzo minimo di vendita. Non si può fare per via delle grosse aziende che non lo vogliono, perché producono e vinificano di tutto a basso costo e rivendono con il valore aggiunto del nome.

  4. Se un prodotto vale 3 euro non può essere imposto un prezzo né di 3,10 né di 4,20 né di 5,30. Vale 3, ci guadagnano a venderlo a 3 perché la GDO non è la San vincenzo de’ Paoli, si venda a 3. Semmai il problema è nella qualità  del prodotto. I disciplinari garantiscono l’origine e basta, mentre il consumatore crede che garantiscano anche la qualità . I disciplinari affidano l’analisi della qualità  a delle commissioni che abbiamo già  verificato come inaffidabili sia in casi di porcherie spacciate per buone sia in casi di ottimi vini cassati per difetti inesistenti. Ci vuole una distinzione qualitativa su tutte le bottiglie di vino vendute. Veronelli aveva proposto la De.Co. garantita dal sindaco. Non se n’è più sentito nulla. Se trovo un bollino di distinzione qualitativa su una bottiglia, non so… tipo di una catena di Enoteche, oppure una medaglia vinta a un concorso, allora posso stare tranquillo che non è porcheria, che si può bere, anche a 3, perché è passato per il giudizio di esperti davvero indipendenti.

  5. Sig. Crosta, il bello e il brutto del vino è che tutti hanno ragione e tutti hanno torto proprio perché nell’assaggio non esiste oggettività , ma soggettività .
    Un vino che lei reputa strepitoso per me può essere imbevibile e viceversa. Poi ci possono essere pareri comuni, certamente.
    Ma come fare quando c’è in gioco l’approvazione di un vino? E qui entrano in gioco prima i laboratori di analisi certificati e dopo le commissioni di assaggio. Il vino è chimicamente conforme? Bene si va all’assaggio. Un giudizio di maggioranza decide se quel vino è o meno conforme alle caratteristiche organolettiche descritte nel disciplinare.
    Se ci fossero polemiche in seguito a rivedibilità  o bocciature, un produttore ha gli strumenti (analisi chimiche in primis) per fare ricorso e dimostrare la propria aderenza al disciplinare di produzione (che lui ha accettato a priori).
    Far decidere l’appartenenza ad una DO a una enoteca o dei concorsi mi sembra un tantino fuori luogo come serietà ”¦

    Non sono il difensore delle commissioni ma mi sembra giusto puntualizzare”¦

  6. Sono d’accordo con lei, Francesco B, infatti non metto in discussione l’appartenenza ad una DO com’è attualmente in vigore, visto che l’appartenenza ad una DO è esclusivamente garanzia di origine e non c’entra nulla con la qualità . Faccio buon viso a cattivo gioco e mi accontento del parere “autorevole” sull’origine da parte della commissione della CCIA del territorio. Ma questo è cosa diversa dalla qualità . Io sono tranquillo della qualità  soltanto se c’è qualcos’altro oltre alla garanzia dell’origine e cioè un segno distintivo da parte di una catena di enoteche o di una giuria di concossi indipendenti. Diciamo che da cliente non mi frega nulla di sapere se un vino è Chianti perché l’ha stabilito una commissione che deve soltanto garantire che sia nato nel Chianti. Non mi basta. Se vale una cicca, vale una cicca anche se si chiama Chianti. E ce ne sono centinaia. Anzi, sembra che ce ne sia uno solo, fatto però a decine di milioni di litri tutti uguali e tutti senza un briciolo di dignità , imbottigliato però con tante etichette diverse a seconda dello stato estero cui è destinato. Questo è il nocciolo della questione. Che possa essere venduto, spacciato, a 3 euro, son cavoli dei suoi produttori. Possono. Facciano. Contenti loro. Ma ho il diritto di sapere, prima dell’acquisto, che qualità  potrei aspettarmi da un acquisto fatto soltanto sulla base dell’origine? Un bollino messo da un concorso, messo da una catena di enoteche, messo da un sindaco, per fare solo tre esempi? Ecco, questo mi renderebbe più tranquillo. Mi stanno prendendo per il sedere da troppi anni con una DOCG che ha perso per strada il suo fascino e la sua credibilità  e adesso vuol ritornare verginella dopo aver battuto tutti i marciapiedi del mondo. Tutto qui. Ah… sia ben chiaro, dopo aver bevuto dei Barolo imbottigliati di Morando e comprati a Lidl non mi sentirei proprio di dire che il caso di questi “chianti(?)” sia isolato. Per non parlare di Orvieto dei sensi eccetera, o dei prossimi vini di moda di chissà  chi e chissà  dove. Il consumatore ha il diritto a capire che qualità  si cela nella bottiglia che acquista. Una cagata pazzesca da 3 euro con lo stesso nome, gli stessi crismi in etichetta, la stessa fascetta rosa, che si spaccia per analogo a un signor vino da 15 euro con lo stesso nome e gli stessi crismi e la stessa fascetta mi sembra turlupinare l’acquirente, anche se è tutto legale. Ho puntualizzato anch’io, se lei permette.

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