Vinitaly è quasi una droga, ma quest’anno non “l’assumo”3 min read

L’avete pensato, lo so!  Appena letto il titolo dell’articolo vi sarà venuto in mente Nanni Moretti col suo “Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo?”.

In realtà il mio Vinitaly era ormai da molti anni un venire e stare in disparte, nel senso che serviva solo a salutare qualche amico ma non certo ad assaggiare vini.

Da una parte perché (lo ammetto!) ho la fortuna di poterli degustare successivamente con molta più calma e dall’altra perché degustare le nuove annate a Vinitaly è uno sport più vicino alla divinazione che alla degustazione professionale.  Forse con i rossi  imbottigliati da qualche tempo si potrebbe anche provare a fare qualcosa (non considerando le temperature di servizio che lo scorso anno in alcuni padiglioni rasentavano i 30 gradi, con vini sbattuti dal viaggio e sommandoci il fatto che anche voi non siete certo freschi come rose, etc) ma assaggiare dei bianchi (o dei rosati, delle bollicine) appena imbottigliati o campioni da botte preparati per l’occorrenza serve a chi fa il mio mestiere quanto una ciabatta rotta a un maratoneta.

Molti assaggi si facevano,  si fanno e si faranno  più per promuovere un’ azienda, un  marchio, un giornale, un territorio e last but not least se stessi,  che per dare una reale e definitiva valutazione di un vino.Infatti  a Vinitaly si fanno molte cose che sono il bel contorno del nostro mondo ma concretamente un giornalista può fare una cosa sola, promuovere se stesso.

Già, direte voi, facile per te che per una volta puoi scegliere di non stare sotto i riflettori, ma a Vinitaly si viene anche per “fare coose, vedere geeente”, in altre parole per riuscire ad incontrare persone che non riesci mai a vedere. Questo è vero (con la variante opposta, cioè che puoi incontrare anche persone che non vuoi incontrare….), ma come sono poi questi incontri? La famosa sindrome dell’occhio da Vinitaly, quello che guarda da tutte le parti mentre la bocca parla con te, non gioca certo a favore di una discussione tranquilla e proficua.

Capisco che per molti, produttori in primis. ma anche rappresentanti, P.R, appassionati, Vinitaly sia irrinunciabile e spesso molto utile ma per un giornalista enogastronomico, proprio per quanto detto sopra,  si riduce ad una continua stretta di mano, una serie infinita di saluti, un male ai piedi perenne ed una stanchezza che ti porterai dietro per giorni. Tutto questo non è ripagato dal poter fare un lavoro serio e meticoloso di assaggio, a meno che tu non abbia il fisico del mio amico Kyle Phillips il quale dalla mattina alla sera passa da una degustazione all’altra riuscendo anche ad estraniarsi dal tutto per arrivare ad un giudizio corretto.

“Ma la curiosità?”-potreste giustamente dire-“La sana curiosità che dovrebbe spingere ogni giornalista che si rispetti a cercare la notizia e quindi -in questo caso- il vino nuovo, sconosciuto, mai assaggiato. La curiosità professionale perché non ti spinge a venire ed a girare come un matto semplicemente perché questo è il tuo mestiere?” A questa obiezione non ho risposte ed è proprio questo che mi fa sentire un poco a disagio.

Poi però comincio a pensare a quanti vini, in venti e più anni di Vinitaly, ho veramente scoperto in fiera, quante reali occasioni professionali di crescita ho avuto nelle centinaia di chilometri macinati all’interno dei padiglioni e mi tranquillizzo. Sicuramente perderò qualcosa ma quel qualcosa potrò recuperarlo dopo la fiera, con più tempo e tranquillità.

Con tutto ciò la crisi da astinenza da Vinitaly ha già cominciato a produrre i suoi frutti: non posso non pensare ad alcuni bellissimi momenti, a incontri indimenticabili, a ricordi piacevolissimi o semplicemente al fatto che l’abitudine avrà pure un senso. Per favore, trovatemi un metadone del Vinitaly o alla fine….

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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