L’elisir libanese di lunga vita5 min read

Qualche luna fa  stavo iniziando a raccontare della mia visita a Ixsir. Avevo conosciuto Nagi a Londra, un ragazzo alto, con  la barba e gli occhi neri come l’ebano. Nagi Saikali è il Brand Manager di Ixir, una lussuosa cantina creata di recente che vede come investitori più importanti Carlo Gohns (PDG di Nissan-Renault) che per chi non lo sapesse è libanese, anzi, franco-libanese-brasiliano,  la famiglia Saikali e altre importanti e conosciute famiglie dell’alta borghesia libanese.

Il progetto è molto recente e sino ad ora per renderlo  davvero speciale, sono stati investiti una decina di milioni di dollari. Ovviamente si tratta di un investimento a lungo termine che, se tutto procederà come da programma, impiegherà almeno 10 anni per iniziare a dare i suoi frutti.

Ma cos’ha di speciale questa cantina? Innanzitutto si tratta di una cantina concepita in modo « ecofriendly », ovvero è stata costruita in modo tale da sfruttare l’energia geotermica per regolare la temperatura, valorizzare la luce naturale per illuminare e impiegare la forza di gravità per supportare le pompe meccaniche. A ciò si aggiunge un riciclo dell’acqua impiegata durante le vendemmie ed un utilizzo dei « rifiuti » per costituire il compost organico utile alla fertilizzazione.

Questo senza considerare la sostenibilità sociale, data dalla creazione di nuovi posti di lavoro in un Paese dove il lavoro è un vero mistero !

 Questo minuzioso progetto, che mi ricorda tanto la progettazione delle auto ibride, dove nulla è disperso ma tutto si trasforma, è stato portato a termine dall’architetto Raed Abillama e ha permesso a Ixir di vincere il 2011 Green Architecture Award presentato dal centro Europeo per l’Architettura, l’Arte, il Design e gli Studi Urbani e il Chicago Athenaeum.
Inoltre la cantina è stata interamente recuperata a partire da una vecchia casa padronale, che dopo essere appartenuta ad una famiglia nobile è caduta in mani siriane durante l’occupazione, per fungere da « base militare ». Alla fine dell’occupazione la famiglia Saikali ha potuto prenderne possesso e farla restaurare rispettando completamente lo stile delle case libanesi tradizionali, in pietra locale.

In secondo luogo il nome, Ixsir infatti deriva dall’arabo Al-Iksir che significherebbe appunto « elisir », magica pozione di lunga vita.

In terzo luogo Ixsir può contare sulla competenza di due consulenti tecnici piuttosto conosciuti, ovvero Gabriel Rivero e Hubert de Bouard. Per dare un’idea Gabriel Rivero è spagnolo, ma ha lavorato per ben nove anni per il famoso Château Sociando-Mallet, poi ancora per 6 anni per Château Kefraya, dove ha promosso la coltivazione del tempranillo, per poi raggiungere Ixsir come direttore tecnico.

Hubert de Bouard è coproprietario e manager dell’altrattando conosciuto Château Angelus, riconosciuto come uno degli « stendardi » dei Grands Crus di Saint Emilion.

Il logo, che trovo particolarmente bello, è stato studiato insieme all’agenzia di comunicazione Saatchi & Saatchi, e rappresenterebbe un simbolo quasi esoterico, sintesi tra sole, radici e rami ; un concentrato simbolico di energia vitale, un’immagine per cosi dire « onomatopeica ».

Se la cantina per la vinificazione si trova a Basbina, poco lontano da Batroun  (la seconda città che troviamo percorrendo la strada che da Beirut si spinge verso Nord)  i vigneti li troviamo un pò ovunque da Nord a Sud : Ainata, Dir el Ahmar, Niha, Kab Elias, Jezzine. Questo non per schizzofrenia, ma per permettere a ciascuna  varietà  di crescere nel terreno più adatto alla  sua migliore performances.
 
A Niha, poco lontano da Zahle, nella valle della Beqaa, possiamo ancora trovare due templi romani dedicati a Bacco, di cui uno molto ben conservato. Poche persone lo sanno, ma se vi capita di passare da quelle parti potete sempre fare una deviazione nel minuscolo villagio di Niha e ammirare di che cosa erano capaci i nostri avi.

Il vino di Ixsir è buono, ma a mio modesto parere è ancora lontano dal concetto di Elisir di lunga vita da cui vuole attingere contenuti per creare un discorso sulla marca. Il discorso è semioticamente ben fatto, ma il vino è buono, nulla di più. A moi modesto parere ci troviamo ancora in una di quelle occasioni dove il contenitore supera il contenuto, poichè dopo aver visitato una cantina perfetta, dove ogni dettaglio è studiato nei minimi particolari e dove aleggia una profusione continua di ordine e bellezza, ci si aspetterebbe di bere davvero un liquido divino, invece è solo buon vino.

In favore di Ixsir c’è da dire che i prezzi sono piuttosto contenuti, per permettere la penetrazione di un mercato di per sè piuttosto saturo.
La gamma prevede due differenti posizionamenti, uno che si piazza sul segmento medio, Altitude,  e uno che si inserisce più su una segmentazione di alta gamma, Grand Reserve Altitude.

Nella gamma « base » possiamo trovare bianco, rosé e rosso: sono vini piuttosto semplici, pensati per un pubblico giovane, dove a mio parere il migliore è Altitude Blanc 2011, assemblaggio di Muscat, Viogner, Sauvignon, Sémillon.

Nella fascia alta il Grand Reserve 2009, assemblaggio di Cabernet Sauvignon, Syrah, Caladoc e Tempranillo è il loro cavallo di battaglia. Non è per niente male, molto buono direi, ma nulla per cui togliersi i vestiti! Invece mi sono quasi tolta i vestiti e non solo per Fleur de Ka 2006 di Château Ka, per Château Kefraya 2009 e per il Cabernet Sauvignon 2009 di Ksara. Ho dimenticato di raccontarvi di Ksara… e delle vigne protette da Hezbollah… sarà per la prossima volta !

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE