Dopo poche ore che era stato pubblicato “C’è un limite al limite” (vedi) dove si parla di quali soglie non andavano superate nel numero dei campioni da degustare, ci è arrivato per mail un commento di Burton Anderson. Abbiamo allora chiesto a quello che reputiamo uno dei più grandi giornalisti del vino se potevamo pubblicarlo come un vero e proprio articolo. Burton ha detto di si ed è quindi con grande piacere ed un filino di emozione che mettiamo online, per Winesurf, queste righe a firma Burton Anderson. Il titolo al pezzo è stato messo da noi.
Chi beve vini commerciali spesso basa i suoi acquisti sui punteggi piuttosto che sui propri gusti. A molti mancano l’esperienza, la sicurezza o i mezzi per comprare e confrontare.
Quelli che possono permetterselo, tendono a smaniare per vini da 90 punti e passa, guardando qualsiasi cosa sotto gli 89/100 come merce di seconda classe.
I venditori coscienziosi consigliano ai consumatori alternative valide, ignorando i punteggi, ma molti commercianti sembrano per contro ben contenti di lasciare che i critici lavorino al posto loro.
Quello che mi irrita è il modo spesso arrogante in cui molti degustatori “seriali” fanno uso (e abuso) del proprio palato.
Il rituale classificatorio nella sua versione standard implica che la degustazione di una serie di vini avvenga in un momento definito: annusare, sorseggiare, analizzare il vino in bocca senza deglutire e poi sputarlo fuori.
Punteggi, o altri criteri, vengono assegnati sulla qualità di un vino in un determinato momento della sua vita. Ma tanti critici hanno l’impudenza – e quel che è peggio i lettori la credulità – di considerare simili giudizi come definitivi.
I critici spesso degustano in spazi isolati, lontani dall’atmosfera in cui il vino è normalmente consumato: vale a dire con il cibo, in compagnia, in ambienti conviviali; trattato come una bevanda da assaporare e apprezzare, non come un esemplare sottoposto a un test.
I critici migliori hanno i sensi dell’olfatto e del gusto più fini e sviluppati della media. Ma non importa quanto acuti e disciplinati sosteniamo di essere: l’analisi sensoriale ha mostrato che perdiamo comunque lucidità nell’assaggiare diversi vini in successione.
Per quanto sputiamo e sciacquiamo con l’acqua, inevitabilmente ingoiamo un po’ di vino, che equivale a una notevole quantità di alcol ingerito nel corso di una lunga degustazione. Questa ingestione essicca la cavità orale a mano che diminuisce la secrezione salivare, appannando le papille gustative e smorzando la percezione della texture, del peso e dell’equilibrio di un vino per come li “sente” la bocca.
Analogamente, una ripetuta esposizione agli odori dei vini è causa di affaticamento olfattivo e di un’attenuazione del così importante senso dell’odorato.
Gli studi concludono che per essere scrupoloso e corretto nel degustare vini, uno avrebbe bisogno di frequenti interruzioni per rinfrescare il naso e la bocca.
Soltanto una sospensione di almeno cinque minuti tra i vini permette un recupero accettabile della percezione olfattiva.
In ogni caso, è fisiologicamente impossibile giudicare il trentesimo o cinquantesimo o centesimo vino di una serie con la stessa precisione con cui si giudicano i primi dieci/quindici. Eppure i sedicenti superassaggiatori minimizzano l’evidenza mentre immortalano fino a centoventicinque vini per seduta. Affidatevi ai loro punteggi, se volete: i soldi sono vostri.