E’ cambiato il ruolo della donna nel mondo del vino?4 min read

Nelle ultime settimane c’è stata una bella discussione intorno al ruolo delle donne e al loro stile nel settore vino. Avevo venti anni quando ho iniziato a lavorare in questo campo e quest’anno ne compio 57, fate voi il conto di quanti anni sono che vivo questa realtà.

Quasi quaranta, in cui il mondo del vino italiano è profondamente cambiato negli obiettivi e nei metodi trasformandosi dallo stereotipo del fiasco con etichetta bianca, rossa e verde e quasi inesistente presenza delle donne (se non come “le mogli di”) a livelli qualitativi tra i più alti al mondo e donne in primo piano nel 30% delle aziende.

Tra gli argomenti discussi ultimamente quello dell’accettazione delle donne a pari livello degli uomini.

Senza alcuna presunzione (non è merito mio se sono nata prima) mi è venuto da sorridere ai commenti sul fatto che a tutt’oggi le donne non sono considerate allo stesso livello degli uomini o perlomeno è necessario da parte loro un grande impegno per arrivarci.

Sul fatto che per arrivare a pari livello con gli uomini sia necessario essere molto più brave di loro purtroppo sono ancora d’accordo, ma almeno è assodato che debba essere così. Somo felice di  portare la mia esperienza su questo tema nell’ambito della comunicazione, che è il mio pane quotidiano a partire dalla seconda parte degli anni ’80, per dimostrare quanto possa essere più facile riuscirci oggi di allora.

Quando ho iniziato a lavorare al Consorzio del Vino Nobile di Montepulciano un po’di abitudine a rapportarmi quasi solo con uomini ce l’avevo grazie all’essermi diplomata in una scuola per periti agrari, dove la presenza delle donne si attestava intorno al 10%. Eppure ci è voluto coraggio ad affrontare due riunioni di selezione da parte del consiglio di amministrazione composto da 12 uomini. Fui assunta non per le mie capacità che effettivamente non avevo, ma perché chi voleva avere il controllo del Consorzio spinse perché fossi scelta io che, in quanto giovane donna al primo impiego, si pensava fossi controllabile e quindi gestibile.

Donna = possibilità di controllo (un po’ scema insomma!). Purtroppo per loro, tra i tanti difetti che ho già allora c’era quello dell’ingovernabilità e quando sei anni dopo detti le dimissioni si erano più volte morsi i gomiti per la scelta fatta.

Nel corso di quegli anni sono passata da mansioni solo di segreteria ad un lavoro unanimemente considerato di direzione da tutti gli interlocutori esterni al Consorzio. Direttore per chi entrava in contatto con il Consorzio, ma mai ufficialmente classificata come tale. Che se fossi stata un uomo la promozione sarebbe stata riconosciuta anche ufficialmente, mi pare piuttosto chiaro. Partecipavo a riunioni e interloquivo per lo più con uomini di quaranta anni più vecchi di me che il più delle volte vedendomi così giovane e donna davano per scontato che di vino non ci capissi niente. La cosa era abbastanza vera, ma sulle questioni che discutevamo avevo invece la preparazione che serviva altrimenti il consorzio non mi avrebbe mai mandata da sola.

Per di più la gran parte di loro si sentiva in obbligo di “provarci”, sembrava quasi che se non lo avessero fatto sarebbero sembrati meno maschi (non è che io fossi così affascinante da far perdere la testa a tutti).

Nel 1991 ho aperto un’agenzia di consulenza per la comunicazione il marketing e le pubbliche relazioni. Non so se sono stata la prima, ma di sicuro eravamo pochissime a dare questo tipo di consulenza. Non dico ogni volta, ma di sicuro molto spesso, quando acquisivo una nuova consulenza l’opinione di molti era non che me lo meritassi perché professionalmente brava, ma perché avevo concesso le mie grazie a chi me l’aveva affidata. Sessismo? Indubbiamente sì, bieco e maschilista.

Troppe volte per farmi prendere in considerazione professionalmente ho dovuto far pesare la mia professionalità soverchiando quella dell’interlocutore e mettendolo all’angolo. Nel tempo le cose sono migliorate sia perché altre donne sono entrate nel settore sia perché io ero sempre più conosciuta e quindi avevo meno necessità di affermare la mia professionalità o il mio modo dii lavorare.

Poi il mio settore comunicazione è esploso e si è passati dal considerarlo accessorio a ritenerlo prioritario (direi anche troppo! Come se avere un buon PR facesse prendere premi più della qualità del vino). Sono sbucate dal nulla molte agenzie di comunicazione che, essendo diventato il vino un prodotto di moda, hanno pensato di fare lauti profitti grazie alla loro abilità in altri settori.

Non poche volte ho visto donne carine sfruttare il loro aspetto e richiamare l’attenzione degli interlocutori (produttori e stampa) grazie ad un abbigliamento provocante o ad atteggiamenti ammiccanti. Allo stesso tempo però ho incontrato ottime professioniste che, pur non tralasciando la cura di se stesse, hanno saputo imporsi con la propria professionalità.

C’è una nuova categoria di comunicatori dove le giovani la fanno da padrone. Blogger, influencer e nuove comunicatrici mi pare però diano spesso un eccessivo risalto alla loro femminilità, che sarebbe sciocco nascondere ma credo sia poco professionale usare per mettersi in evidenza, mettendo in secondo piano la propria preparazione.

Non possiamo chiedere agli uomini di riconoscerci paritetiche se noi per prime pensiamo di aver bisogno di certi espedienti per sentirci tali.

Maddalena Mazzeschi

A 6 anni scopre di avere interesse per il vino scolando i bicchieri sul tavolo prima di lavarli. Gli anni al Consorzio del Nobile di Montepulciano le hanno dato le basi per comprendere come si fa a fare un vino buono ed uno cattivo. Nel 1991, intraprende la libera professione come esperto di marketing e pubbliche relazioni. Afferma che qualunque successo è dovuto alle sue competenze tecniche, alla memoria storica ed alle esperienze accumulate in 30 anni di lavoro. I maligni sono convinti che, nella migliore tradizione di molte affermate PR, sia tutto merito del marito! Per Winesurf si occupa anche della comunicazione affermando che si tratta di una delle sfide più difficili che abbia mai affrontato. A chi non è d’accordo domanda: “Ma hai idea di cosa voglia dire occuparsi dell’immagine di Carlo Macchi & Company?”. Come darle torto?


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