Soave in 3D alla ricerca del terroir4 min read

Iniziamo con una battuta: il Soave è un vino che va bevuto a temperature attorno agli 8-10 gradi, però non è consigliabile che….. anche gli assaggiatori siano a quella temperatura.

Purtroppo la natura aveva disposto diversamente e così la due giorni (24-26 maggio) organizzata dall’attivissimo consorzio del Soave, che prevedeva anche la presentazione del nuovo metodo di degustazione definito “3D”, si e sviluppata tra acquazzoni e temperature invernali.

Poco male per chi si era portato il cappotto ma le viti di Garganega delle stupende colline del Soave Classico non hanno la possibilità di avere cappotti o impermeabili e quindi quest’annata 2013 (come in molte altre parti d’Italia) non si sta dipanando certo in maniera ottimale.

L’ho purtroppo constatato facendo un giro tra questi vigneti che da soli valgono il viaggio. Sostengo infatti da sempre che il modo migliore per far innamorare del Soave un giornalista che non è mai venuto in zona è prenderlo a Verona, bendarlo e poi sbendarlo sulla cima del territorio del Soave Classico, dove le  pergole disegnano un mare ordinato di vigneti che teme la concorrenza di pochissimi altri paesaggi vitati. Lo dico da toscano che ama la sua terra: trovarsi a Castelcerino e far spaziare l’occhio dalle colline al mondo che le sta sotto è un’emozione veramente unica!

Anche abbastanza unica è stata l’esperienza dell’assaggio utilizzando la nuova scheda che il consorzio ha messo a punto per cercare di evidenziare le identità/diversità dei vini di questa terra. Come accennato è stata chiamata “degustazione in 3D” che richiama sia alle tre dimensioni sia a qualcosa di più preciso e approfondito. I “3D” ovvero i tre cardini da approfondire nella scheda sono l’origine, lo stile e il valore del vino.

Non voglio mettermi a spiegare questo nuovo metodo (richiederebbe tanto spazio e forse non ne sarei nemmeno capace) ma solo evidenziare che il fattore più positivo di questo lavoro è puntare il riflettore sulle diversità territoriali che esistono tra i Soave. In una denominazione che ha un “ventre molle” di circa 50 milioni di bottiglie, concentrarsi sulle reali diversità dei terreni e quindi dei vini di quei 10 milioni di bottiglie circa che rappresentano il Soave Classico è cosa buona e giusta. Se per farlo si deve anche creare una scheda ad hoc ben venga la scheda, anche se la prima impressione è che la semplicità non sia il suo requisito principale. Ma questo potrebbe dipendere dalla mia scarsa dimestichezza con il metodo.

Essendo stato invece tra i primi a parlare di identità territoriale del vino e  di riconoscibilità delle uve nel prodotto finale ( ancora oggi la voce “rispondenza al vitigno” è basilare nei nostri assaggi e ben evidenziata nella scheda finale con il simbolo della bottiglia con le radici) non posso che plaudere a questa iniziativa che però rischia di scontrarsi con la realtà di cantina, dove lieviti selezionati, vinificazioni in presenza di azoto etc, portano a risultati lontani anni luce dalle caratteristiche che la Garganega dovrebbe avere e ha in un buon numero di bravi produttori rispettosi ANCHE in cantina delle loro uve.

Ma un Consorzio non può certo entrare nelle cantine dei produttori, può però fornire indicazioni “etico-funzionali”, per esempio quanto sia importante per un territorio produrre vini chiaramente riconducibili a questo. La scheda in “3D” credo possa stimolare i produttori locali a tenere questo dato al primo posto nel fare vino. Mi sembra tra l’altro arrivata proprio nel momento giusto, perché mai come quest’anno ho percepito che la vinificazione in presenza di azoto e assenza di ossigeno stia prendendo largamente piede.

Lo posso dire con cognizione di causa perché i responsabili del Consorzio, che ringrazio, mi hanno permesso poi di assaggiare tutti i vini presenti in forma rigorosamente bendata. Alla fine ho messo in cascina quasi 80 degustazioni e quindi al momento del nostro assaggio ufficiale di Soave, che si terrà ai primi di luglio, avremo in molti casi a disposizione due assaggi dello stesso vino per dare il nostro giudizio. Un bell’aiuto per noi e per la comprensione di un vino che complessivamente sta crescendo ma soprattutto ha picchi qualitativi di assoluto rilievo.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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