Vendemmia 2009: il vino peggio del latte?4 min read

Siamo nel momento dei premi e dei vernissage, in cui il mondo del vino cerca di farsi vedere sorridente ed in buona forma.

Purtroppo, guardando i dati economici di questa vendemmia, la realtà è molto diversa.

Stamani mi sono messo al telefono per avere i prezzi di vendita delle uve in varie zone italiane. I dati che mi ritrovo in mano sono veramente tristi. Dire che in media le uve sono state e vengono pagate dal 20 al 40% in meno rispetto allo scorso anno non riesce minimamente a dare l’idea della situazione. Occorre andare nel dettaglio e parlare di cifre.

Facciamo alcuni esempi: il costo di produzione di un quintale di uva per vino Chianti DOCG si aggira intorno ai 100€ mentre quest’anno il solito quintale di uva viene pagato al massimo 40-45€. In Chianti Classico la produzione costa attorno ai 120 € e le uva oggi sono quotate sui 100. Stessa quotazione a Montalcino (non parliamo qui del costo per ettaro….sarebbe da paura) con dei minimi a 80€ e massimi a 120€.
In Valpolicella l’uva non da Amarone viene pagata attorno ai 60 centesimi al chilo, con costi di produzione attorno agli 80-90€ al quintale. Stessi costi a Bardolino con l’uva però pagata attorno a 0,30 € al chilo. Ma possiamo scendere ancora: in Veneto uve per vini IGT sono pagate tra 0,10 e 0,20 € al chilo, in Lazio e nella zona di Capalbio siamo addirittura sotto a 0,10 € al chilo tanto che diversi produttori hanno deciso di non vendemmiare. In Piemonte per uva di Barbera DOC si strappano prezzi attorno a 0,40€ al chilo con un costo per ettaro superiore agli 80€. Per il Dolcetto siamo a 0,25-0,30 € avendo gli stessi costi per ettaro della Barbera. Come vedete non sono sceso al sud, dove i prezzi sono da sempre molto bassi, dato che un quintale di vino rosso  siciliano in cisterna viene pagato attorno ai 15€.

In questa situazione difficilissima, molto vicina al tracollo finanziario per alcuni territori e certamente per diversi produttori, pare che il Friuli abbia avuto remunerazioni giuste ed altre zone del nord  (Alto Adige e Trentino) non si stiano lamentando più di tanto. Questo però non può permetterci di tirare sospiri di sollievo.

Ora la mia domanda è semplice: per quanto tempo i produttori d’uva (e quindi di vino) di molte zone d’Italia potranno reggere una situazione tale?

Le aziende a conduzione familiare potranno ammortizzare meglio il colpo ma chi deve pagare stipendi ogni mese cosa farà? Se poi nel recente passato sono stati fatti investimenti in vigna ed in cantina che prevedono pagamenti di mutui la situazione peggiora e non di poco.

Ho negli occhi la tremenda immagine dei produttori di latte italiani che lo usano per innaffiare  i campi e la paura è di veder fare la stessa cosa con il vino.

Come detto nei prossimi giorni celebreremo (anche giustamente) vini che in enoteca costano più di 4 quintali di vino in cisterna proveniente dal nostro sud. Incenseremo le punte del sistema, un sistema che sempre più sembra poggiare su piedi d’argilla. Un sistema che andrebbe rivisto perché, con tutta la crisi che c’è in giro,  i prezzi dei vini di livello non è che diminuiscano ed il consumatore non riesce a capire i veri problemi dei contadini. Se il latte non viene pagato nemmeno la metà di quanto costa al produttore, la stessa cosa avviene per buona parte del vino. Non sto parlando del cosiddetto “vino di qualità” ma di quella enorme massa di prodotto su cui galleggia questo piccolo iceberg. Ci sarebbe poi anche da capire quanto di quel “mare magno” diventi vino di qualità, finendo in tagli venduti a 15-20 volte il prezzo di acquisto.

Mi viene in mente l’esempio  della “Turris Eburnea”, che fotografava il sistema delle corti rinascimentali, dove mecenati spendevano e spandevano, artisti e cortigiani facevano la bella vita, mentre il mondo “fuori” viveva tra pestilenze e fame. Il mondo del vino di qualità italiano assomiglia molto a questo luogo felice e spensierato (almeno sulla carta), circondato da un mondo di sofferenza.

Ancora non siamo arrivati alla chiusura di cantine o al dover gettare il vino per strada, ma forse un esame di coscienza generale sarebbe non solo auspicabile ma doveroso e soprattutto da fare in tempi brevi. Il rischio è di far seccare le ampie basi produttive del paese, di far abbandonare le campagne, di ritrovarsi magari con tanti vini “veri”, sinceri, frutto della terroir, in una terra desolata dove un tempo crescevano tante vigne.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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