Giàvino: e se il problema non fosse quello?4 min read

Se per un attimo non penso alla pubblicità gratuita che (parlandone bene o male) facciamo al nuovo vino di FB (non Facebook ma Farinetti-Borgogno  oppure Fontanafredda-Borgogno) e cerco di guardare la cosa da un punto di vista molto laico, gira che ti rigira non riesco a vedere il suo spot televisivo di presentazione  come un delitto di “Lesa Vinità”.

Sarà che fin dall’inizio le mie aspettative su Farinetti trasudavano cautela (mentre da molte parti si osannava all’ex patron di Uniero come colui che avrebbe portato urbi et orbi la grande qualità alimentare e vinicola), sarà che  i soldi li ha fatti con il commercio di massa (absit iniuria verbis…),  sarà che non ho mai visto guadagnare aziende grazie solo alle belle parole, ma questa uscita non mi sembra affatto fuori dalle sue corde, tutt’altro. Per questo nella pubblicità televisiva del Giàvino (anagramma: giovani e soprattutto Vai Gino..chissà se però il vino sarebbe piaciuto a Veronelli ) non trovo niente di scandaloso. Per la precisione non trovo niente di più scandaloso di quello che ci possiamo aspettare da una pubblicità televisiva.

Infatti le pubblicità, per definizione, distorcono (vogliamo dire “bonariamente”? diciamolo!) la realtà e la modellano per  i loro, chiarissimi, scopi. Inventano o abbelliscono e trasformano, creando così interesse sulle cose più disparate. Questo è il discorso di base da cui non si può derogare.

Al primo che gli venisse voglia di pubblicizzare il suo prodotto, per esempio uno shampoo, in maniera diretta, onesta e oggettiva, dicendo semplicemente “Compratelo perché è un buon prodotto, più o meno come gli altri ma lo faccio io e lo devo vendere” verrebbe portato al manicomio senza passare dal via. Occorre invece creare mondi paralleli colorati, mostrare cavalli bianchi al galoppo, oppure persone che mentre hanno una capoccia di schiuma modello cotonature anni sessanta sprizzano felicità da tutti i pori. Ora, secondo voi, uno shampoo, renderà felici o vi farà avere un cavallo bianco?
Nella pubblicità del vino e degli alcolici abbiamo assistito a cialtronaggini di ogni tipo, come  il vino in brick conservato disteso in cantina alla stregua di  un Petrus del 1955, vendemmiatori che raccolgono uve chiaramente da tavola ma belle grosse e quindi adatte al video, per non parlare di archeologi di serie Z che recuperano vasi grazie ad idrovolanti o a gocce di amaro che sembrano animate di vita propria.
Il filmato di Farinetti è solo una pubblicità con la sua normale dose di “falsità istituzionale”, però ben pensata e meglio realizzata.
Sono d’accordo che le colline di Serralunga passano per vigneti abbastanza sfigati però…., cercate per un attimo di svestirvi dai panni di feroci censori esperti di vino ed analizzate le scene: belle vigne vere e belle botti vere (non brick inclinati in invecchiamento), un anziano signore che si esprime in  un meraviglioso piemontese, con sottotitoli come se parlasse una lingua perduta, il tutto in un’ aura di voluta, austera, tranquillità bucolica. Per me che non capisco niente di vino il messaggio è chiaro: il Piemonte è un bel posto  per il vino e quasi quasi mi viene voglia di comprare una bottiglia che viene da quella terra. Per me che penso di capirci il messaggio è praticamente lo stesso, solo detto senza tanti sotterfugi (vini di Serralunga esclusi).

Inoltre in tempi di vacche magrissime per il vino di qualità, una pubblicità che invoglia in maniera “pubblicitariamente pulita”  a bere vino per me non è la manna dal cielo ma quasi. Sarà poi compito di altri (per caso dei cosiddetti comunicatori del vino?) innalzare la soglia di conoscenza, sui vigneti dei Serralunga e non solo.

Per questo non mi scandalizzo dello spot, anzi lo giudico in maniera positiva. Non giudico in maniera altrettanto positiva però tutta la cortina fumogena sugli altri vini, quelli di qualità. Il messaggio tambureggiante è stato: faremo dei vini puliti, buoni e giusti. Peccato che usino (tanto per fare lo stesso esempio di sempre) bottiglie che pesano il doppio di una bottiglia normale. Peccato che molte azioni siano state solo di marketing, a partire dalle bottiglie di mezzo litro e di un litro. Peccato che tanti proponimenti strombazzati tra Vinitaly e saloni del Gusto ricordavano più i discorsi del gatto e la volpe ad un branco di poveri pinocchietti.

Cari amici, il problema (se vogliamo chiamarlo così)  del gruppo Farinetti non è quello della sua “discesa in campo” nel grande mercato ma il suo volersi posizionare ai vertici del mercato di alta qualità. Nel primo ce lo vedo naturalmente e con i giusti attributi per avere successo, nel secondo per adesso ha solo utilizzato al meglio e con grande intelligenza  i metodi dell’altro mercato, senza però che nessuno si scandalizzasse.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE