Vergine va bene, meglio se spalmabile4 min read

Al prossimo viaggetto nel Regno Unito, mettete in conto almeno una visita culturale al supermercato britannico. Se il negozio è abbastanza grande (cosa frequente) verrete sorpresi piacevolmente dall’offerta di vini prestigiosi, anche a svariate decine di sterline, accanto all’inondazione dal nuovo mondo, quasi sempre poco significativa. Perfino lo scaffale degli oli potrà prendervi in contropiede, con l’offerta di prodotti decenti da Grecia Spagna e addirittura Francia, roba pressoché irreperibile in Italia. Poi vi imbatterete inevitabilmente nel vistoso settore dei grassi spalmabili, definiti spread, che fanno capo in vario modo all’ archetipo del burro. Numerose confezioni richiamano l’attenzione sul contenuto salutare di queste varie margarine, cioè degli oli vegetali trasformati in stato cremoso da complessi procedimenti industriali che comunque presentano una caratteristica di base fondamentale: l’addizione di acqua! Del resto basta scorrere la lista degli ingredienti per notare che questa miracolosa sostanza è presente in dosi massicce, e può essere addirittura l’ingrediente principale. Fin qui niente di nuovo, visto che la ricetta ha quasi un secolo e mezzo di vita. Tuttavia i vostri occhi mediterranei verranno colpiti da parole come “Olive” o “Olive oil” e addirittura “Extra Virgin” ben in vista su alcune di queste confezioni, corredate da disegni di rametti biblici o di paesaggi similtoscani. Si tratta in questo caso di fenomeno ben più recente. L’olio estratto dalle olive va di moda anche fra chi predilige il grasso solido: ecco le margarine all’extravergine! L’idea è così vendibile che le diverse catene presentano i loro prodotti a marchio accanto ai nomi più affermati. Peccato che le percentuali dichiarate sul retro delle scatolette siano sconcertanti. Mark’s & Spencer ad esempio offre un prodotto biologico che porta un bel rametto di olivo sul coperchio, ma che contiene in realtà una maggioranza di oli di palma e girasole, e un misero 4% di extravergine d’oliva (percentuale condivisa dal prodotto della concorrente Sainsbury). Bertolli è presente con la sua Olivio, dove l’olio di oliva (ma non extravergine…) sale a ben il 21%. Del resto l’Unilever, proprietaria multinazionale del marchio Bertolli, vende da queste parti da anche “I cant’ believe it’s not butter”, “non riesco a credere che non sia burro” una delle margarine tradizionali di maggior successo da vent’anni. Un (cospicuo) sottogruppo di prodotti si inserisce nel filone “extra light” o “low fat” e qui la percentuale dei grassi cala ulteriormente. La catena Morrison ad esempio reclamizza sul coperchio un 38% di grasso totale e un 12% di olio di oliva, il che significa che hanno trovato il sistema di venderci acqua spalmabile, tenuta su da emulsionanti e stabilizzanti con la complicità di qualche conservante. La Morrison non è la sola, e l’incrocio fra il “low fat” e l’”olive oil” è certamente una nicchia di mercato interessante. Quanto alle caratteristiche organolettiche, c’è poco da stare allegri come vi immaginate e ho registrato ben poche variazioni durante gli assaggi comparati. Il colore è un giallino tenue (nonostante l’iniezione di succo di carota dichiarata da più di una marca). Del resto proprio dal colore questi grassi idrogenati presero il nome, derivato dal greco-latino margarites, cioè “perle”. Il profumo è il punto debole, essendo fioco fioco e tendente al rancidino (e qui forse la responsabile è proprio l’acqua, un po’ come paventato durante la gramolazione). Il gusto è delicato tendente all’insignificante. Insistendo a rintracciare un qualche aroma di bocca – il flavor dei degustatori – dovreste scaldare anche di poco questi prodotti in un padellino e allora potreste trovare vaghe tracce di frutta secca, come noci o mandorle sgusciate un po’ di tempo fa…. Insomma l’acquirente inglese medio non cerca una fragranza che gli ricordi l’ultima isoletta greca raggiunta con un volo a basso costo; conta essenzialmente l’idea che quello che compra è più salutare del burro ma anche delle altre margarine. La consistenza è appena variabile fra un prodotto e l’altro. Il coltello lavora bene anche a temperatura di frigorifero: è quello che si voleva. E sarà meglio che noi fini degustatori diamo maggiore importanza alla voce “spalmabiltà” nella descrizione organolettica.

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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