Uno sfogo da vecchio: influencer de che?2 min read

Questo articolo prende spunto da quello scritto qualche giorno fa  da Angelo  Peretti, dal titolo “Diventeremo tutti  bevitori di etichette?” che parla dell’invasione sui social di foto di etichette di vino, senza alcun commento, senza spiegare  minimamente il vino ma solo per far vedere che quella bottiglia si è bevuta.

E così mi è venuto da pensare a quando il principale giornale di enogastronomia italiano di allora, il Gambero Rosso, era orgogliosamente senza foto (c’erano solo bellissimi disegni) e tutto era demandato alla parola scritta.

Correva la fine degli anni Ottanta e erano tempi molto diversi,  tempi in cui si scrivevano articoli senza badare alla loro lunghezza, senza pensare a parole chiave, ma semplicemente cercando di proporre articoli approfonditi, pieni di contenuti e di informazioni. Del resto la prima guida ai vini italiani aveva delle schede, allora considerate sintetiche, che comunque dovevano parlare della famiglia, della cantina, delle idee e dei vini, usando spazi oggi destinati spesso ad articoli gastronomici di approfondimento.

C’era forse anche un modo diverso di avvicinarsi al vino ed  era appunto un avvicinarsi: il termine avvicinare ha in sé una serie di educati e felpati passaggi, che oggi sempre meno vengono presi in considerazione.

Oggi funziona tutto in maniera diversa  e  per spiegare come funziona basta una parola: Influencer.

Per essere Influencer non c’è bisogno di aver studiato e tanto meno di conoscere molto bene il settore  e l’argomento di cui si parla, l’importante è aver trovato il modo di essere un po’ famosi, un po’ seguiti. Fatto questo l’Influencer potrà parlare, pardon , farsi vedere, mentre mette in mostra auto, dentifrici, cibi, vini. Il tutto naturalmente senza scrivere una parola.

Ma purtroppo non ci fermiamo qui e così assistiamo  ad un ulteriore peggioramento della situazione, con la creazione  della  nuova categoria che potrei definire “aspiranti influencer”, che nel vino si esprimono pubblicando foto su foto di vini bevuti o meno, ammirati o meno, capiti o meno: l’importante è ottenere mi piace, cuori, attestati numerici che servono a sentirsi un po’ influencer, cioè un po’ famosi.

Le cose sono proprio cambiate da quando scrivevi articoli sperando di essere pubblicato da qualcuno: allora, per parafrasare  un famoso libro di Erich Fromm, bisognava essere bravi a scrivere , oggi basta avere uno smartphone.

Tutta questo può essere definito come una corsa verso  l’abolizione della competenza, della conoscenza, dello studio. della voglia di informarsi e di conoscere a vantaggio del semplice vedere (non osservare, attenti, per osservare serve un minimo di fatica e soprattutto conoscere e RIconoscere cosa si osserva) e far vedere?

Non lo so, forse esagero e magari proprio per questo  mentre scrivevo queste righe mi sono sentito  irrimediabilmente datato, ma non potevo farne a meno. Abbiate pazienza, sono vecchio.

Carlo Macchi

Sono entrato nel campo (appena seminato) dell’enogastronomia nell’anno di grazia 1987. Ho collaborato con le più importanti guide e riviste italiane del settore e, visto che non c’è limite al peggio, anche con qualcuna estera. Faccio parte di quel gruppo di italiani che non si sente realizzato se non ha scritto qualche libro o non ha creato una nuova guida sui vini. Purtroppo sono andato oltre, essendo stato tra i creatori di una trasmissione televisiva sul vino e sul cibo divenuta sicuramente la causa del fallimento di una nota rete nazionale. Riconosco di capire molto poco di vino, per questo ho partecipato a corsi e master ai quattro angoli del mondo tra cui quello per Master of Wine, naturalmente senza riuscire a superarlo. Winesurf è, da più di dieci anni, l’ultima spiaggia: dopo c’è solo Master Chef.


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