Verdicchio 2016: annata non del secolo, con belle eccezioni4 min read

Questo era l’anno dei girasole e la campagna attorno a Jesi era tutto un fiorire di “teste gialle”. Il panorama ne traeva indubbio vantaggio e mentre ammiravo colline giallo oro muoversi al vento mi sono reso conto di una cosa:  la zona del Verdicchio dei Castelli di Jesi, pur essendo  famosa in Italia per i suoi vini non è assolutamente una monocultura, anzi. Sulle dolci colline attorno a Jesi, sia quelle a sinistra che a destra dell’Esino,  le vigne non sono la maggioranza: la campagna è equamente suddivisa tra seminativi, boschi, vite e olivo. In questo la zona del Verdicchio ricorda molto il mio amato Chianti ed ecco quindi un motivo per amare ancor di più queste terre marchigiane, da me frequentate ormai da più di 30 anni.

E con un’esperienza di alcuni decenni mi sento di dire che la vendemmia 2016 non passerà certo alla storia tra le migliori del Verdicchio, sia esso Classico o  Superiore , di Jesi o di Matelica.

Naturalmente i vini buoni ci sono e neanche pochi, ma mediamente i Verdicchio degustati mancano di quella “polpa” che mi ha fatto definire questo bianco come “un rosso mancato”. Uno dei motivi, forse il maggiore, è dato dalle piogge in prossimità della vendemmia, che hanno in parte “annacquato” e non nel momento giusto  quella che fino a poco prima era stata sicuramente una vendemmia calda. La stessa identica cosa è accaduta in molte altre parti dello stivale  ma è ancora presto per dire se il Verdicchio si è comportato meglio di zone più  blasonate, dove i prezzi dei vini sono indubbiamente superiori.

Abbiamo parlato della “polpa”, cioè delle sensazioni in bocca del verdicchio, adesso vediamo quelle al naso. I vini sono sempre più  divisi in tre categorie: quelli che puntano nettamente sul frutto tropicale, quelli che presentano invece tonalità verso note vagamente vegetali (salvia, per esempio) e quelli invece che privilegiano ancora note finemente mandorlate, dove anice e menta spesso dicono la loro.

Posso ammettere che nei primi mesi di vita dei vini le prime due famiglie, grazie a lieviti e lavorazioni di cantina, possano avere il sopravvento, ma oramai l’evoluzione (o l’involuzione?) aromatica del verdicchio è un dato di fatto e la speranza è che un vino come questo, che ha bisogno di tempo anche nelle versioni più semplici, trovi modo e tempo per tornare a quelle complessità “d’antan” che mi piacerebbe trovare sempre più e invece sono sempre più difficili da reperire.

Ma veniamo alle note positive, che non sono poche: in primo luogo la sapidità di moltissimi vini e la “quasi tannicità” di un buon numero di campioni degustati: questo porta il verdicchio, Superiore compreso, ad avere una facilità di beva e di abbinamento invidiabile.

La vendemmia 2016 ha comunque portato vini sicuramente piacevoli, che con 5-6 mesi in più di bottiglia (per i Superiore ci vorrà ameno un anno) daranno ottimi risultati: per questo se dovessi dare un voto all’annata andrei sul 7- per i Classici e 7.5 per i Superiore.

Passando alla Riserva  il discorso si fa, purtroppo, più semplice: sono oramai secoli che affermo quanta attenzione ci voglia per far migliorare un verdicchio mettendolo in legno ed ogni anno mi ritrovo con almeno il 70% delle riserve che riescono nel facile e sconveniente compito di marcare di legno un vino che non ne ha assolutamente bisogno. Il rimanente 30% presenta vini complessi e armonici ma quello che rimane impresso delle riserve è lo sbagliato uso del legno, anche attraversando più annate e potendo degustare riserve di 2-3-4-5 anni. Voto medio impossibile visto lo spezzatino di annate degustate.

Per quanto riguarda i Matelica, troppo pochi, come sempre, per poterne parlare con cognizione di causa, la sensazione è che  le perle ci siano e, anno dopo anno, si confermino. Proprio perché la finezza, sapidità, complessità di alcuni Matelica è uno dei motivi per cui vale la pena vivere, chi vi aggiunge uve aromatiche andrebbe sbeffeggiato pubblicamente sulla pubblica piazza. Per quanto riguarda i Matelica vi rimando anche all’articolo sui 50 anni della DOC di Maddalena Mazzeschi, che pubblicheremo tra qualche giorno.

Una riga  dedicata  agli spumanti, pochi e forse mai così deludenti come quest’anno: annate, tipologie dosaggi diversi ma mediamente ben poco da rimarcare.

In chiusura un doveroso ringraziamento all’Istituto Marchigiano di Tutela Vini che, come sempre, ha reso possibili  le nostre degustazioni.

 

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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