Roero: terra di buoni vini… “ma anche”.6 min read

Da qualche mese, da quando è divenuto di moda il "tormentone veltroniano”, non posso non pensare  al Roero come alla terra del “ma anche”.

Domandate infatti ad un langarolo se produce vino: la risposta sarà ovviamente un secco “Si!”. Se la stessa domanda la facciamo invece  ad un agricoltore roerino dopo il classico “Si” aggiungerà “ma anche…”  inanellando una serie di prodotti: dalle pesche, alle nocciole, alle pere, alle fragole, alle castagne, passando per gli ortaggi, arrivando fino al miele e andando oltre.
Questo è la più grossa differenza tra questi due territori, che sembrano divisi soltanto dal Tanaro.

In realtà le differenze si sono accentuate negli ultimi 30 anni, quelli in cui la Langa è divenuta una terra dedita alla monocoltura del vigneto, mentre il Roero è rimasto simile a se stesso, divenendo in pratica “ l’orto ed il giardino della Langa”. Per rendersene conto basta uscire da Alba in direzione Canale (magari in moto, come ho fatto io) e poi prendere una delle tante stradine che costeggiano una campagna dove le vigne sono un corollario delle molte colture  o semplicemente di boschi e prati.
“Strada facendo”, in sella alla mia moto, mi viene quasi da piangere pensando che la penna potrà dare ben poco spazio a tutto questo bendiddio, visto che i protagonisti dell’articolo dovranno essere i vini del Roero.
Ma che palazzo è quello che vedo sulla mia sinistra? Sembra portato qui dalla Reggia di Versailles! Care le mie vigne del Roero, dovete aspettarmi un po’, perché non posso non fare un giro nel Castello di Guarente, edificio settecentesco voluto dai Conti Roero, proprio quelli che hanno dato nome al territorio. Giardini all’italiana perfettamente conservati ne sono la bellissima cornice, forme slanciate, ma anche (ci risiamo….) aggraziate e dolci ne fanno forse il palazzo più bello del comprensorio, Langa (ovviamente) compresa. 

A proposito di forme dolci! Permettetemi di fermarmi un attimo a Canale, comprare una scatola di Duchesse e continuare poi verso le vigne. Dopo tutto sono ben ancorate al terreno e non scappano mica! Poi magari siete anche curiosi di sapere cosa è  la Duchesse: ma è semplice! Sembra un amaretto, magari leggermente più grosso e di pasta più compatta. Guardandolo meglio ricorda molto il “cuneese” quel pasticcino a base di cioccolata e liquore. Se lo annusi  rimani incerto tra questi due, però senti anche dei profumi che vanno oltre. Per comprenderli lo metti in bocca: ti aspetti  qualcosa di croccante ma invece è anche morbido, fai attenzione alla dolcezza e spunta fuori una nota amarotica, affiancata in un attimo dal gusto di liquore. Cerchi di capire il tipo di liquore ma il palato è attratto dal gusto di nocciola. Nel frattempo l’hai già ingoiato e, mentre fai l’inventario delle sensazioni avute ti accorgi che qualcosa (o molto) ti è sfuggito che, insomma, ci hai capito poco o nulla. Non ti resta quindi che prenderne un altro in mano e ricominciare. Sembra un amaretto……e a questo punto, come unica certezza sai che viene prodotta solo da una pasticceria di Canale.
Va bene! Arrivo al vino…….anche se un accenno alla Castagna Canalina e magari alle Strade del Miele non ci starebbe male…..no eh……. Solo il vino vi interessa….. D’accordo!
Dopo tutto sono uno che da più di dieci anni si assaggia tutti i Roero in circolazione e che oramai si è fatto un’idea abbastanza chiara su questo rosso…..
Cosa dite? Che in Roero si fa anche l’Arneis, che è un bianco e non è niente male?
Lo so! Ma volete lasciarmi in pace e farmi scrivere quello che mi pare? Perché, se mi fate girare i cosiddetti va a finire che mi viene voglia di parlare anche della pera madernassa, originaria proprio di Guarene…..
Scherzavo! Scherzavo. Torno a parlare di vino….serio serio.
Il Roero, da pochissimi anni DOCG , nasce praticamente da uve nebbiolo in purezza. Ma che differenze ci sono tra i nebbioli del Roero e quelli di Langa? In passato si fotografavano come vini particolarmente ruvidi, con scarse caratteristiche di finezza e complessità: tutto questo a fianco di una longevità non certo da accademia. Anche se questo poteva essere vero, almeno fino ad una decina di anni fa, nessun produttore langarolo ha mai disdegnato i nebbioli roerini per metterli dentro ai loro vini più blasonati. In realtà il Roero è un vino complesso che risente molto del terreno e della relativa giovinezza della denominazione. Basta fare un giretto in Roero e guardare i vigneti che circondano le ripide colline. Siamo di fronte ad impianti o molto vecchi con ottime densità per ettaro oppure molto giovani e piantati come dio comanda. I terreni su cui crescono sono molto diversi da zona a zona: spesso abbiamo grande componente calcarea, oppure notevoli percentuali di sabbia, che però non sono assolutamente caratteristiche negative per il nostro vitigno. Anzi: i profumi dei nebbioli da Roero che nascono su terreni molto sabbiosi sono una delle cose più belle di questo territorio. In passato però, accanto ad alcuni vini profumati e ben fatti, trovavamo delle rese incredibili per ettaro, affiancate a sistemi di vinificazione che in Langa erano stati abbandonati da 15-20 anni. Il tutto portava a nebbioli rustici ma anche.. (sic!) diluiti, poco profumati e  di scarsa longevità. Ma le cose cambiano ed oggi una discreta pattuglia di produttori presenta vini da Nebbioli di gran corpo e struttura, che hanno sempre una certa sana ruvidità , ma anche grasso e polpa, con complessità aromatiche di tutto rispetto. Fino a 2-3 anni fa constatavo (in alcuni casi) un eccessivo uso di legno piccolo, ma oggi le cose sembrano virare verso un maggiore equilibrio Le ultime annate degustate (2005 e 2004) parlano un linguaggio di eleganza e i riscoperta di finezze che mi fanno ben sperare per il futuro. Torniamo però un attimo al passato: recentemente ho degustato alcuni Roero del 1998, un periodo in cui il nostro vino non aspirava certamente a durare secoli. Anche se sono rimasto sorpreso dalla tenuta dimostrata  la mia idea per il Roero DOCG è un’altra: un vino soprattutto da poter godere subito, che unisca il corpo del nebbiolo ai profumi che solo su certi terreni queste uve possono dare. A voler per forza puntare solo su un Roero “baroleggiante” si rischia la fine della rana che si gonfiava sempre più per assomigliare al toro. Nella terra del “ma anche” un vino non può essere “solo” potenza: deve “anche”dare sensazioni variegate, giocare sulla freschezza aromatica immediata più che sulla complessità futuribile. Questo servirebbe  a trovare una connotazione più precisa sul mercato, dove il vino muscolare sembra aver fatto il suo tempo.
A proposito di tempo: visto che ne ho un po’ a disposizione e sono per strada avrei quasi voglia di fermarmi a Priocca da un caro amico ristoratore per provare qualche bel Roero su un brasato coi fiocchi. Il problema è che non fa buono solamente il brasato “ma anche” la carne cruda, i tajarin, gli agnolotti, il coniglio e via cantando. Il rischio è quello di farci notte. Meglio soprassedere. La moto però non vuol sentire ragioni e punta diretta verso Priocca……che volete…alla moto del cuor non si comanda…!

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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