Val di Cembra: vini di montagna nel rispetto del territorio (se vi sembra poco…)5 min read

Visto che La Val di Cembra in realtà è piuttosto in alto, “partiamo alti” con un’affermazione accademica. La Val di Cembra è un chiaro esempio di quella che si definisce “enogeografia” ovvero – detto in estrema sintesi – lo studio della viticoltura quando questa diventa spazio geografico. E’ un territorio che si presta a questo approccio in quanto ci troviamo di fronte ad un paesaggio vitivinicolo unico, chiara espressione di un dialogo secolare tra popolazione, territorio e ambiente. Condizione peraltro sancita dalla recente iscrizione dei vigneti terrazzati della Valle di Cembra nel registro nazionale dei paesaggi rurali.

Terrazzamenti in Val di Cembra

L’occasione per un interessante e piacevole approfondimento della viticoltura in Val di Cembra è arrivata dalla manifestazione “Dolo-Vini-Miti”, il festival dei vini verticali ben organizzato dal 6 all’8 ottobre scorsi dall’Associazione turistica Val di Cembra in collaborazione con l’Apt Fiemme-Cembra.   

La tavola rotonda di apertura dedicata ai vini di montagna ha offerto degli spunti interessanti rilevando subito come negli ultimi anni dal punto di vista vitivinicolo la montagna stia diventando “terra di conquista”, ciò in seguito al cambiamento climatico con l’aumento delle temperature a cui consegue un ripensamento della collocazione dei vigneti. Stimolante è stato poi l’intervento di Walter Webber per conto del Cervim (Centro di ricerca e valorizzazione della vite di montagna) sulle difficoltà che si incontrano nel portare avanti la cosiddetta viticultura “eroica” (caratterizzata da forti pendenze, terrazzamenti e altitudine superiore ai 500 m.s.l.) e la sua importanza nella conservazione e valorizzazione del paesaggio.

Tornando in Val di Cembra, ecco poi alcuni dati utili a chiarire il contesto di cui stiamo parlando: terreni a basamento porfirico (anche le cave di porfido caratterizzano la zona), la Val di Cembra è una delle tre valli alpine vitate insieme alla Valtellina e alla Val d’Isarco (in parte minore anche la Val d’Aosta). La fascia coltivata a vite è compresa tra 300 a 850 metri s.l.m. con 700 chilometri di muretti a secco e una pendenza media dei vigneti del 30-40%.

Tale condizione limita naturalmente le lavorazioni meccanizzate, rendendo di fatto quasi totalmente manuale la gestione delle operazioni in vigna. La superficie media coltivata per azienda è di circa 0,8 ettari. La Valle di Cembra produce annualmente una media di 90-100.000 quintali di uva da vino su circa 700 ettari coltivati. La varietà storicamente più coltivata fino agli anni 70-80 era la Schiava (sc´iàva, o vernatsch), sia nella varietà Schiava Grossa che Gentile, allevata esclusivamente a pergola trentina.

La pergola trentina

A bacca rossa e molto generosa, questa varietà dava un vino poco strutturato, beverino e a bassa gradazione alcolica, idoneo al largo consumo che ne veniva fatto un tempo. Ma è a partire dai primi anni 2000 che è mutato il panorama varietale coltivato in valle, periodo in cui sono state introdotte altre varietà considerate più pregiate. Tra queste il Müller Thurgau ha trovato un´area di particolare elezione ed è diventato un´icona della valle. Come ha sottolineato uno degli storici produttori della Val di Cembra Nicola Zanotelli alla tavola rotonda di cui sopra, il Müller Thurgau rimane il vino più importante della valle al punto che dovrebbe chiamarsi semplicemente “Cembra”. Da tener ben presente che la resa ottimale di questo vino si ottiene ad un’altitudine di 600-650 metri, e quindi è qui che trova le condizioni ideali per la maturazione delle uve.

Ancor più recentemente, un vino in forte sviluppo e capace di creare un elevato valore aggiunto (confidiamo che non sia a discapito del Muller Thurgau) è il metodo classico Trento DOC, per il quale sono usate soprattutto le varietà Chardonnay e Pinot Nero.

In ogni caso l’accurato lavoro svolto dai viticoltori della Val di Cembra mirato prima di tutto alla qualità ha pagato: dal 2017 è stata riconosciuta e concessa ai vini prodotti da uve ottenute in Val di Cembra per le varietà Müller Thurgau, Schiava, Riesling Renano e Pinot Nero, la Doc Trentino Superiore sottozona Valle di Cembra o Cembra.

Il bello  e il buono

Un tuffo nel singolare paesaggio cembrano è stato reso possibile da un “wine trekking gourmet”, una sorta di mangialonga di 5 chilometri tra i vigneti, intervallata da piacevoli soste enogastronomiche di territorio. Sotto un sole ed una temperatura decisamente eccessiva per il periodo, è ancora vivo il ricordo della piacevole sensazione della carne salada, della trota marinata, del petto di grigio (che non è l’orso!) e del butchen in rosa.

Una verticale di Pinot Nero in conclusione di serata presso l’azienda Barone A Prato condotta da Raffaele Fischetti (FIS) si è rivelata particolarmente utile per saggiare le caratteristiche e le qualità di un vino che rappresenta anche la tradizione vinicola del territorio dato che il primo Pinot Nero in Val di Cembra è stato imbottigliato nel 1885.

In degustazione tre vini per ognuna delle tre aziende selezionate: Pelz con le annate 2020, 2018 e 2016; Corvée con 2018, 2017 , 2016 e Barone a Prato con le Magnum 2017, 2016 e 2004.

Un minimo comun denominatore l’ho trovato nella chiara evoluzione dei vini: frutta rossa e floreale con leggera chiusura in bocca per i più giovani, si va verso una piacevole complessità caratterizzata da una buona acidità, tannini equilibrati, sicura balsamicità con note di tabacco per i più maturi. Sorprendente la magnum 2004 di Barone a Prato, un vino che nonostante l’età avanzata mantiene un bel cuoio al naso, in bocca arancia rossa, appena metallico con note di tabacco e cioccolato.

Torno a casa con la certezza che la Val di Cembra rappresenta una nicchia enologica e paesaggistica di indubbio interesse e con notevoli potenzialità, ma dove ancora si rispetta il territorio. E ciò non è per niente scontato.

Fabrizio Calastri

Nomen omen: mi occupo di vino per rispetto delle tradizioni di famiglia. La calastra è infatti la trave di sostegno per la fila delle botti o anche il tavolone che si mette sopra la vinaccia nel torchio o nella pressa e su cui preme la vite. E per mantener fede al nome che si sono guadagnato i miei antenati, nei miei oltre sessant’anni di vita più di quaranta (salvo qualche intervallo per far respirare il fegato) li ho passati prestando particolare attenzione al mondo del vino e dell’enogastronomia, anche se dal punto di vista professionale mi occupo di tutt’altro. Dopo qualche sodalizio enoico post-adolescenziale, nel 1988 ho dato vita alla Condotta Arcigola Slow Food di Volterra della quale sono stato il fiduciario per circa vent’anni. L’approdo a winesurf è stato assolutamente indolore.


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