Vino Nobile di Montepulciano Riserva dei Mandorli 2001, Romeo3 min read

In questa rubrica non parleremo dei problemi geriatrici di qualcuno di noi (anche se sarebbe utile). Il nostro intento è quello di andare a scovare e raccontare i vini italiani “non giovanissimi”. Abbiamo pensato a questa dizione perché non parleremo quasi mai di quelli che vengono definiti “vini da grande invecchiamento” ma cercheremo sorprese, chicche, specie tra vini che nessuno si aspetterebbe.

Lo ammetto: mi sono quasi commosso quando dalla polverosa cantina ho tirato fuori questa bottiglia di un caro amico che, purtroppo, non vedo da molto tempo. Anche perché da anni ha ceduto l’azienda cui ha dedicato lunghi meritevoli energie e passione, fatto di cui sono stato testimone diretto.

Per il Nobile erano altri tempi, in un certo senso ingenui, tutto pareva andare in una certa direzione e, francamente, stappando questa Riserva non sapevo che aspettarmi. C’erano fermento e tensione, all’epoca. Confidavo insomma nel vino e nel produttore, ma dopo 24 anni che avrei trovato? Temevo un vinone esausto, speravo in un vino vibrante.

In retroetichetta leggo che fu fatto con Prugnolo Gentile, Mammolo e Colorino, “invecchiato in tonneaux e piccole botti di rovere”. Non restava che procedere.

L’ho aperto con un paio d’ore d’anticipo e ho trovato un tappo integro, quasi perfetto, che però si è spezzato a metà sul più bello per un difetto strutturale.

Al momento clou, lo verso nel calice e vedo un rubino intenso, pieno e caldo, con un’unghia appena aranciata che certamente non tradisce la veneranda età.

Nonostante l’ossigenazione, il naso è fatalmente chiuso all’inizio, ma dopo dieci minuti di permanenza nel bicchiere ed alcuni vigorosi scossoni si apre con un bel frutto maturo e una nota asciutta che solo alla fine concede qualcosa a note terziarie, ma non tracimanti, di liquirizia, terra, sottobosco, grafite e appuntalapis (sorridete pure, ma è così: chi ha fatto le scuole elementari nei tempi giusti sa di cosa parlo), per poi discendere di nuovo su accenni di frutta cotta e prugna.

In bocca, la sorpresa: preconizzavo un vino stanco, lo trovo invece sì solenne e ampio, ma più che vivo, ampio, con avvolgenti note affumicate e poi balsamiche, tutt’altro che seduto, anzi sorprendentemente pimpante, con accenni di freschezza, pienamente integro e un nerbo complessivo, un cipiglio quasi severo, che colpisce e spiazza. Il finale è lungo, con un vago  retrogusto di caffè americano. Ed estremamente godibile sullo stracotto domestico ammannitomi dalla consorte per la circostanza.

Promosso a pieni voti e con un po’ di amarcord.

Stefano Tesi

Stefano Tesi, giornalista professionista, scrive per vari giornali italiani di gastronomia e viaggi. Il suo giornale online è Alta Fedeltà.


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