Rosato e bollicina sarà lei!2 min read

Scusate il francesismo ma mi sono rotto i coglioni! Sarà il caldo, sarà che invecchio ma devo sfogarmi.

Qualche anno fa Maurizio Zanella, l’allora presidente del Consorzio Franciacorta, lanciò una crociata per non chiamare “bollicine” o “Spumanti” o metodo classico” i Franciacorta, che dovevano essere chiamati rigorosamente solo… Franciacorta. Quindi se uno chiedeva cos’era un Franciacorta si poteva solo essere tautologici, affermando che “Un Franciacorta è un Franciacorta!”

Oggi si assiste alla crescita di un movimento, da me definito “Rosatista”, che  pone severe restrizioni al modo di chiamare i vini rosati. Non si dovrebbero chiamare Rosé perché troppo francofono, ma purtroppo neanche rosati, perché… non ho capito perché, ma fondamentalmente perché in questo momento non fa figo.

L’unica soluzione prospettata e propugnata con forza è il termine “Vino Rosa” che però oramai rosa non è più perché nella zona del Chiaretto   sono tutti color buccia di cipolla scarico, mentre nel Salento hanno tonalità che ricordano gli abiti delle bambole nelle comunioni al sud.

Ma questi sono particolari irrilevanti, perché  non è importante che il vino sia buono, ma che sia “marketing oriented”  e quindi avanti coi carri del “vino rosa” e del “non chiamatele bollicine ”.

Ci si è messo anche un giornalista come Camillo Langone, che  oggi ha dato di imbecilli agli italiani perché invece di bere rosé come i cugini d’Oltralpe fanno con stile ineffabile, bevono caciaronamente arancione in onore della moda imperante degli spritz.

Fermo restando che lo spritz sta al vino come un paio di vecchie mutande  ad un abito di Dior, prendendo quanto dice Langone come il Vangelo, i limiti cromatici si ristringono ancora. Quindi attenzione perché passare da un culturalmente elevato e modaiolo “rosa” ad un rimbecillente arancione il passo è breve.

Per adesso i vini rossi si stanno salvando da questo stillicidio gergale, ma già mi aspetto acute elucubrazioni, per esempio  sulle Schiave che potrebbero essere “color claret” e sul Sagrantino di Montefalco tendente al nerofumo.

Non si stava certo meglio al tempo del “Bianco o nero?”, però si beveva con meno patemi d’animo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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