Un Gran Cru di dieci anni4 min read

La bottiglia è una sciampagnotta con la dizione “grand cru” sull’etichetta, che sotto il rivestimento rivela un tappo a corona. Che si siano dimenticati di fare il dégorgement? Ma la sorpresa non è finita: il tappo a corona, una volta aperto, lascia il posto a un bel sughero! A questo punto stappo come d’abitudine,  e il liquido magico sgorga nel bicchiere rilasciando una un’idea di schiuma, che sparisce in pochi secondi. L’aspetto è ricco, di un bell’ambrato intenso che si farà velato con lo scendere del livello, coinvolgendo un po’ di deposito. Quanto al perlage, è di una finezza straordinaria, del resto la carbonica avrà ben avuto il tempo di solubilizzarsi dal 1996! Peccato che il numero delle bollicine sia decisamente scarso, tale da farmi persare a uno Champagne svanito nonostante il doppio sigillo. Ma sotto il naso – sorpresa!- arriva un bouquet straordinario, che suggerisce bucce d’agrumi, caramello e un ventaglio di vegetali secchi, dal fieno ai fiori alle erbe, e che ricorda con decisione anche il miele. Cè pure un tocco di frutta, sotto specie di marmellata. In bocca tuttavia mi prende di nuovo in contropiede con un alcol decisamente basso, e un’acidità bella alta. Un’occhiata più attenta all’etichetta sgombra alla fine ogni perplessità: si tratta di birra, mentre l’amico che l’ha portata sorride sornione. Ma dopo questo ingresso sottotono, che forza! L’asciuttezza della bevanda si rivela assoluta, facendone la birra più vicina a un vino secco che si possa immaginare. Il gusto non è lungo, è interminabile; così che la persistenza gustativa la conto in minuti anzichè in secondi, mentre fa la sua comparsa un retrogusto decisamente amaro, perfettamente amalgamato con il sentore di buccia d’agrumi che ritorna. Il bicchiere vuoto rilascia intanto aromi ancora diversi, di tipo lattico: l’associazione con tanta forza acida porta inevitabilmente alla mente lo yogurt. Il secondo sorso, e i seguenti, li lasciamo alla combinazione con qualche boccone. Funziona, eccome! Un paio di morsi di camembert maturo-ma-non-troppo e un sandwich di sardine su velo di burro vengono spediti nello stomaco con accompagnamento di lusso. La prossima bottiglia vedrò di stapparla sul posto, visto che il Belgio è l’unico paese al mondo con una consolidata tradizione di cucina alla birra.

Era la Cantillon Grand Cru Bruocsella 1996, una birra e un birrificio che voi enofili troverete certamente sfiziosi. Si tratta innanzi tutto di una Lambic, quindi a fermentazione spontanea con i lieviti autoctoni di zona. L’università di Leuven si è data anche la pena di studiare i due ceppi principali, battezzati Brettanomyces Bruxellensis e Lambicus. E siccome i lieviti – si sa – sono capricciosi, è prodotta solo da Novembre ad Aprile per via della temperatura. Il mosto fermenta in una vasca sottotetto (nella foto) che ha sviluppo orizzontale per facilitare il contatto dei lieviti e disperdere meglio il calore. Persino il luppolo viene invecchiato prima dell’uso, a giustificare sul serio il Cru. Il carburante è costituito da malto d’orzo per circa due terzi, il resto è grano non tostato (e il tutto da agricoltura biologica). I birrai della zona fanno di solito una cuvée di Lambic di varia origine ed età, chiamata Gueuze. La Gran Cru invece è millesimata e non viene tagliata con un bel niente. Poi rimane tre anni in fusti di legno di quercia, da dove la maggior parte della carbonica inevitabilmente scappa. Le etichette variano di anno in anno come quelle di un altro celebre Cru che conoscete; quella del 1990 ad esempio era di un certo Pieter Brueghel….

Vi raccomando la visita alla Cantillon, facile da raggiungere dal centro di Bruxelles trovandosi nel sobborgo di Anderlecht di calcistica fama. La brasserie è di centenaria tradizione familiare, ed  ospita anche un museo della Gueuze dove c’è pure una sezione dedicata ai cavatappi. D’altronde in questo birrificio devono amare sul serio il vino visto che producono anche la Vigneronne. Come indovinerete dal nome qui c’è di mezzo l’uva anzichè le tradizionali ciliege e lamponi che vengono aggiunti per le Kriek e le Framboise. Il bello è che si tratta di Moscato di provenienza italiana…

Brasserie Cantilon, 56 Gheude Straat – Bruxelles /  www.cantillon.be

Alessandro Bosticco

Sono decenni che sbevazza impersonando il ruolo del sommelier, della guida enogastronomica, del giornalista e più recentemente del docente di degustazione. Quest’ultimo mestiere gli ha permesso di allargare il gioco agli alimenti e bevande più disparati: ne approfitta per assaggiare di tutto con ingordigia di fronte ad allievi perplessi, e intanto viene chiamato “professore” in ambienti universitari senza avere nemmeno una laurea. Millantando una particolare conoscenza degli extravergini è consulente della Nasa alla ricerca della formula ideale per l’emulsione vino-olio in assenza di gravità.


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