Uso o abuso del palato?3 min read

Dopo poche ore che era stato pubblicato “C’è un limite al limite” (vedi) dove si parla di quali soglie non andavano superate nel numero dei campioni da degustare, ci è arrivato per mail un commento di Burton Anderson. Abbiamo allora chiesto a quello che reputiamo uno dei più grandi giornalisti del vino se potevamo pubblicarlo come un vero e proprio articolo. Burton  ha detto di si ed è quindi con grande piacere ed un filino di emozione che mettiamo online, per Winesurf, queste righe a firma Burton Anderson. Il titolo al pezzo è stato messo da noi.

Chi beve vini commerciali spesso basa i suoi acquisti sui punteggi piuttosto che sui propri gusti. A molti mancano l’esperienza, la sicurezza o i mezzi per comprare e confrontare.

Quelli che possono permetterselo, tendono a smaniare per vini da 90 punti e passa, guardando qualsiasi cosa sotto gli 89/100 come merce di seconda classe.

I venditori coscienziosi consigliano ai consumatori alternative valide, ignorando i punteggi, ma molti commercianti sembrano per contro ben contenti di lasciare che i critici lavorino al posto loro.

Quello che mi irrita è il modo spesso arrogante in cui molti degustatori “seriali” fanno uso (e abuso) del proprio palato.
Il rituale classificatorio nella sua versione standard implica che la degustazione di una serie di vini avvenga in un momento definito: annusare, sorseggiare, analizzare il vino in bocca senza deglutire e poi sputarlo fuori.

Punteggi, o altri criteri, vengono assegnati sulla qualità di un vino in un determinato momento della sua vita. Ma tanti critici hanno l’impudenza – e quel che è peggio i lettori la credulità – di considerare simili giudizi come definitivi.
I critici spesso degustano in spazi isolati, lontani dall’atmosfera in cui il vino è normalmente consumato: vale a dire con il cibo, in compagnia, in ambienti conviviali; trattato come una bevanda da assaporare e apprezzare, non come un esemplare sottoposto a un test.

I critici migliori hanno i sensi dell’olfatto e del gusto più fini e sviluppati della media. Ma non importa quanto acuti e disciplinati sosteniamo di essere: l’analisi sensoriale ha mostrato che perdiamo comunque lucidità nell’assaggiare diversi vini in successione.

Per quanto sputiamo e sciacquiamo con l’acqua, inevitabilmente ingoiamo un po’ di vino, che equivale a una notevole quantità di alcol ingerito nel corso di una lunga degustazione. Questa ingestione essicca la cavità orale a mano che diminuisce la secrezione salivare, appannando le papille gustative e smorzando la percezione della texture, del peso e dell’equilibrio di un vino per come li “sente” la bocca.

Analogamente, una ripetuta esposizione agli odori dei vini è causa di affaticamento olfattivo e di un’attenuazione del così importante senso dell’odorato.

 

Gli studi concludono che per essere scrupoloso e corretto nel degustare vini, uno avrebbe bisogno di frequenti interruzioni per rinfrescare il naso e la bocca.
Soltanto una sospensione di almeno cinque minuti tra i vini permette un recupero accettabile della percezione olfattiva.

In ogni caso, è fisiologicamente impossibile giudicare il trentesimo o cinquantesimo o centesimo vino di una serie con la stessa precisione con cui si giudicano i primi dieci/quindici. Eppure i sedicenti superassaggiatori minimizzano l’evidenza mentre immortalano fino a centoventicinque vini per seduta. Affidatevi ai loro punteggi, se volete: i soldi sono vostri.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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0 responses to “Uso o abuso del palato?3 min read

  1. ..il problema è che, se e quando compriamo delle guide, non sappiamo di fatto come sono state fatte le degustazioni…potrebbe essere un suggerimento agli editori?

  2. Sono sostanzialmente d’accordo con Burton, al quale non a caso va tutta la mia stima. E resto dell’idea che, anche a prescindere dall’indubbia esistenza di diverse soglie individuali di “resistenza” all’affaticamento sensoriale, dovrebbe essere (anche solo in termini morali) convenuto un limite generalizzato e accettato da tutti come forma di autoregolamentazione. Sottoscrivo al 100% anche il discorso dei consumatori-idolatri dei punteggi e il fatto che i punteggi siano solo una parte del giudizio complessivo di un vino.
    Sul resto rimando al mio commento sul post precedente, da cui quest’articolo ha preso origine.

  3. Sono convintissima di quanto detto nell’articolo, ma per noi produttori di vino rimane sempre e comunque il problema di dovere affidare alla valutazione esterna i nostri vini.
    Quello che io spero sempre è di avere davanti un esperto, onesto, che non si limiti ai suoi gusti personali nella valutazione di un vino (ci sono persone che non amano alcune tipologie di vini, ma le giudicano), che sia in grado possibilmente di capirne l’evoluzione(quando un vino è imbottigliato da poco,o ha appena affrontato un viaggio in aereo non è lo stesso che avere una condizione ottimale) , che non valuti sempre secondo “l’etichetta” e la fama del suo produttore.
    Noi produttori di vini non possiamo fare a meno di accettare la competizione con gli altri produttori e molto umilmente ci dobbiamo “sottoporre” al giudizio (si spera ) di esperti ( o che si spacciano per esperti).
    I veri esperti sono pochissimi, quello che rimane sempre e comunque è che un vino deve piacere al fruitore finale, ma l’unico modo per farsi conoscere è attraverso quelle valutazioni cosଠpericolose da fare “il buono e il cattivo tempo” da un punto di vista commerciale.
    Allora rivolgo una preghiera ai giudicatori: umiltà , onestà , rispetto per un lavoro cosଠdifficile….

  4. L’idea di Carlo è assolutamente saggia e condivisibile (non per niente l’avevo suggerito anch’io :-)). Il sapere quanto, come e dove vengono assaggiati i vini e magari (ma questo è molto più difficile) mettere accanto al vino un numero che riporta pari pari se è stato degustato per terzo o per cinquantesimo, potrebbe essere una “glasnost” importantissima. Se poi uno è sicuro dei suoi 100-130-160 assaggi non vedo perchè non lo debba dichiarare urbi et orbi. Per esempio noi di winesurf accanto ad ogni assaggio mettiamo la data in cui questo è stato fatto. Quindi uno può risalire anche al numero di campioni assaggiati per giorno. Comunque , in un panorama guidaiolo-cartaceo sempre più sul viale del tramonto, riportare queste cose potrebbe anche essere un buon fattore di marketing, del tipo “la guida che non assaggia più di 50 vini al giorno a persona”.

  5. L’articolo ha la forza di chi punta al cuore del problema. MI ha rincuorato perchè io sono consapevole che nel mio peregrinare enoico ( fiere o degustazioni seriali legate ad un luogo un paese ecc. ) il mio palato arriva a fondo scala abbastanza presto. E me ne rendo conto. A Montalcino una volta ho parlato con persone che avevano degustato 120 vini nella giornata. HO visto le stesse persone degustare accanto a me circa 10 vini in pochissimo tempo, una sorta di catena di montaggio. MI chiedevo se fossero dei supereroi, se io invece avevo da farmi le ossa per arrivare a quel punto ( ma poi perchè ? ) o se facessi bene a nutrire dubbi sulla reale loro capacità  di comprendere il vino. Capisco anche che la professione del giornalista impone di sottoporsi a certe maratone, ovvero la partecipazione a eventi organizzati da altri. Alla fine credo che la verità  come sempre stia nel mezzo. Prendere queste valutazioni non come oro colato ma come indicazioni. Poi come dice Anderson se c’è chi compra vino solo in funzione dei premi delle guide, affari suoi … le guide ringraziano

  6. Ci sono tante cose nella società  attuale che vorrei cambiare, ma cambiare con “dolcezza” con educazione, responsabilizzazione, liberazione dell’individuo. Questo per dire che quello che segue non vuole essere una critica. Solo una costatazione.
    Quello di cui sono perennemente sorpreso e del poco conto che si da ai studi sulle capacità  di degustare.
    Gli ultimi che ho letto sono un po vecchi e erano pubblicati nella “Revue des oenologues et des techniques vitivinicoles et oenologiques” (N°97S 11/2000; 98 01/2001; 102 01/2002; 111 04/2004)
    Studi nati in realtà  dall’industria del cacao e del caffè che hanno bisogno di avere dei standard fissi e durevoli negli anni anche col eventuale variare annuale della materia prima, e dunque cercare metodi e procedure su come definirli, e poi metodi provati anche col vino.
    Due cose emergono 1- che per ora non si può sostituire un pannel di persone con un metodo analitico. 2- che in condizioni nelle quale il degustatore non ha nessuna informazione, non ci sono due valutazioni identiche, nemmeno tra professionisti del settore!!!
    Un esempio eclatante nella ricerca fu una degustazioni di 8 sommelier tra quelli riconosciuti di Parigi e 18 vini di cui 1 “grande vino” e 1 “tavarnello”. Il “tavarnello” mai ultimo, il grande vino mai primo e non ci sono due valutazioni confrontabili. Conclusioni dei ricercatori, in situazione di mancanza totale di informazioni ( tipo di qualità , provenienza, prezzo etc) non è affidabile nemmeno lo specialista. Preciso che il fine della ricerca non era di dimostrare questo aspetto, ma di ricercare un meccanismo o una procedura affidabile.

    Detto questo sarà  capitato a più di un produttore, citato da una guida, che gli arriva in cantina una persona che dice di voler degustare il vino YYY e quando gli proponi anche XXX e ZZZ ti dice: no Tizio ha scritto che YYY era quello buono.

    E da qui i desiderati cambi di società , l’ideale, nella quale il turista o il bevitore prova un vino, se ne innamora e lo propone agli amici anche se è “aceto” è pronto a difenderlo perché A LUI piace. Ha il coraggio delle proprie idee, e dei propri gusti. Non ha bisogno del guru di turno che li dice quale posizione prendere prima di andare a letto per 15 minuti, o quale vino bere con gli amici. Ma questo è solo un ideale (che ha anche tanti altri aspetti…;o) ), ormai i guri sembrano proliferare anche malgrado la loro voglia di non essere guru. Sono i consumatori che te li creano e portano “all’insù” , almeno quelli onesti.

    Però rimango stupito che anche nell’ambiente tecnico, le ricerche sui meccanismi di acquisizione del gusto non siano divulgati…. forse questo è ingenuità  mia! Non si rompe il giocattolino che ti fa vivere o magari più semplicemente ci vorrebbero troppe spiegazioni e troppi sforzi in distinguo per riuscire a renderlo intellegibile?

  7. Mi trovo perfettamente d’accordo con quanto esposto da Burton. Quando un assaggiatore professionista si trova a giudicare un vino deve considerare che dietro quel bicchiere ci sono anni di lavoro,inoltre il primo approccio all’olfatto ed al gusto ,può dare solo una parziale lettura delle caratteristiche di quel prodotto che
    andrà  capito secondo la sua evoluzione nel bicchiere e per le potenzialità  ancora inespresse in quella specifica fase.
    Insomma tutti particolari che nei 30 secondi(voglio essere generoso) dedicati alla degustazione del prodotto vengono spesso incompresi.
    La colpa di tutto ciò è però anche di noi produttori che permettiamo loro di giudicare i nostri vini con queste modalità .

  8. Vorrei cercare una mediazione. Gli eccessi sono quasi sempre sbagliati ma se un eccesso è assaggiare 150 vini, per un degustatore professionista e sottolineo per un degustatore professionista, è un eccesso assaggiare 10-15 vini. I lunghi tempi in più per ogni vino porterebbero solo ad un interruzione del lavoro, ad avere più dubbi che certezze, ad una diminuzione della soglia di attenzione senza portare alcun reale beneficio. Si tratta non di dedicare 30-40 50 secondi oppure 3 ore ad un singolo vino ma di inserire o auto-inserire dei paletti etici e poi numerici che permettano al vino 47 di essere assaggiato con la stessa attenzione dei primi tre-cinque vini.
    Che poi ogni degustatore possa avere pareri diversi per me è proprio il bello del lavoro. Se tutti assaggiassimo alla stessa maniera basterebbe un bollettino annuale e tutti felici. Che poi questa valutazione venga fatta nelle condizioni migliori ed abbia anche un reale valore per il mercato è tutto un altro paio di maniche e ci vorrebbero fiumi di inchiostro per provare solo ad impostare il problema.

  9. Ci sono degustatori nostrani che si fanno un vanto di riuscire ad assaggiare e valutare 400 vini in un giorno e degustatori esteri che ne assaggiano circa il doppio nello stesso periodo di tempo (e solo perchè hanno fretta)…
    mi sembra di essere dopo una battuta di caccia o di pesca, dove si fa a chi la spara più grossa. Il guaio è che i degustatori di cui sopra sono dei mostri sacri della critica enologia, ipercriticati da altri loro colleghi (noti e meno noti), ma seguiti come il Vangelo da commercianti, ristoratori e, alla fine, dai produttori stessi…Perchè si può dire quel che si vuole della capacità  di uno come R.Parker (capace, appunto, di farsi poco meno di 1000 vini in una giornata: o almeno, cosଠdice), ma se assegna 92 punti ad un vino, vorrei proprio vedere se il produttore del medesimo non lo fa immediatamente sapere all’universo mondo…
    L’autorevolezza ad una persona gliel’assegniamo noi, consumatori e produttori insieme. Poi, inutile lamentarsi se creiamo dei mostri.

  10. Dovrei rispondere facendo un copia e incolla…mi limito a pubblicare il link a qualcosa che ho scritto a questo proposito…

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