Vini ad arte a Faenza: un momento per provare a fare il punto della situazione7 min read

Vini ad Arte, almeno per me, ogni anno è qualcosa di diverso dall’anteprima del Romagna Sangiovese Riserva: è un modo per fare il punto non solo sul sangiovese di queste terre ma su una serie di denominazioni e vitigni che dovrei conoscere di più e meglio, è l’occasione per incontrare cari amici produttori e fare nuove conoscenze.

Quest’anno Vini ad Arte, approfittando del “prolungamento” dei festeggiamenti per i 50 anni della DOC ha avuto ben due convegni, diversi tra loro ma simili nello scopo finale sintetizzabile in “Cosa dobbiamo fare da grandi?”

Nel primo la scena era tutta di Paolo Storchi e di Denis Pantini, il primo direttore dell’ Unità di ricerca per la viticoltura del CREA di Arezzo e il secondo responsabile di Wine Monitor  di Nomisma.

Dalle interessantissime relazioni vi sintetizzo due cose.

  1. Dati alla mano Storchi ci ha mostrato che la maggioranza dei reimpianti di sangiovese in Italia sono stati fatti nei primi anni del nuovo millennio (dal 2000 al 2003-2004). Questo vuol dire in soldoni che tanti vigneti ancora molto giovani sono stati studiati e piantati prima che venisse fuori con clamorosa evidenza l’aumento medio delle temperature e le conseguenti siccità estive. Insomma, ci sono tante vigne giovani che devono fare i conti con un clima non previsto e questo, a livello generale (ma in particolare toscano e romagnolo), non è certo positivo.
  2. La relazione di Pantini, incentrata sul mercato attuale del Romagna Sangiovese e su come viene visto questo vino dai consumatori, può essere sintetizzata in una slide. A domanda “Mi sa dire un brand di Romagna Sangiovese che conosce?” praticamente l’intero lotto di intervistati (un migliaio, anche abbastanza esperti sul vino) non ha saputo rispondere. Devo commentare?

L’altro convegno vedeva invece tre grandi enologi con radici in Toscana e Romagna e cioè Bernabei, Castelli e Fiore, delineare le differenze e le somiglianze tra “il mondo sangiovese” della Toscana e quello della Romagna. Purtroppo questo secondo convegno era quasi contemporaneo agli assaggi e quindi posso dirvi ben poco. Segnalo la presentazione ben fatta da Francesco Bordini  della zonazione dei suoli romagnoli con conseguenti caratteristiche del vino (che come sempre non mi quadrano con le caratteristiche dei vini degustati…)  e cito una frase di Franco Bernabei “Mandate a giro per il mondo 10-12 produttori locali di alto livello a promuovere il vostro sangiovese!” perché su questa tornerò più tardi.

Centesimino

Se volete sapere come erano i Romagna sangiovese Riserva 2015 dovrete aspettare ancora un po’. Prima devo parlarvi di alcuni “incontri enoici” fatti nei due giorni della manifestazione.

Il primo incontro è stato col signor Centesimino, un vino su cui il nostro Francesco Falcone ha scritto un libro interessantissimo, ma che è ancor più interessante da degustare, anzi da bere. Ha la sfrontatezza della semplicità: profumi di frutta e fiori a bizzeffe, rotondo, armonico con tannini  leggiadri e corpo che definirei  “arguto” perché si adegua al piatto che hai davanti . Vino perfetto? Anche lui ha il suo bel difetto: se ne produce pochissimo.

Albana

Il secondo incontro è stato con una signora, la signora Albana (di Romagna), un’uva ed un vino su cui il nostro Giovanni Solaroli ha appena finito di scrivere un libro (che presenterà a Vinitaly) e su cui io non riesco a farmi un quadro esauriente.

Mi spiego: considerando che non ce ne saranno più di 800 ettari e la metà viene venduta sfusa in loco e alla fine si producono meno di un milione di bottiglie di questa DOCG, (di cui almeno un 20% nella versione passita) perché ce ne sono un numero infinito di tipologie? La secca, la secca ma non troppo, la botrytizzata, la vinificata in anfora, quella leggermente frizzante, quella metodo classico, quella fermentata in legno da invecchiamento, quella mezza in legno e mezza in cemento e naturalmente non parlo di quelle passite. Se l’albana viene visto come un “divertisment” aziendale, come una chicca da far assaggiare agli amici va tutto bene. Ma se si cerca e si ottiene la DOCG e poi si frammenta il vino in mille rivoli, perdendosi in continue suddivisioni  da “Amarcord” anticommerciale, cui prodest? Indubbiamente le molte che ho assaggiato nei due giorni della manifestazione non mi hanno mai deluso e hanno mostrato un corpo ed un nerbo insospettabile, ma allora perché non puntarci seriamente?

Romagna Sangiovese

Questi due incontri con vini ottimi ma che riescono a malapena a soddisfare i consumatori locali  sono stati il mio aperitivo prima di arrivare al piatto forte, il Romagna Sangiovese Riserva 2015.

In breve: siamo di fronte forse al miglior compromesso tra voglia di strafare (da sempre presente in questa tipologia), rispetto per l’annata e piacevolezza da quando assaggio questo vino. Il 2015, anche se va aspettato, ha l’elasticità adatta per digerire col tempo alcuni gli eccessi di legno e maturare migliorando per i prossimi 10-15 anni. Quanta se ne produce di riserva? Pochissima!

Per fortuna si produce più Sangiovese Superiore ( e purtroppo sangiovese IGT o DOC, tanto da chiedere la creazione del Romagna Sangiovese Spumante per vedere di smaltirlo), di cui ho assaggiato buoni esempi dell’annata 2015 e diversi (alcuni per adesso poco puliti al naso) della vendemmia 2016.

Per me i 2016 si apriranno e si puliranno ma… ad un certo punto ne ho degustati due della stessa zona ma di produttori diversi: secondo la zonazione dovevano avere caratteristiche simili, peccato che fossero completamente differenti! Questo per me succede non tanto per errori nella zonazione ma perché tanti produttori romagnoli (anche italiani…) non si sentono realizzati se non danno una loro caratterizzazione al vino (vedi Albana fatta in venti modi diversi).

Riassumiamo

Una fetta di vigneti di sangiovese romagnolo  è stata piantata da pochi anni e senza pensare all’aumento delle temperature e alla siccità estiva.

Due ottimi vini, Centesimo e Albana di Romagna (ed uno che mi ha sorpreso in positivo come il Sangiovese Riserva 2015) vengono prodotti in quantità omeopatiche. Al contrario si produce tanto Sangiovese “base” che non si riesce a vendere a nessun prezzo, tanto da chiedere di poterlo spumantizzare per provare ad eliminare le giacenze.

La tipologia per me più centrata, quella con i vini che uniscono corpo a piacevolezza, il Romagna Sangiovese Superiore, continua ad essere un piacevole mistero perché quasi ogni singolo prodotto è diverso (buono, ma diverso) da come gli studi sui terreni vorrebbero che fosse.

In Italia e nel mondo si conosce pochissimo il Romagna Sangiovese, ancor meno le aziende che lo producono e quindi, come dice lo studio di Pantini,  spesso lo si compra  invogliati solo dal basso prezzo.

Insomma, vedo confusione ad ogni livello e spero che il consorzio riesca a indicare una strada precisa.

I miei consigli (assolutamente non richiesti e immediatamente cestinabili) sono questi.

Faccio mia la frase di Franco Bernabei , cambiandola un po’ “Selezionate 8-10  ottimi produttori locali e mandateli nelle cantine romagnole a parlare con gli altri produttori, per cercare di tirare fuori il meglio da ognuno”.  Questo perché la mano enologica di diverse cantine andrebbe un po’ “aiutata”, per cercare di far salire quella qualità media che alla lunga è l’unico modo per far salire il prezzo medio. Dopo, solo dopo, mandateli all’estero  come ambasciatori di un vino di qualità.

Il mondo del vino romagnolo è un mondo da riequilibrare, dandogli col tempo obiettivi diversi da quello di produrre solo perché uno ha le vigne di sangiovese  e deve farlo. Anche se il Sangiovese è il verbo e la divinità locale, non si può essere monoteisti  enoici. Ci sono dei “vini possibilità”, come il Centesimino e l’Albana di Romagna, che vanno sfruttati con intelligenza anche commerciale.

Puntare sulla zonazione per far conoscere le bontà e le possibilità qualitative del sangiovese romagnolo  va benissimo, ma se un territorio è già globalmente conosciuto e apprezzato turisticamente e culturalmente a prescindere dal vino. Non voglio entrare qui ancora una volta nella polemica che dal terreno X (che dovrebbe dare un vino X) viene regolarmente fuori un vino Y o Z, voglio solo dire che per il consumatore finale (specie se questo è all’estero e confonde il nome Romagna con Romania) una suddivisione di un qualcosa che non conosce, di cui non ha sentito parlare e nella peggiore delle ipotesi immagina completamente diverso dal reale (sulle spiagge della Riviera Romagnola conosciute nel mondo dai turisti, si può fare vino?) crea solo confusione.

Un po’ confusionario è anche questo articolo, ma ho voluto mettere assieme tutte le sensazioni e le idee nate in una due giorni perfettamente organizzata (grazie Wellcom!) e piena di vini, incontri, scambi di opinioni e assaggi, sperando che parlando e discutendo si possano trovare strade valide per questo territorio e per i suoi vini.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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