Una volta si beveva più vino e meglio!6 min read

E’ con piacere immenso che diamo il benvenuto tra i mattocchi di Winesurf ad uno che ha sicuramente le carte in regola per primeggiare nel gruppo. Roberto Tonini, toscano e  maremmano DOC, vive a Braccagni, in provincia di Grosseto. Visto che è DOC, scrive giustamente in maniera molto….. toscana. L’esempio è la frase accompagnatoria alla mia richiesta di una sua foto “  Pe la foto c’ho solo l’imbarazzo della scelta, infatti so dimorto imbarazzato:  c’ho pochi capelli, ma almeno un c’ho l’orecchi a sventola come un venusiano”.
Per l’occasione, dopo averci presentato Braccagni  e se stesso, ci propone “Una volta si beveva più vino e meglio!”, bellissimo quadretto di un enoico passato  pubblicato qualche giorno fa  (link)sul giornale on line di Braccagni (a Braccagni un si fanno mancà niente…)

 

Braccagni è un ameno paese di pianura, 13 Km a nord di Grosseto, che si è sviluppato intorno ai due poli di attrazione dello scalo ferroviario della linea Roma – Pisa e della via Aurelia. Sorge ai piedi della collina di Montepescali stupendo gioiello medievale denominato  il “balcone della Maremma”, a 15 minuti dal mare di Castiglione della Pescaia. Quando ci venni ad abitare negli anni cinquanta c’erano ancora delle belle osterie con il bancone di marmo e i tavolini per le partire a carte, per le colazioni, per i pranzi frugali e per le merende. Io bazzicavo quella davanti a casa mia perché era la più comoda e perché c’erano tre sorelle, una meglio dell’altra. Infatti mi sono sposato con quella che mi piaceva di più. Un’altra di queste se la prese il mi’ fratello.

 

 

 

 

Una volta si beveva più vino. Ma soprattutto si beveva meglio. Si beveva mangiando per accompagnare il mangiare, si beveva nei campi lavorando, si beveva nell’orto vangando, (in queste occasioni quasi come carburante per la fatica) e si beveva nelle osterie e nei bar per il piacere di bere.

E in quest’ultimo caso si sale un gradino perché chi beveva all’osteria o al bar, magari facendo la partita a carte, beveva da professionista. Allora per bere non c’erano gli ampi ed eleganti calici di oggi, così belli e dalla grande pancia per dar modo al vino di ossigenarsi e sprigionare e concentrare tutta la gamma dei suoi profumi. Allora il bicchiere era il cinquino, un piccolo bicchiere di vetro non fino e dal fondo spesso. Bello ed essenziale nella sua semplicità non concedeva niente all’eleganza né alla funzionalità, ma soprattutto non si prestava proprio a rotazioni o altre pratiche che oggi si vedono fare anche dai meno esperti.

Ma vedere dei professionisti dell’epoca bere con il cinquino vi assicuro che era un’esperienza unica. Tra i mille professionisti ne ricordo uno di particolare eleganza  per il suo impeccabile modo di compiere il gesto che, fatto da lui e da gente come lui, aveva perfino un che di mistico.

Mi riferisco al Benci (al secolo Dino Ciardi) che aveva dei baffetti ben curati e adatti alla funzione. Nel suo bel viso i baffetti parevano sottolineare degli occhi chiari e spesso socchiusi in un ghigno da vecchio filone, di uno che la sa di molto lunga.
Lui, come gli altri, ma meglio degli altri, con gesto lento e curato prendeva il bicchiere, spesso pieno al colmo, stretto tra l’indice ed il pollice, mentre le altre dita si aprivano a ventaglio come una mantella spagnola o come le mani aperte ed invocanti del sacerdote quando vuole mostrare profondo rispetto e devozione per chi di dovere.
Poi portava lentamente il cinquino alla bocca e le labbra si schiudevano leggermente come a baciare il prezioso ed amato liquido. Mai sentito risucchiare o trangugiare o tracannare il vino bevuto da un cinquino. Tutt’al più poteva succedere per sbaglio, ma era rarissimo il caso.
Gli occhi leggermente chiusi o invece aperti ma fissi su di un punto indefinito, in entrambi i casi facevano trasparire la grande concentrazione e attenzione per la funzione in essere, e cioè a degustare con tutti i sensi e con la massima predisposizione al piacere il saporito nettare che prima bagnava le labbra e poi la lingua e poi il palato e poi la bocca tutta e poi scendendo con languore lungo la gola giù fino all’arrivo nell’ospitale stomaco. Che meraviglioso percorso!
Poteva seguire per chi ce l’aveva, e il Benci era uno di questi, la pulizia dei baffi con il dorso della mano, ma anche questo fatto con naturalezza e niente affatto volgare.
Questo sì che era bere da professionisti!

Chiaro che c’era qualcuno che era più professionista degli altri, e di conseguenza beveva anche di più.

Uno di questi più “performanti professionisti” era senz’altro Giannino. Figura mitica della Braccagni degli anni 50, girava con un fazzoletto rosso annodato al collo alla maniera di Tex Willer. Giannino aveva tutte le caratteristiche sopra dette. Manifestava il suo amore facendo una specie di via crucis, nel senso che partiva da Morea giù alla stazione dove prendeva il primo bicchierino, o magari anche un secondo o un terzo, e poi ripartiva per la stazione successiva che era Filadelfi e lì di nuovo uno, o due, o tre. Molto dipendeva anche dall’oste che conoscendolo cercava con le buone di farlo bere poco. A questo secondo pit-stop seguiva poi il terzo e poi su su viaggiava fino a girare tutti i posti dove vendevano vino.

Ovvio che poi intervenisse la famiglia e il figlio che cercò di farlo ragionare e di farlo smettere. Glielo disse anche il dottore e allora lui corse ai ripari.
Siccome era un uomo di carattere fece la sua prova e passò davanti a Morea e non entrò nemmeno. Idem da Filadelfi e poi su su con tutti gli altri dove non solo non si fermò, ma nemmeno entrò.
Arrivato che fu nella curva dove c’aveva l’osteria la famiglia Pieraccini superò anche questo ennesimo ostacolo e tentazione e subito dopo si fermò e si sentì dire a se stesso:
“Bravo Giannino! Sei stato proprio bravo! Ti meriti un premio: ora si va da Quirino e ti offro mezzo litro di vino!”

Roberto Tonini

Nato nella Maremma più profonda, diciamo pure in mezzo al padule ancora da bonificare, in una comunità ricca di personaggi, animali, erbe, fiori e frutti, vivendo come un piccolo animale, ho avuto però la fortuna di sviluppare più di altri olfatto e gusto. La curiosità che fortunatamente non mi ha mai abbandonato ha fatto il resto. Scoperti olio e vino in tenera età sono diventati i miei migliori compagni della vita. Anche il lavoro mi ha fatto incrociare quello che si può mangiare e bere. Scopro che mi piace raccontare le mie cose, così come a mio nonno. Carlo mi ha invitato a scrivere qualche ricordo che avesse a che fare con il mangiare ed il bere. Così sono entrato in questa fantastica brigata di persone che lo fanno con mestiere, infinita passione e ottimi risultati. 


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