Assaggi Friuli 2015 prima parte: Friulano, Ribolla Gialla e Malvasia, ovvero la riscossa degli autoctoni3 min read

Visto il numero altissimo di cantine friulane che hanno inviato vini per i nostri assaggi (e che ringraziamo)  e il conseguente numero di campioni degustati , abbiamo pensato di dividere i risultati e i commenti in più articoli, in modo da approfondire meglio, vitigno per vitigno, zona per zona.

 

In linea generale (ma anche confrontando i vitigni) i bianchi friulani  del  2015 ci sono sembrati nettamente migliori rispetto all’Alto Adige e al Trentino. Molto meno poveri, più dinamici, più precisi dal punto di vista del varietale: questo è accaduto più sui vitigni autoctoni che sugli internazionali.

 

Per questo  scendiamo nel dettaglio  iniziando con tre uve autoctone, tra cui spicca “il vitigno madre” cioè il Tocai alias Friulano, affiancato da due damigelle come la Ribolla Gialla e la Malvasia, che più diverse non si possono immaginare.

 

Circa un mese fa avevo parlato di come alcuni vitigni autoctoni avessero reagito bene alla calda vendemmia 2015: tra questi il Friulano occupa un posto di rilievo. Non siamo certo di fronte ad un’annata eccezionale ma con quasi il 40% dei vini degustati almeno con 3 stelle  (sale al 68% se si considerano le 2.5 stelle!!) bisogna riconoscere che la qualità media è alta e la differenza con altre regioni bianchiste vicine è quasi impressionante.

Nel 2015 il Friulano si è “rimboccato le maniche” e ha prodotto vini di buona beva con un corpo dinamico e concreto, un’aromaticità che punta sempre meno alle note vegetali del sauvignon e  nei migliori ricorda nemmeno tanto da lontano gli aromi varietali del verdicchio. Collio e soprattutto Colli Orientali del Friuli sono le denominazioni che, per il Friulano, hanno dimostrato di aver “digerito” meglio il caldo del 2015. L’unica cosa su cui non ci sentiamo di scommettere è la serbevolezza, ma 2-3 anni a questo livello, con i migliori che puntano ai 7-8  mi sembrano assolutamente nelle loro corde. Voto alla vendemmia 8+.

 

Una specie di “riscossa” della DOC Isonzo l’abbiamo con le malvasie 2015, che hanno conservato bene la loro fine ma intensa aromaticità, senza divenire piatte e amare al palato. Un bell’equilibrio generale per vini di non facile collocazione su cui voglio spendere due parole. La malvasia (pure quella istriana) non deve essere considerata una specie di “traminer de noantri”. Siamo di fronte ad un uva con aromi spiccati ma che non può e non deve essere vista solo come vino profumato, semplice e immediato. La sua finezza merita altro e sono felice dell’impegno di alcune cantine isontine (assieme ad alcune del Collio e del Carso) che propongono malvasie rette e vibranti, che non si basano solo sull’aromaticità. Non è certo facile arrivarci ogni anno, ma nel 2015 abbiamo esempi molto rappresentativi. Voto alla vendemmia  7.5.

 

Da un vitigno che basa molto del suo appeal sugli aromi passiamo alla Ribolla Gialla, non certo famosa per le componenti aromatiche. Immaginavamo che il caldo avrebbe potuto spuntare una delle frecce più importanti del suo arco, l’acidità: in parte è accaduto ma molte ribolla sono ben bilanciate, con acidità non altissime che si percepiscono meno grazie a delle strutture non “scheletriche” come nel 2014. Il tutto porta a delle Ribolla meno estreme, più godibili, anche dal punto di vista aromatico, dove le gamme floreali trovano spazio. Purtroppo ogni tanto trova spazio anche l’aromaticità verde del sauvignon, ma per fortuna in casi abbastanza circoscritti. Interessanti anche le chiusure, con note “sapidamente amare” che in diversi casi, specie nei Colli Orientali,  danno ancora più spinta al vino. Voto alla vendemmia 8.

 

Nel prossimo articolo, che uscirà mercoledì 21 settembre, parleremo dei risultati del tanto discusso sauvignon friulano, di quelli degli chardonnay (con sublimi “code” del 2014) e del ruolo emergente del traminer aromatico.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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