Venissa ovvero la vite, il mare e la terra4 min read

La vite delle piccole isole è sempre una vite difficile, indipendentemente dalla latitudine. Nella Laguna Veneta allevare la vite non è affatto scontato. Qui non è la siccità oppure le forti pendenze a rendere difficile il lavoro bensì è il sale e l’erosione dovuta alle maree che rendono difficile la sua sopravvivenza. I costi di produzione, in queste condizioni, sono ovviamente molto elevati.

L’agricoltura, però nonostante tutto, è ancora praticata. Le coltivazioni in molti casi sono nei broli cioè nei giardini recitati da mura (l’equivalente dei clos francesi) dove si producono frutta, verdura e si alleva la vite. Ancora oggi è possibile effettuare un itinerario dedicato agli “orti della Serenissima” e c’è una piccola rassegna dei “vini ritrovati” per lo più provenienti da monasteri e conventi veneziani tra cui quello prodotto a San Francesco della Vigna. A Mazzorbo – e a Torcello isola del vigneto progenitore di quello di Venissa e dove gli abitanti nel 1822 erano tutti e 80 solo vignaioli – se non fosse per la famiglia Bisol di Valdobbiadene che ha sposato con mezzi e convinzione il progetto di ricreare con Venissa il “vino di Venezia”, della viticoltura lagunare se ne parlerebbe ben poco. 

L’azienda ha reimpiantato un vigneto di Dorona, un’antica uva veneta della famiglia della Garganega ( fonte, prof. Attilio Scienza), che ha una vita molto complicata. Il suolo lagunare ( limoso-sabbioso, povero in scheletro e leggermente calcareo) è a circa 1 metro sul livello del mare e quando il vento di scirocco si sovrappone al picco di marea, l’acqua alta sommerge tutto senza riguardi nei confronti di niente e di nessuno. E’ ciò che è successo lo scorso 11 novembre quando 149 centimetri di marea hanno allagato il 70% di Venezia e buona parte di Mazzorbo compreso il suo vigneto. Lo stesso fenomeno si era verificato non molto tempo prima. In isole come queste la lotta tra la terra e il mare è più evidente che altrove vista l’altezza raggiungibile dalle maree e nemmeno è strano che tra i filari ci sia un impianto di irrigazione. Non tanto per fornire alla vite l’acqua durante la stagione estiva quanto per dilavare il sale, estremamente dannoso per le radici della vite, che si accumula nel suolo.

Nelle altre isole della Laguna dove ci sono vigneti più o meno estesi, come per esempio a Torcello (2 metri s.l.m) o a Sant’Erasmo (4 m s.l.m.) la situazione è appena migliore. Su quest’ultima nell’azienda Orto di Venezia è stato riattivato l’antico sistema di drenaggio che raccogliendo l’acqua piovana entro i canali che passano tra i filari delle vigne, fluisce poi in laguna con la bassa marea attraverso un sistema di chiuse. Nel 2003 il proprietario dell’azienda Michele Tholouze, ha ripiantato 4,5 ettari di vigneto su un terreno abbandonato da oltre cinquant’anni con la consulenza di due agronomi speciali, Lydia e Claude Bourguignon. Si alleva la vite anche a Santa Cristina, un’isola privata di proprietà della famiglia Swarovsky ( gioielli e cristalli) che impiegano il vino come gadget aziendale.

Il vino di Venissa
L’azienda attualmente presenta l’annata 2010. Da circa 4.000 ceppi che danno una produzione per pianta di 1,1 kg di Dorona raccolta la terza decade di settembre, le bucce a contatto con il mosto hanno macerato per 30 giorni, con follature manuali, ad una temperatura di 18/19°C. Il vino è stato prodotto da una joit venture tecnica tra due enologi, Desiderio Bisol e Roberto Cipresso. La scelta è stata di creare complessità da uve che vinificate altrimenti non avrebbero permesso simili risultati.  Attualmente il vino ha assunto un colore dorato molto carico e i profumi sono in piena evoluzione terziaria con la mandorla in evidenza. Il sapore è asciutto, “molto sapido/quasi salato”, caldo e lungamente persistente, con una struttura più da rosso che da bianco. Classico “vino da meditazione”, risulta formidabile con il fritto di moeche, i granchi molli della tradizione veneziana.

 

—————————————————————————————————

 

Acqua alta

L’acqua alta spesso è vissuta come una sorta di fenomeno folcloristico, una curiosità da telegiornale. Prima succedeva ogni tanto, ora sempre più spesso. Quando la marea segna +80 cm registrati a Punta Salute, iniziano i dolori. Oltre i 110 cm per i tanti che abitano al piano terra non c’è scampo: seppur barricati con le paratie davanti ai portoni, per effetto dei vasi comunicanti ciò che non entra dalla porta viene sputato fuori dai servizi.

Il senso di impotenza è palpabile così come la rabbia mista a rassegnazione: i mobili di legno si gonfiano, gli impianti elettrici vanno in tilt e per non parlare degli elettrodomestici, frigoriferi in primis o dei divani e dei materassi. Non sono belle a vedere le facce degli anziani dopo l’ennesima alluvione.

Succede a tutti: abitazioni, alberghi, ristoranti, negozi. E non sempre basta mettere ad asciugare all’aria aperta perché tutto ritorni come nuovo. Bisogna pulire e ripulire. I danni ci sono sempre, e non è detto che siano immediatamente visibili. Aspettando il Mo.Se., la ormai “mitica”diga mobile che dovrebbe risolvere tutti i problemi ….. Sarà davvero così ?

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


ARGOMENTI PRINCIPALI



LEGGI ANCHE