Expo 2015: nutrire o inquinare il pianeta con la CO²…a credito?4 min read

In realtà esistono dal 2005 e non ci dovremmo scandalizzare più di tanto se l’Expo , tra i tanti bandi di gara ne ha indetto uno denominato  Per l’acquisizione di crediti CO2 sul mercato volontario internazionale al fine di compensare quota parte delle emissioni di CO2 derivanti dalla realizzazione e dall’organizzazione di EXPO Milano 2015.

 

Prima di spiegarvi ciò che le parole in corsivo spiegano chiaramente ma che è comunque difficile (almeno per me) da credere, due parole sul commercio internazionale dei crediti di emissioni di CO².

 

Il commercio internazionale di crediti di emissioni riguarda operazioni di acquisto/vendita di crediti,  tra paesi in via di sviluppo e industrializzati, per adempiere agli obblighi previsti dal Protocollo di Kyoto.  Lo scopo è ridurre le emissioni di  CO² (non mediante una minore emissione, notate bene) mediante la commercializzazione di crediti di emissioni tra i paesi in eccedenza e quelli in deficit.

 

In pratica i governi stabiliscono un tetto alle emissioni di ogni singola azienda e rilasciano gratuitamente un numero equivalente di “crediti”. Più un’azienda resta sotto il limite e più crediti può rivendere alle altre compagnie non in grado di restare entro i livelli prescritti.

 

In termini vinicoli potremmo definirli  dei veri e propri “diritti di reimpianto” dell’inquinamento.

In realtà si tratta di vere e proprie azioni che hanno un mercato di domanda-offerta equivalente a quello borsistico. Peccato che alla base di tutto non ci sia la limitazione reale all’inquinamento ma solo il permettere, grazie all’acquisto di “certificati di aver inquinato meno” di pareggiare il conto ed essere a posto con la coscienza e con la legge.

 

Scendiamo nel dettaglio: il cantiere di Expo 2015 doveva emettere X tonnellate di CO², cioè inquinare il pianeta (come ogni cantiere) fino ad un certo punto. Dato che purtroppo si sono superati questi limiti abbondantemente cosa si è fatto? Non si è pensato di ridurre “in casa” le emissioni inquinando meno, ma sono stati acquistati crediti di emissioni di CO² per un milione di euro (cosa legale è ammessa) in modo tale che un giorno, quando verrà chiesto il totale delle emissioni del cantiere i responsabili potranno tranquillamente “portare in detrazione” i crediti acquisiti e passare da non inquinatori.

 

Questa, come vi accennavo, è una pratica ammessa e regolata da anni, tanto che vi sono diverse associazioni che garantiscono i crediti, cioè certificano che chi li vende abbia in effetti inquinato meno del previsto. 

 

Ora…io posso anche essere d’accordo sul fatto che dare un valore al non inquinamento sia di stimolo a non inquinare, ma che questi diritti possano essere venduti come un camion di terra che serve per coprire una buca lontano dalla cava…ce ne corre.

Voglio però essere moderno e quindi non scandalizzarmi (più di tanto), però nel caso dell’Expo, che dovrebbe avere scopi importanti, educativi per milioni di persone, utilizzare i mezzucci come un qualsiasi inquinatore del pianeta, lo trovo assolutamente riprovevole.

Se il tuo motto è Nutrire il pianeta dovresti come minimo mettere in atto quelle misure che permettano al pianeta di essere nutrito, tra cui inquinare di meno.

Quindi invece di pensare ad un progetto meno faraonico (che tra l’altro rischia di non essere realizzato in toto e in tempo) si poteva ripiegare su qualcosa di minor impatto ambientale, con meno emissioni di CO². Magari, ma forse è chiedere troppo,  si poteva anche mantenere il progetto iniziale fatto con Slow Food, che prevedeva una lunga serie di orti e frutteti. Questo, tra l’altro,  forse ci avrebbe fatto acquistare crediti da rivendere…..

 

Invece grattacieli, palazzoni, mura su mura, sbancamenti inusitati, vie d’acqua abortite, espropri di terreni per tratti autostradali improbabili. Tutto questo ha portato ad emissioni “monstre”…nessun problema, basta comprare dei crediti e tutto l’inquinamento prodotto per  Expo 2015 si riduce di botto.

 

Complimenti…bel modo di nutrire il pianeta.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE