Per anni il Trentino è stato descritto come una delle culle del vino italiano, ma negli ultimi anni nel mondo enoico circola una constatazione sempre più diffusa: i vini trentini non reggono il confronto con quelli dell’Alto Adige, soprattutto sul piano del brand, del posizionamento e dell’immaginario collettivo. Un giudizio che non riguarda la qualità intrinseca del prodotto, spesso (ma non sempre) solida ed in continuo miglioramento, ma il contesto in cui questa qualità viene percepita, raccontata e valorizzata.
A certificare la consapevolezza di un problema è arrivato il voto unanime del Consiglio Provinciale sul documento presentato dal consigliere Andrea de Bertolini. Una mozione che riconosce criticità strutturali del comparto e propone la creazione di un tavolo paritetico per ridisegnare il futuro del settore. Una novità politica e culturale: il Trentino ammette che servono correttivi.

L’origine del problema non è recente, molti anni fa i due territori hanno imboccato strade diverse. L’Alto Adige ha scelto la costruzione di un’identità territoriale forte, coesa e riconoscibile, orientata ai mercati premium. Il Trentino, invece, ha puntato sulla forza della cooperazione, sulla capacità produttiva, sul rapporto qualità/prezzo e sulla penetrazione nella grande distribuzione.
Il Consorzio Vini, un tempo punto di riferimento dell’enologia trentina, oggi non rappresenta più tutti: molte aziende verticali (che svolgono tutte le fasi della produzione), sono migrate nel Consorzio Vignaioli del Trentino. Chi produce metodo classico fa riferimento all’Istituto Trentodoc mentre i grandi gruppi cooperativi mantengono un ruolo centrale ma non sempre condiviso. Più tavoli, più interessi, più strategie, crea un’immagine sul mercato frammentata e per questo indebolita. Il Trentino non parla con una voce sola, e quando manca una regia comune è difficile incidere sulla percezione dei consumatori, sui prezzi, sulla promozione e persino sulle politiche agricole.

Bolzano propone un racconto positivo e armonico: territorio, tradizione, vitigni, cantine, ospitalità. Riesce anche a nascondere bene le proprie dicotomie, promuovendosi ad esempio come “territorio green”, sebbene il nuovo provvedimento sui pesticidi appena approvato (51/2025) tolga ai Comuni il potere di limitarne l’uso vicino a case, scuole, parchi e luoghi sensibili, contraddicendo la narrazione ambientalista ufficiale.
Il Trentino fatica ancora a trovare un messaggio univoco, quindi non sorprende che a fiere internazionali gli stand trentini spesso restino ai margini (vedi “Prowine 2025”), mentre quelli altoatesini vengono presi d’assalto. Al quadro strutturale si sommano dinamiche globali: la crisi climatica, il cambio di gusto, l’avanzata dei vini dealcolati, il rallentamento dei consumi europei, l’incertezza sui dazi statunitensi, ma questo c’è per tutti.

Coldiretti ha lanciato un allarme chiaro: senza un ripensamento del modello, la filiera rischia di non essere più sostenibile per agricoltori e territori. Lo stesso Trento Doc, fiore all’occhiello trentino, rischia di veder raffreddare la sua leadership, mentre alcune cantine altoatesine investono a sud di Salorno per entrare nel mercato delle bollicine metodo classico.
La mozione di De Bertolini, sostenuta dall’assessore Giulia Zanotelli, punta su tre direttrici operative, proponendo di istituire un tavolo di confronto paritetico e permanente, coinvolgendo cooperative, vignaioli, privati, mondo scientifico e istituzioni, cercando di superare storiche contrapposizioni. Il Consorzio Vini deve tornare a essere casa comune dei produttori di vino, ritornando ad avere maggiore e democratica rappresentatività. Adottare strategie di medio/lungo periodo attraverso contenimento produttivo, zonazione viticola, valorizzazione di vitigni autoctoni, maggiore focus sui mercati premium, promozione coordinata con Trentino Marketing, Fondazione Mach e sistema turistico sembrano essere le strade da seguire, bisognerà solo decidere come, quanto e quando.

Non si tratta di interventi cosmetici bensì di una revisione culturale del modo in cui il territorio pensa il proprio vino. Il Trentino non deve imparare a fare buon vino: lo fa già. Deve invece imparare a raccontarlo, posizionarlo, proteggerlo, renderlo desiderabile. L’Alto Adige insegna che la reputazione non nasce solo nei territori produttivi, ma in quelli del consumo: ristoranti, enoteche, hotel, stampa specializzata, turismo esperienziale. Il vino non è solo una bottiglia: è percezione, stile, aspettativa.
Di fatto si cerca di aprire una porta che in Trentino è rimasta chiusa troppo a lungo: ora la sfida è passare dalla diagnosi alle decisioni, dal confronto alla coesione. Perché il divario con l’Alto Adige non è scritto nel destino, ma nelle scelte. Il Trentino ha ancora tutte le carte, culturali, paesaggistiche, enologiche, per colmare quel solco e tornare protagonista, solo se saprà finalmente fare squadra.
