Un viaggio in Alto Adige tra carnevale, tradizioni, vini, presente e futuro8 min read

Non servono mai grandi scuse per passare qualche giorno in Alto Adige. Questa volta l’occasione mi è stata offerta dal Consorzio Vini Alto Adige che, per la tradizionale sfilata dell’Egetmann che si tiene il Martedì Grasso degli anni dispari a Termeno, ha organizzato un press tour nei dintorni di Bolzano, sempre foriero di interessanti spunti di riflessione.

Il naturale fil rouge di questi pensieri è ovviamente il vino, che qui da secoli rappresenta un asset fondamentale della economia locale ma anche un ganglio vitale della organizzazione sociale altoatesina.

Una prima riflessione mi porta a dissertare su quanto sia potente il valore della tradizione inteso non solo come aspetto culturale ma anche come volontà di mantenere e tramandare la propria appartenenza ad una collettività.

Le aziende del comparto vitivinicolo altoatesino questo concetto non solo lo hanno ben chiaro ma hanno imparato a comunicarlo perfettamente.

Siano esse piccole e medie realtà familiari o rientrino sotto il cappello più ampio delle cantine sociali ( quella armada invencible che  da sempre, è sinonimo di ottimi risultati economici e alte performance qualitative)   è comunque profondo il senso di appartenenza a questo territorio e a questa comunità.

Martin Foradori (patron di Tenuta Hofstätter) ancora avvolto nei panni carnevaleschi del fedele amico dello sposo (Egetmann appunto) sorride mentre mi dice come: “Ogni membro del paese non vede l’ora di smettere i proprio panni abituali ed indossare, per un giorno, quelli pittoreschi, eccessivi, magari un po’ “spaventosi” ma coloratissimi delle figure allegoriche che animano questo carnevale e sfilare sui carri attraverso le vie del centro di Termeno, gremite all’inverosimile. Finito una sfilata, ancora sudati e stanchi stiamo già pensando a quella dell’anno prossimo. Per noi è un modo per mantenere viva la nostra storia e le nostre tradizioni”.

Martin Foradori

Tra le tradizioni da conservare non deve mai mancare una buona bevuta con gli ospiti e decidiamo di brindare al Carnevale e a Termeno con un calice di Vigna Roccolo 2017 “Ludwig Barth Von Barthenau”: amarena e succo di mirtillo rosso abbracciati da una elegante aroma di vaniglia. In bocca la rispondenza al gusto è perfetta e il sorso mi regala un finale dalla balsamicità esaltante.

Una seconda riflessione è sulla capacità che qui hanno di essere sempre un passo avanti. 30 anni fa da queste parti si costruivano abitazioni civili e aziende agricole utilizzando materiali biocompatibili, riciclati e riciclabili e a grande efficientamento energetico. Una visione prospettica che si ritrova anche in viticoltura.

Peter Zemmer , proprietario della “omonima” tenuta fondata nel 1928 dal suo prozio Peter, ricorda quando insieme a suo padre Helmut decise di acquistare la Vigna Kofl ad Aldino alla considerevole altitudine di 1.000 metri ( anzi, 1.030 metri per la precisione): “Non nego che molti nostri collaboratori e conoscenti erano scettici rispetto a questa scelta: vigneti così alti su cui piantare un vitigno esigente come il pinot nero poteva essere un azzardo. Ma noi non abbiamo mai smesso di crederci e oggi con gli effetti ormai conclamati del climate change osserviamo in tante grandi zone vinicole del mondo si stanno realizzando vigneti in quota per sfuggire alle alte temperature”.

Peter Zemmer

Peraltro, il loro Pinot Nero Riserva Vigna Kofl 2019, è un vino di pregevole fattura con uve che beneficiano di suoli molto ricchi di calcare e porfido per un calice che regala un frutto rosso croccante, fresco ed una elegante sensazione selvatica.

La sensazione selvatica non tocca certo la sperimentazione su vitigni PIWI come solaris, bronner e souvignier gris che Andrea Moser, kellermeister di Cantina Caldaro, porta avanti dal 2015.

“Lo studio e la sperimentazione che stiamo facendo con i PIWI a bacca bianca sta dando risultati interessanti ma nella mia visione è solo uno step intermedio per arrivare a poter utilizzare anche varietà tradizionali che siano più forti dal punto di vista della difesa immunitaria e biotica, ma anche resistenti alla siccità e al cambiamento climatico, ovvero le prossime sfide del futuro per noi viticoltori. Mi piace pensare di poter lavorare in vigna eliminando qualsiasi trattamento e risparmiando anche risorse preziose come l’acqua.”

Andrea Moser (al centro) con quattro redattori di Winesurf

E nel calice ci finisce proprio un PIWI, Shades of Gris Kaltern 2020, 100% souvigneir gris. Inconsueto! Affabile già dal colore brillante con delle belle nuance ramate per via della macerazione che una parte delle uve fa sulle bucce, in contenitori di Clayver. Melone bianco e mela cotogna al naso mente in bocca l’acidità è delicata e il finale piacevolmente fruttato.

Un’ultima riflessione si impone sul modo di conservazione e valorizzazione di un territorio attraverso la difesa ed il rilancio di un vitigno e di un vino.

Non è possibile raccontare l’Alto Adige del XXI secolo senza citare il percorso di vita e di “vite” che tanti piccolissimi produttori della zona del Santa Maddalena hanno intrapreso per difendere un territorio e il suo alter ego enoico che ben lo rappresenta: la schiava.

La storia è arcinota: una famiglia di vitigni più o meno autoctoni dalla generosa produzione, in grado di realizzare un vino facile, di pronta beva. Ricercato ed apprezzato dagli imperatori d’Austria è stato coltivato, per secoli, non solo in Alto Adige ma anche in Trentino e Veneto con qualche sconfinamento in Lombardia.

Negli ultimi trent’anni per una “drammatica” inversione di tendenza e una conseguente riduzione degli ettari dedicati, la produzione si è concentrata quasi esclusivamente in Alto Adige. “Si è passati da più di 3.000 ettari vitati del secondo dopoguerra agli attuali 600, di cui 160 solo qui nella DOC Santa Maddalena” mi racconta Josephus Mayr di Cantina Uterganzner.

La famiglia Mayr vive e lavora in questo Maso da ben dieci generazioni. La proprietà è sempre passata per successione diretta di padre in figlio, grazie all’istituto giuridico del “maso chiuso”, che dal 1502 impedisce la frammentazione e la dispersione delle proprietà agricole per successione testamentaria.

“Questi luoghi sono tutta la nostra vita, da secoli, non li abbandoneremo mai. Le conoscenze acquisite in decenni di lavoro, l’esperienza, l’impegno e la collaborazione di tutte le nostre famiglie hanno reso possibile questo riscatto della schiava”. Sempre Josephus: “Oggi si guarda al futuro di questo vino e si punta tutto sull’eleganza e l’armonia complessiva. Le moderne tecniche agronomiche e le migliori pratiche enologiche ci servono per esaltare quelle caratteristiche in grado di aumentare la longevità in bottiglia”.

Josephus Mayr

Un “nocciolo duro” che esprime la ferma volontà di non cedere più né un metro né un grappolo pur di continuare a raccontare, attraverso il loro vino, un po’ della loro storia.

E allora per conferma narrativa ci apriamo una magnum di St. Magdalener Klassisch 2021, dalle vigne con le esposizioni migliori. Già pronto benché giovane, con un frutto rosso succoso e gustoso, delicato al palato ma dalla texture decisa che fa intravedere un bel futuro per un vino che sa e vuole guardare avanti.

Tutto rose e fiori allora? Siamo davvero al cospetto di una invincibile armata senza punti deboli o timori?

Ahimè no, perché per tutti loro l’imponderabilità della Natura (abbinata alla nocività della mano dell’uomo) si sta manifestando in maniera sempre più drammatica ed esasperata.

Ad agitare i sonni dei viticoltori bolzanini, in questo inizio 2023, è la siccità. Per Alex Ferrigato, Sales Director di Cantina Colterenzio è innegabile che: “Mancano almeno 40 giornate di pioggia, sulle cime a media quota non c’è neve da mesi, non piove, fiumi e torrenti sono già a portata ridotta. Non so bene come andrà questa annata se non arriva acqua per gestire la stagione estiva”.

Parafrasando il titolo di una storica telenovela messicana di fine anni ’70, anche gli altoatesini piangono, sperando di versare un po’ di lacrime qui è là per dissetare questa magnifica terra.

Stemperiamo il momento di “tensione” con un calice di Sauvignon Lafóa 2010, una di quelle vecchie annate che lascia il segno: eleganti note di idrocarburo, pesca sciroppata per un sorso caratterizzato da un’acidità sferzante che rilascia al palato una lunga e persistente scia di freschezza.

Andrea Donà
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