Verdicchio 2018: bene, ma basta con l’uovo oggi!4 min read

La battuta circolava anche lo scorso anno durante le giornate di degustazione a Jesi “In realtà il Verdicchio non è un vino o un vitigno, è un paracadute! Con lui caschi sempre in piedi.”

In effetti annata calda e siccitosa, oppure fresca piovosa e umida, il Verdicchio dei Castelli di Jesi si presenta sempre in buona forma.

La 2018 non è stata certo la vendemmia del secolo, con picchi di calore non indifferenti, però anche nei vini base  la denominazione ha dato buoni, se non ottimi risultati.

Foto Andrea Felici

Per quanto riguarda i Classico, anche se circola sempre di più la voglia di “aiutare” il vino con qualche grammo di zucchero residuo, abbiamo degustato dei vini mediamente  rotondi ma con una buona sapidità e spesso con un corpo da vino di categoria superiore.

Il bello dei Classico è infatti questo, non solo un clamoroso rapporto qualità/prezzo (in enoteca si va dai 5 agli 8-9 euro) ma nella categoria si trovano prodotti che potrebbero essere scambiati per vini di  alta caratura e prezzo almeno 5-6 volte superiore. Ma non finisce qui: all’interno dei “non superiore” si trovano vini perfetti per l’invecchiamento: lo provano, tra l’altro, due 2016 che in quanto ad eleganza e profondità non hanno da invidiare niente a nessuno.

Foto Piersanti

Salendo tra i Superiore occorre fare un discorso chiaro: oramai farli uscire nello stesso momento dei Classico è uno dei modi migliori per darsi la zappa sui piedi!

Negli anni questi vini hanno assunto una connotazione sempre più importante (per fortuna senza aver voglia di usare legni) e oramai non è più pensabile che un Verdicchio Superiore, che può maturare anche per 20-25 anni o che comunque nasce per poter superare diversi inverni, sia pronto dopo 6-7 mesi dalla vendemmia.
Se si vuole dare importanza ad un vino non lo si può scaraventare sul mercato, anche perché all’assaggio riuscirà ad esprimere solo una piccola parte delle sue caratteristiche.

Caratteristiche non certo negative, ma chiuse, nascoste, coperte (anche da recentissimi imbottigliamenti), che portano a punteggi sicuramente più bassi del reale valore del vino. La prova provata sono stati i 2017 degustati quest’anno che rispetto a quelli di un anno fa hanno mostrato una complessità aromatica ed una profonda linearità gustativa che lo scorso anno non si riusciva ad intravedere. Certo, sono le selezioni migliori quelle degustate quest’anno ma  sono convinto che se riassaggiassimo gli stessi vino diremmo le stesse cose. E sui Superiore le stesse cose dicevano anche dodici mesi fa ma la situazione non è per niente cambiata, anzi.

Scusate cari produttori ma come si posizione sul mercato una denominazione che, con la stessa tipologia di vino, è in uscita da 6-7 mesi dopo la vendemmia fino a 3 anni? Come si può stabilire una politica commerciale che veda anche un aumento del prezzo del Superiore se io stesso ne “svendo” una bella parte dopo pochi mesi? Forse se i prezzi del Verdicchio non riescono ad alzarsi non è tutta colpa del mercato ma  anche di una politica che punta ancora all’uovo subito più che alla gallina domani.

Ma dai nostri assaggi sono uscite anche annotazioni molto positive: l’arrivo  di un bel numero di nuove, giovani  e interessanti cantine e, soprattutto, un buon numero di Verdicchio che mostrano in maniera chiara la provenienza da zone di alta collina fino ad oggi poco conosciute e sfruttate, presentando freschezze che in passato erano appannaggio solo di alcuni Matelica.

A proposito di Matelica: anche qui abbiamo trovato cantine nuove i interessanti ma continuiamo a trovare Matelica che sembrano rinnegare il proprio territorio sia la naso con aromi stranissimi, che in bocca con morbidezze e dolcezze non certo figlie di questo lembo interno delle Marche.

Prima ho accennato alla “voglia di non usare legni” nei Superiore, che purtroppo non si estende alle Riserva, una tipologia che lo scorso anno ci era sembrata più “umanizzata” ma che quest’anno è ripiombata  in un limbo espressivo, rinchiusa in abiti di legno che mal si addicono ad un vino “contadino” (nell’accezione migliore del termine) come il Verdicchio. Magari ci diranno che tra 7-8 anni saranno grandi vini ma per adesso sono solo vini marcati e appesantiti dal legno. Il confronto con i Superiore di pari annata è spesso impietoso.

All’appello dei nostri assaggi, fatti come sempre a Jesi all’ IMT che ringraziamo, mancano i vini spumante: di quelli parleremo più avanti quando apriremo un focus su tutte le bollicine italiane da noi degustate.

Nel frattempo siamo convinti che i molti bei consigli che troverete nelle classifiche di quest’anno vi daranno materiale più che a sufficienza per bere ottimi Verdicchio sotto il solleone.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


LEGGI ANCHE