A Riecine abbiamo assaggiato la storia (e non finisce qui)6 min read

Chiamare degustazione di vecchie annate quella che si è svolta ieri (23 luglio) a Riecine non solo sarebbe riduttivo ma non renderebbe giustizia alle idee a agli scopi con cui, assieme ad altre due che verranno nei prossimi mesi, è stata concepita.

Mi spiego: Nel 2021 Riecine compirà 50 anni e ho avuto l’onore di essere stato scelto per scrivere un libro su questi anni, che combaciano perfettamente con una serie importantissima di cambiamenti sia nel vino Chianti Classico che del territorio chiantigiano.

Oltre a ricerche storiche, sia scavando indietro nel tempo (Riecine faceva parte dei possedimenti della Badia di Coltibuono almeno dal XIV° sec.) che  esplorando il territorio alla ricerca di testimonianze relative all’ultimo mezzo secolo, oltre a tante altre cose interessanti che scoprirete l’anno prossimo all’uscita del libro, sin da subito abbiamo pensato di organizzare almeno tre degustazioni che coprissero l’intero periodo, dal 1971 ad oggi, facendo così raccontare al vino stesso la sua storia.

Naturalmente il vino non parla e quindi abbiamo chiesto e chiederemo a tanti bravissimi colleghi di parlare per lui. Per questo abbiamo organizzato questa prima degustazione e per gli stessi motivi ne organizzeremo altre due che toccheranno il periodo 1986-2000 e dal 2000 a oggi.

Quella che si è svolta ieri,  quasi irripetibile visto che si degustavano le primissime annate di cui sono rimaste pochissime bottiglie, (ma un po’ sono rimaste…) è stata una degustazione che è andata aldilà di ogni previsione e piano piano è diventata anche un doveroso omaggio alle due persone che nel 1971 iniziarono questa storia: John Dunkley e Palmina Abbagnano.

Qua sopra e qua sotto troverete l’elenco dei vini degustati, che vanno dal primo vino prodotto (1971) in ben 100 bottiglie alla prima annata de La Gioia (1982), per chiudersi con l’anno di grazia 1985, che fece comprendere all’universo mondo e soprattutto ai chiantigiani, le enormi possibilità dei loro vini. Ma per arrivare al 1985 bisognava attraversare anni difficili, in cui la viticoltura e i vini erano molto diversi non solo rispetto a oggi ma, come abbiamo potuto constatare, a pochi anni dopo.

Per fotografare e narrare quegli anni e quei vini abbiamo avuto la fortuna di avere con noi importanti personaggi.

Così abbiamo potuto sentire dalla voce del grande Burton Anderson, il giornalista americano che ha fatto conoscere al mondo il vino italiano,  il racconto dei  vari incontri con John Dunkley. Fernando Pardini ci ha narrato l’epopea di viaggi su una Cinquecento, a cui suo padre lo sottoponeva praticamente ogni domenica della sua infanzia, alla scoperta dei vini chiantigiani, in particolare di due cantine: Riecine e Savignola Paolina. Gigi Brozzoni ci ha lasciato a bocca aperta parlandoci di un invito da parte del vulcanico John in un esclusivo Club inglese, con tanto di maggiordomo alla porta e dove naturalmente non potevano accedere le donne: però non a Londra ma a Firenze in Via Tornabuoni!

E Nanni Montorselli, vera e propria memoria storica di questa terra, ci ha riportato in quegli anni quando tutto nasceva, quando John traduceva in inglese i comunicati stampa del giovanissimo consorzio Chianti Classico perché non sopportava di vedere tradotto da altri, che non capivano la lingua del vino, vasca di acciaio con vasca da bagno e quando i responsabili del consorzio, che per andare nelle cantine viaggiavano sempre su strade bianche, avevano l’indennità vestiario perché era molto facile sporcarsi o macchiarsi col vino in cantine dove ancora i pavimenti erano di terra battuta.

L’impagabile esperienza di Ernesto Gentili, affiancata alla conoscenza e sensibilità di Antonio Boco ci hanno aiutato ad inquadrare i vini e a comprenderli nel loro preciso momento storico.

Ma i vini? Credo vogliate sapere qualcosa sulle 20 bottiglie (di quasi tutti i vini sono state stappate 2 bottiglie perché la prima era “incerta”) che Simone Loguercio del Konnubio ha stappato sudando, letteralmente, due camicie.

Motivi legati sia al marketing che alla mia nota cattiveria mi imporrebbero di non parlare dei vini, rimandando il tutto al libro, ma oggi mi sento buono e quindi eccovi alcune riflessioni su vini che andavano aldilà del concetto di bontà, ergendosi a testimoni quasi unici di un lasso di tempo che ha visto cambiare molte cose. Per esempio tra il primo vino del 1971 (100 bottiglie prodotte) e la prima Gioia del 1982 non sembra siano passati 11 anni ma 11 secoli!

Da una parte colori scarichi dovuti alla presenza massiccia di uve bianche, acidità molto alte ma lineari, grazie sia a uve non perfettamente mature che al non tanto chiaro (allora) concetto di malolattica.  I primi vini, due Vino da Tavola Rosso e due Chianti Classico, si reggevano ancora in piedi benissimo, mostravano aromi spesso ammalianti che ti portavano su note floreali intense, ma in bocca si sostenevano grazie solo alla verticale ma ben distribuita acidità. Invece la Gioia 1982 (ancor più la 1985) parlava un linguaggio diverso, dove concetti come rotondità, equilibrio, maturità delle uve, vinificazioni più attente e precise erano all’ordine del giorno.

Del resto nel lasso di tempo che separa il 1971 dal 1982 erano passati in cantina personaggi come Maurizio Castelli (prima) e Carlo Ferrini (dopo), entrambi allora dipendenti del consorzio, autorizzati quindi ad assaggiare e eventualmente consigliare i produttori. Carlo Ferrini ha poi, una volta svincolatosi dal consorzio, affiancato per alcuni anni ancora Riecine.

Le quattro Riserva (1977/78/79/80), pur tra grandi diversità dovute alle bottiglie, erano chiaramente figlie di un periodo pionieristico, che per me presenta però un fascino irresistibile. Le potrei presentare come “pugni di ferro in guanti di velluto”: vini ancora molto espressivi e suadenti al naso, con tante note floreali, terrose, terziarie, dove funghi e tartufi imperversano, si trasformano in bocca grazie a tannicità precise, ancor ruvide, affiancate da acidità importanti che nessuno si sognava di mitigare. Vini verticali ante litteram, figli forse di una viticoltura minore ma esempi lampanti di come può comunque invecchiare il buon sangiovese. Perché di sangiovese in purezza si parla, ameno per gli otto vini che dal 1977 ci hanno portato alla Gioia 1985.

Per gli altri quattro più che di beneficio del dubbio bisogna parlare di oggettività della certezza, di un periodo in cui era normale, per le uve bianche, sposarsi alle rosse.

Vi meritate un vero e proprio scoop: dato che il rogito notarile dell’acquisto di Riecine riporta 3 dicembre 1971, per il primo vino credo bisognerebbe chiedere al signor Ulderico Umiliati, che nel contratto risulta essere “colono” nel podere di Riecine e quindi responsabile del vino prodotto solo qualche mese prima.

Sapete, mentre scrivo queste righe mi accorgo di essere un uomo fortunato, perché ho avuto l’opportunità di guardare nel passato, di conoscere nomi, storie, uomini e donne che hanno lasciato segni tangibili del loro passaggio, come questo signor Umiliati e come, soprattutto, John e Palmina.

Sarà una gioia continuare a scavare e a scrivere su chi ha creato La Gioia e spero che questa soddisfazione sia condivisa anche da chi leggerà il libro.

Sicuramente lo sarà dal meraviglioso staff di Riecine, Alessandro Campatelli in testa, a cui devo dire grazie non solo per la straordinaria giornata di ieri.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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